Rinnovabili e tariffe incentivanti: il Consiglio di Stato rimette la questione alla Corte Europea
Secondo Palazzo Spada potrebbe esserci un contrasto tra la normativa europea e quella italiana per gli impianti di potenza superiore a 250 kW
Con l’ordinanza del Consiglio di Stato del 30 gennaio 2024, n. 926, è stata rimessa alla Corte di giustizia UE la questione sulla compatibilità della normativa nazionale con il diritto eurounitario in materia di incentivi alla produzione di energie rinnovabili.
Energie rinnovabili e incentivi GSE: questione rimessa alla CGUE
In particolare, si richiede se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2001/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano all’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, prevedE, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”).”
L’ordinanza è stata emessa nell’ambito dell’appello promosso da una società titolare di un impianto fotovoltaico con potenza di 999,78 kW, di nuova costruzione ed entrato in esercizio il 25 marzo 2022 per il riconoscimento di incentivi con il Gestore dei servizi energetici- GSE s.p.a. nella parte in cui prevedono che «nel caso in cui il valore dell’incentivo, ottenuto come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, risulti negativo, il GSE provvederà a chiedere al soggetto responsabile la restituzione di tale differenza”.
Incentivi GSE: come funziona il meccanismo di accesso
Spiega Palazzo Spada che l’accesso agli incentivi avviene attraverso due diverse modalità, a seconda della potenza e della tipologia dell’impianto: mediante iscrizione ai registri, oppure mediante partecipazione ad aste.
Per ciascun operatore viene quindi determinata la tariffa spettante, calcolata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste dal decreto.
Il decreto ministeriale del 4 luglio 2019 prevede inoltre due differenti meccanismi incentivanti, in funzione della potenza dell’impianto:
- il primo è rappresentato dal ritiro dell’energia elettrica prodotta da parte del GSE, il quale eroga all’operatore della tariffa a questi spettante;
- il secondo è costituito dall’attribuzione all’impresa di un incentivo, calcolato come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, che, se positiva (ossia quando la prima è superiore al secondo), integra il ricavo connesso alla vendita sul mercato dell’energia prodotta, mentre, quando è negativa (ossia quando la tariffa è inferiore al prezzo di mercato), comporta che l’impresa non solo non percepisca alcuna sovvenzione, ma debba versare la differenza al GSE (c.d. sistema “a due vie”).
Mentre gli impianti di potenza non superiore a 250 kW possono optare tra uno dei due meccanismi, quelli di potenza pari o superiore, come quello dell’appellante, possono accedere al solo incentivo. Nel caso di specie, la società appellante ha riferito e documentato che, avendo stipulato il contratto durante la crisi energetica del 2022, quando il prezzo orario dell’energia era superiore alla tariffa spettante, non ha ottenuto alcun incentivo, anzi ha ricevuto richieste di pagamento della differenza da parte del GSE.
I dubbi del Consiglio di Stato
Da qui il dubbio sulla compatibilità tra il meccanismo incentivante “a due vie”, come delineato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019, da un lato, e l’art. 3 della direttiva n. 2009/28/CE e l’art. 4 della direttiva n. 2018/2001/UE, dall’altro.
Secondo i giudici, il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive discende da tre considerazioni.
- alla luce del diritto dell’Unione, il meccanismo incentivante dovrebbe agevolare la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi, mentre l’incentivo negativo configurato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019 comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo, anzi debbano riversare al GSE parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, con la conseguenza che queste potrebbero essere indotte ad abbandonare l’incentivo, così compromettendo il raggiungimento dei risultati perseguiti dalle direttive;
- in secondo luogo, l’incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi, dunque l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato: per questo, si dubita vi sia un contrasto con il criterio, posto dalle direttive, di configurare i regimi di sostegno in modo da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni;
- infine, la tariffa “a due vie”, che può tradursi nell’applicazione dell’incentivo negativo, è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore possono optare per il diverso regime che prevede il ritiro dell’energia da parte del GSE con corresponsione della tariffa spettante a loro favore: da questo deriva il dubbio sulla compatibilità con la prescrizione, posta dalle direttive, di configurare regimi di sostegno non discriminatori.
Il quesito posto alla Corte di Giustizia Europea
Tutto ciò premesso e considerato, ai sensi dell’art. 267 del TFUE si formula il seguente quesito: «dica la Corte di giustizia se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2001/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna, quale l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, preveda, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”)».
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