Principio di equivalenza: il TAR su certificazioni e requisiti premiali
La clausola della legge di gara che non contempla il principio di equivalenza contrasta con la disciplina unionale degli appalti
Nel caso in cui una SA inserisca tra i requisiti premiali delle certificazioni di qualità, deve fare valere il principio di equivalenza e non può dare come tassativo il possesso di una certificazione rilasciata da uno specifico organismo di accreditamento, tanto più se extra europeo.
Certificazioni di qualità come requisito premiale: il TAR sul principio di equivalenza
Questo perché se la normativa unionale e il principio di equivalenza consentono il riferimento puntuale negli atti di gara ad un tipo di certificazione per chiarezza di individuazione del requisito prestazionale prescritto, intendono invece scongiurare che un singolo ente privato acquisisca un anomalo potere di mercato arrogandosi inesistenti esclusive di verificare di standards normativi.
Sulla base di questi presupposti il TAR Piemonte, con la sentenza del 30 luglio 2024, n. 924, ha accolto il ricorso e annullato l’aggiudicazione di un appalto di lavori in favore di un OE che aveva presentato le certificazioni rilasciate dalla società di accreditamento segnalata nel disciplinare di gara; la ricorrente era invece arrivata seconda in graduatoria, avendole fatto valere soltanto una certificazione, sempre rilasciata da questo organismo.
Spiega il TAR che fermo restando che è legittimo che la stazione appaltante attribuisca punteggi premiali in relazione al possesso di certificazioni di qualità, valorizzando aspetti coerenti con l’oggetto della gara, è pacifico che il possesso della specifica certificazione ha di fatto, nel caso in esame, determinato l’esito della gara; se avesse valorizzato anche le certificazioni rilasciate dall’altro organismo, l’esito della gara sarebbe stato a favore della ricorrente.
Certificazioni di qualità: le previsioni del Codice Appalti e della Direttiva UE
Da questo punto di vista, in tema di certificazioni l’art. 105 del d.lgs. n. 36/2023 (Codice dei Contratti Pubblici) rinvia all’allegato II.8 che recita: “I. Le stazioni appaltanti possono richiedere agli operatori economici una relazione di prova o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell'offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all'esecuzione dell'appalto. Le stazioni appaltanti che richiedono la presentazione di certificati rilasciati da uno specifico organismo di valutazione della conformità accettano anche i certificati rilasciati da organismi di valutazione della conformità equivalenti. A tal fine, per «organismo di valutazione della conformità» si intende un organismo che effettua attività di valutazione della conformità, comprese taratura, prove, ispezione e certificazione, accreditato a norma del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008 oppure autorizzato, per l'applicazione della normativa dell'Unione europea di armonizzazione, dagli Stati membri non basandosi sull'accreditamento, a norma dell'articolo 5, paragrafo 2, dello stesso regolamento (CE) n. 765/2008. Nei casi non coperti da normativa dell'Unione europea di armonizzazione, si impiegano i rapporti e certificati rilasciati dagli organismi eventualmente indicati nelle disposizioni nazionali di settore.”
La disciplina nazionale è di diretta derivazione della pertinente normativa europea; l’art. 44 della direttiva 2014/24/Ue stabilisce che: “Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che gli operatori economici presentino, come mezzi di prova di conformità ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto, una relazione di prova di un organismo di valutazione della conformità o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione della conformità….Le amministrazioni aggiudicatrici che richiedono la presentazione di certificati rilasciati da uno specifico organismo di valutazione della conformità accettano anche i certificati rilasciati da altri organismi di valutazione della conformità equivalenti. Ai fini del presente paragrafo, per «organismo di valutazione della conformità» si intende un organismo che effettua attività di valutazione della conformità, comprese calibratura, prove, ispezione e certificazione, accreditato a norma del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento …. Gli Stati Membri mettono a disposizione degli altri Stati membri, su richiesta, le informazioni relative alle prove e ai documenti presentati conformemente all’articolo 42, paragrafo 6, all’articolo 43 e al presente articolo, paragrafi 1 e 2. Le autorità competenti dello Stato membro di stabilimento dell’operatore economico comunicano dette informazioni ai sensi dell’articolo 86.”
A sua volta l’art. 86, in tema di cooperazione amministrativa tra gli Stati Membri prevede che: “1. Gli Stati membri si prestano assistenza reciproca e adottano provvedimenti per una efficace cooperazione reciproca, onde assicurare lo scambio di informazioni sulle materie di cui agli articoli 42, 43, 44, 57, 59, 60, 62, 64 e 69. Essi garantiscono la riservatezza delle informazioni che scambiano.”
Il TAR mette in evidenza come la disciplina unionale non possa che avere come riferimento il mercato UE e che dunque muova dal presupposto che gli organismi certificatori appartengano al sistema dell’Unione europea.
