Regolamenti urbanistici: i limiti alla partecipazione dei privati
Il Consiglio di Stato ricorda i limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici
Un regolamento urbanistico può essere modificato dopo la sua approvazione, se i cambiamenti apportati sono necessari e un’Amministrazione non è tenuta alla sua ripubblicazione se non c’è stata una rielaborazione complessiva dello stesso.
Approvazione del regolamento urbanistico: i limiti alla partecipazione dei privati alla redazione
La conferma arriva con la sentenza n. 21/2023 del Consiglio di Stato, con la quale Palazzo Spada ha respinto su tutti i fronti l’appello presentato da un Consorzio che aveva proposto un piano di lottizzazione a un Comune. L'Amministrazione era in procinto di pubblicare il regolamento urbanistico, sul quale l'appellante ha fornito il proprio contributo con alcune indicazioni, recepite in parte.
Al momento dell’approvazione definita, il Comune ha previsto una nuova capacità edificatoria, che il ricorrente ha ritenuto peggiorativa, con l'obbligo di cedere gratuitamente una porzione limitrofa alla strada provinciale per la realizzazione delle relative opere pubbliche. Per questo motivo, il consorzio ha presentato, nuovamente, alcune osservazioni al regolamento, chiedendo che venissero mantenute le superfici coperte previste dal precedente piano regolatore e che fossero eliminati i vincoli costituiti dalla cessione gratuita di un’area e dalla realizzazione gratuita delle opere pubbliche. Dato che il comune non ha recepito tale modifica, il Consorzio ha presentato ricorso.
Formazione strumento di pianificazione: il ruolo delle osservazioni del privati
In particoare, secondo il ricorrente, l’Amministrazione non ha fornito una risposta idonea alle osservazioni presentate nel corso del procedimento. Sul punto, il Consiglio ha ricordato che “Le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, seppure l'Amministrazione sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essa essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse.”.
Il Comune non ha un obbligo di risposta specifica alle osservazioni presentate dai privati nel corso del procedimento di approvazione dello strumento urbanistico generale, perché queste non costituiscono un rimedio giuridico, ma un apporto collaborativo.
Le modiche apportate dall'Amministrazione
Sempre in base a consolidata e condivisa giurisprudenza del Consiglio di Stato, occorre inoltre distinguere tra:
- modifiche “obbligatorie” (in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni della pianificazione sovraordinata, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l'adozione di standard urbanistici minimi);
- modifiche “facoltative” (consistenti in innovazioni non sostanziali);
- modifiche “concordate” (conseguenti all'accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal comune).
Mentre per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale.
L'eventualità che le previsioni del piano urbanistico comunale (o di altro strumento urbanistico) subiscano, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano è un effetto del tutto connaturale al procedimento di formazione del suddetto strumento urbanistico, che, per l’appunto, contempla, all’atto dell’approvazione definitiva, la possibilità di cambiamenti in conseguenza dell’accoglimento delle osservazioni pervenute; pertanto, soltanto laddove chi ha interesse dimostri che le modifiche introdotte incidono sulle caratteristiche essenziali dello strumento stesso e sui suoi criteri di impostazione, si rende necessario riprendere da capo il relativo procedimento di formazione; l’eventuale necessità di “ripubblicazione” sorge solo a seguito di apporto di innovazioni tali da mutare radicalmente l’impostazione di Piano stesso.
Costituisce, perciò, principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui si rende necessaria la ripubblicazione del piano solo quando, a seguito dell’accoglimento delle osservazioni presentate dopo l’adozione, vi sia stata una “rielaborazione complessiva” del piano stesso, e cioè un “mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla sua impostazione”, mentre l’obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree.
Dato che la modifica richiesta non può considerarsi un “mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla … impostazione” del regolamento adottato, né un suo “stravolgimento” o un suo “profondo mutamento”, tale da comportare l’obbligo di ri-pubblicazione del piano ai fini della sua legittimità.
I limiti alla tutela delle aspettative edificatorie
Infine, secondo l'appellante il regolamento urbanistico, prevedendo la necessaria presentazione del P.U.I. e l’immotivata attribuzione di un’inadeguata volumetria realizzabile ed eccessivi costi a causa delle c.d. opere perequative, impedirebbe la realizzazione del progetto previsto dal piano di lottizzazione a suo tempo presentato, senza esplicitare le relative ragioni di pubblico interesse sottese.
Sulla questione, il Consiglio ha ricordato i limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici, secondo cui:
- le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
- anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione) di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;
- con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori
urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti
casi eccezionali:
- a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona;
- b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate;
- c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare;
- d) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo;
- una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi e non invece quando si tratti di interessi pretensivi, come è nel caso in esame in cui si tratta dell’esercizio dello ius variandi su istanza del privato.
Considerato che l’amministrazione comunale ha condizionato l’edificazione a richieste logiche e ragionevoli e che l’appellante non ha comprovato di trovarsi in nessuna di quelle fattispecie che radicano un affidamento legittimo “in melius” o alla conservazione dello status quo, con riferimento all’esercizio del potere pianificatorio, il ricorso è stato respinto anche sotto questo aspetto.
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