Restauratore beni culturali, la formazione pratica tra i requisiti richiesti
Il Consiglio di Stato si esprime sul ricorso per l’annullamento dell’attribuzione della qualifica di restauratore di beni culturali
L'adozione del criterio minimo di 500 ore di formazione pratica di laboratorio per il conseguimento della qualifica di restauratore di beni culturali, oltre al possesso dello specifico titolo di studio è una richiesta ragionevole da parte della Commissione di valutazione del Ministero dei Beni Culturali, considerando la natura particolarmente delicata dell'attività da svolgere.
Qualifica restauratore beni culturali e formazione pratica: il parere del Consiglio di Stato
Questo il parere, il n. 1321/2022, che l'Adunanza della I sez. del Consiglio di Stato ha reso a seguito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto contro il MIBAC per l’annullamento dell’attribuzione della qualifica di restauratore di beni culturali limitatamente ad alcuni settori di cui all’allegato B del d.lgs. n. 42/2004, data l’insufficienza delle ore di formazione dichiarate per gli altri.
Secondo la ricorrente, che ha partecipato alla procedura di selezione pubblica per l’acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali, di cui all’articolo 182, comma 1 ter, del d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei Beni Culturali e del paesaggio) e s.m.i. a seguito della quale le è stata attribuita la qualifica solo in relazione ad alcuni settori, le sarebbero spettati anche gli altri richiesti, sulla base degli insegnamenti di restauro in cui risulta articolato il percorso di studi svolto e non in ragione dell’attività lavorativa effettuata.
In particolare la scelta della Commissione di considerare irrilevante il titolo di studio laddove non si raggiunga un monte orario minimo di 500 ore per l’attribuzione del settore riferibile ad uno o più insegnamenti impartiti nel corso di studi sarebbe stata illegittima.
Qualifica restauratore beni culturali: il quadro normativo
Nel valutare il caso, la Sezione ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo di riferimento, che comprende:
- l’articolo 29, comma 6, d.lgs. 42/2004, che stabilisce che gli interventi di manutenzione e restauro su beni mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori;
- i commi 7, 8 e 9 dello stesso articolo demandano ai decreti ministeriali del26 maggio 2009 n. 86 e n. 87, la regolamentazione della professione del restauratore di beni culturali, sia come profilo di competenza che come iter formativo.
- il comma 9 bis dell’articolo 29 precisa poi che “dalla data di entrata in vigore dei decreti previsti dai commi 7, 8 e 9, agli effetti dell'esecuzione degli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici, nonché agli effetti del possesso dei requisiti di qualificazione da parte dei soggetti esecutori di detti lavori, la qualifica di restauratore di beni culturali è acquisita esclusivamente in applicazione delle predette disposizioni”.Pertanto, terminata la fase transitoria, la qualifica di restauratore di beni culturali potrà essere acquisita solo da coloro che abbiano seguito il previsto iter formativo.
- l’articolo 182 del Codice, dispone che “acquisisce la qualifica di restauratore di beni culturali, per il settore o i settori specifici richiesti tra quelli indicati nell'allegato B, colui il quale abbia maturato una adeguata competenza professionale nell'ambito del restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici” (comma 1).i
- il comma 1 bis dell’art. 182 dispone che “la qualifica di restauratore di beni culturali è attribuita, in esito ad apposita procedura di selezione pubblica da concludere entro il 30 giugno 2015, con provvedimenti del Ministero che danno luogo all'inserimento in un apposito elenco suddiviso per settori di competenza e reso accessibile a tutti gli interessati...”.
La procedura di selezione pubblica consiste nella valutazione dei titoli e delle attività e nell’attribuzione dei punteggi indicati nell’allegato B del Codice medesimo (comma 1 ter). La stessa disposizione prevede poi che la qualifica di restauratore di beni culturali è acquisita con un punteggio pari ai crediti formativi indicati nell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro 26 maggio 2009, n. 87, ossia 300 punti.
Titoli di accesso alla selezione per restauratori di beni culturali
La normativa, rimandando, all’allegato B del Codice che definisce i punteggi attribuibili, individua quindi tre tipologie di titoli, con i relativi limiti temporali, che consentono di partecipare alla selezione:
- a) i diversi titoli di studio attinenti alla materia, variamente valutati alla tabella 1 del citato Allegato B;
- b) inquadramento alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei beni culturali, conseguito mediante concorso pubblico per i profili ivi specificati, anch’essi variamente valutati alla tabella 2 del predetto Allegato;
- c) esperienza professionale maturata attraverso lo svolgimento di attività di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici ai sensi dell'articolo 182, comma 1 quater, lettera a), nei settori di competenza elencati nell’allegato B medesimo. Quest’ultimo, alla tabella 3, attribuisce a ogni anno d’esperienza sul campo 37,5 punti, sicché la soglia minima dei 300 punti, individuata per il superamento della selezione, è raggiunta con 8 anni d’esperienza, equivalenti a 2920 giorni.