La direttiva, ormai risalente di circa dieci anni, menziona inoltre le più tradizionali forme di certificazione, ossia quelle relative alla conformità dei prodotti. Nel contesto di mutuo riconoscimento ed equivalenza delle varie certificazioni viene inoltre previsto un dovere di cooperazione amministrativa tra Stati, proprio per procedere a verifiche sulla documentazione esibita.
Il disciplinare può premiare le caratteristiche oggettive ma non il soggetto che rilascia la certificazione
Chiarito il contenuto della certificazione etica, Il Collegio ha ritenuto che il richiamo specifico contenuto nel bando di gara resta legittimo nei limiti in cui, come previsto dalla direttiva, serva ad identificare le oggettive caratteristiche premiate, restando ammessa la possibilità per le imprese di provare in modo equivalente di essersi sottoposti ad un controllo volontario di responsabilità sociale rispetto ai citati standards internazionali.
Sul punto può osservarsi come l’Unione Europea non abbia, allo stato, sviluppato una propria certificazione in materia ma solamente elaborato uno standard normativo denominato ISO26000 avente similare contenuto di parametri.
Ne deriva che il requisito di equivalenza deve riferirsi alla garanzia di rispetto dello standard normativo ed alla sua verifica e che, a sua volta, lo standard normativo non è suscettibile di privativa per quanto concerne il rispetto delle norme internazionali in sé.
In questo caso, per come risulta formulata ed è stata applicata la legge di gara, la stazione appaltante ha scelto, in violazione del principio di equivalenza, di privilegiare un unico sistema di accreditamento, per altro extraeuropeo. È evidente, invece, come la normativa unionale e il principio di equivalenza, se pure consentono il riferimento puntuale negli atti di gara ad un tipo di certificazione per chiarezza di individuazione del requisito prestazionale prescritto, intendono scongiurare che un singolo ente privato acquisisca un anomalo potere di mercato arrogandosi inesistenti esclusive di verificare di standards normativi.
No a violazioni del principio di equivalenza
Ne discende che la clausola della legge di gara che non contempla il principio di equivalenza contrasta con la disciplina unionale degli appalti.
Si osservi per altro che, se il precedente art. 87 del d.lgs. n. 50/2016, effettuava puntuali riferimenti alle certificazioni di qualità dei prodotti o ambientali, l’allegato II.8 al nuovo codice menziona più genericamente ogni certificazione che possa afferire a criteri di aggiudicazione.
Come già osservato anche con riferimento alla direttiva del 2014 i modelli di certificazione che il legislatore dell’epoca immaginava tenevano conto degli sviluppi coevi di questi sistemi inizialmente incentrati sulla qualità dei prodotti; affermatesi nuove tipologie di certificazione idonee comunque ad incidere sulla concorrenza ed il mercato perché ritenute in grado di “segnalare” le imprese come particolarmente meritevoli di valorizzazione non potrà che a applicarsi anche a tali certificazioni il principio dell’equivalenza.
Né cambia che, a seconda che il requisito sia di ammissione o premiale posto che anche un requisito premiale può essere determinante per l’esito della gara. In fattispecie sostanzialmente analoga si è pronunciata la sentenza Cons. St. sez. V n. 2455/2020 secondo cui “Non v’è ragione per ritenere che il principio di equivalenza delle certificazioni …debba valere per i soli certificati relativi alle norme di garanzia della qualità; prevale sulla collocazione della disposizione, nell’ambito della disciplina sulla certificazione di qualità, il tenore letterale della disposizione come pure la sua diretta derivazione del principio di equivalenza dal principio di libera prestazione dei servizi nel territorio dell’Unione europea posto dall’art. 56 T.F.U.E. – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.
Non può esservi riferimento a un unico ente
Infine, spiega il TAR, se potrebbe verificarsi un proliferare di enti e sistemi di certificazione di dubbia attendibilità, è tuttavia evidente che, mentre non è in astratto escluso che la stazione appaltante possa contestare ad esempio che un determinato ente certificatore non appartenente al sistema nazionale rientri nel network europeo degli enti di certificazione e/o si caratterizzi per i necessari requisiti di attendibilità, l’amministrazione non può invece limitarsi ad affermare che uno e uno solo è l’ente che può abilitare a verificare il rispetto di standard minimi di responsabilità sociale di una impresa dettati a fronte di norme dettate dal diritto internazionale.
Il ricorso deve quindi trovare accoglimento, con annullamento del provvedimento di aggiudicazione, e l’amministrazione dovrà rivalutare l’offerta della ricorrente tenendo conto di tutte le certificazioni prodotte in gara, secondo il principio di equivalenza.
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