Inoltre, il comma 1 quater dell’articolo 182 specifica quindi che “ai fini dell’attribuzione dei punteggi indicati nella tabella 3 dell’allegato B:
- a) è considerata attività di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici l'attività caratterizzante il profilo di competenza del restauratore di beni culturali, secondo quanto previsto nell'allegato A del regolamento di cui al decreto del Ministro 26 maggio 2009, n. 86;
- b) è riconosciuta soltanto l'attività di restauro effettivamente svolta dall'interessato, direttamente e in proprio ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, ovvero nell'ambito di rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei beni culturali, con regolare esecuzione certificata nell'ambito della procedura di selezione pubblica;
- c) l'attività svolta deve risultare da atti di data certa emanati, ricevuti o anche custoditi dall'autorità preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, formati in occasione dell'affidamento dell'appalto, in corso d'opera o al momento della conclusione dell'appalto, ivi compresi atti concernenti l'organizzazione ed i rapporti di lavoro dell'impresa appaltatrice;
- d) la durata dell'attività di restauro è documentata dai termini di consegna e di completamento dei lavori, con possibilità di cumulare la durata di più lavori eseguiti nello stesso periodo”.
A seguito dell’emanazione delle Linee Guida applicative dell’art. 182, il Ministero, con decreto DG-ER del 22 giugno 2015, ha quindi indetto il bando di selezione pubblica per il conseguimento della qualifica di restauratore di beni culturali, per “individuare con certezza l’ambito delle figure professionali che intervengono nelle attività conservative dei beni culturali, al fine di assicurare l’ottimale esecuzione dei relativi lavori”.
In vista della selezione, l’Amministrazione ha redatto un apposito vademecum nel quale ha specificato che che “il comma 1-novies dell’articolo 182 non indica quante ore d’insegnamento sono necessarie per l’acquisizione di un settore, sarà quindi la Commissione che esaminerà le domande a dover stabilire i parametri in base ai quali riconoscere la validità di un insegnamento al fine dell’acquisizione di un settore”.
Il Parere del Consiglio di Stato
Alla luce di questa ricostruzione, la Sezione ha precisato che il DM del 13 maggio 2014, contenente le Linee guida applicative dell’articolo 182 del Codice, richiede chiaramente il raggiungimento del punteggio minimo di 300 punti (previsti in via generale dal comma 1 ter dell’articolo 182 del Codice), laddove la ricorrente, col titolo di studi più volte indicato, nei settori contestati ha raggiunto solo 150 punti.
Non solo: la decisione della Commissione di adottare anche il criterio minimo utile di 500 ore di formazione pratica di laboratorio per conseguire l’iscrizione in base al titolo di studio, in considerazione del tenore testuale dell’articolo 182, comma 1 ter, non è una scelta irragionevole.
Tale norma si riferisce espressamente alla “valutazione dei titoli e delle attività” nonché alla “attribuzione dei punteggi”, a dimostrazione del fatto che la selezione non può avvenire prescindendo dalla formazione pratica effettivamente svolta, soprattutto in considerazione del delicato lavoro che gli aspiranti sono chiamati a fare. Ciò peraltro è coerente anche con il primo comma del citato articolo ove si parla di “adeguata competenza professionale”. Sostanzialmente, in professioni come queste, è indispensabile coniugare la necessaria formazione teorica con l’altrettanto indispensabile formazione pratica.
Va inoltre aggiunto che il criterio minimo di 500 ore di formazione richiesto nella selezione in esame risulta di gran lunga inferiore ai percorsi di istruzione, notevolmente più lunghi, di altri autorevoli enti di formazione per restauratori.
Ne consegue che l’Amministrazione nella procedura in esame ha adottato criteri selettivi legittimi e ragionevoli.
Preavviso di rigetto: nei concorsi e nelle selezioni non è atto necessario
Per altro, l’Amministrazione non era tenuta a inviare un preavviso di rigetto: il preavviso di rigetto è un atto endoprocedimentale mediante il quale l’amministrazione si limita a preannunciare le possibili ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza formulata. Esso è finalizzato alla partecipazione dell’interessato alla fase procedimentale, in un’ottica collaborativa con l’Amministrazione ed in funzione deflattiva dell’eventuale contenzioso che si istaurerebbe a causa del rigetto dell’istanza.
In questo caso la necessità del c.d. preavviso di rigetto deve essere esclusa. Per le procedure concorsuali e para-concorsuali, infatti, alla luce di quanto stabilito dall'articolo 10 bis, sesto periodo, l. n. 241 del 1990 - “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali” – non è obbligatoria la predetta comunicazione.
Nelle procedure concorsuali debbono ricomprendersi tutti i procedimenti in cui è prevista la verifica dei requisiti, previa pubblicazione di un avviso di partecipazione e con la fissazione delle regole per ciascun partecipante nonché con la successiva selezione delle domande.
In questo caso, trattandosi senza dubbio di una selezione volta alla verifica dei requisiti dei partecipanti prescritti dalla legge, non era dovuta la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento ex art. 10 bis l. 241/1990.
Secondo il Consiglio quindi il ricorso va integralmente respinto.
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