Ripristino rudere: ristrutturazione o nuova costruzione?
Secondo il Consiglio di Stato, la tipologia di lavori eseguiti va adeguatamente provata dal responsabile dell'intervento
Un intervento di ripristino di un rudere eseguito all'interno di un'area vincolata non può essere considerato ristrutturazione edilizia, in mancanza della prova della preesistente consistenza del manufatto stesso.
Ristrutturazione di un rudere: la sentenza del Consiglio di Stato
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4356/2022, a seguito del ricorso proposto da un Ente Parco Nazionale per la riforma della sentenza del TAR, che aveva invece legittimato l'intervento realizzato su un rudere in quanto ristrutturazione edilizia
Questi i fatti: il proprietario di un complesso immobiliare ha presentato un'istanza di accertamento di conbformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 per tre diversi manufatti. Su uno di questi, l'ente Parco Nazionale ha fornito parere negativo perché non era stata fornita la prova che si trattava di una attività di ristrutturazione edilizia finalizzata al ripristino di un edificio allo stato di rudere. In particolare, non era stata dimostrata la «preesistente consistenza dell’edificio». Secondo il TAR, la documentazione fornita dal proprietario provava sufficientemente la datazione del fabbricato. Di diverso avviso l’Ente, che ha quindi proposto appello.
Le norme del Testo Unico Edilizia
Nel giudicare la questione, il Consiglio di stato ha preliminarmente richiamato le seguenti norme:
- l'art. 36 del D.P.R. n. 380/2011 (Testo Unico Edilizia), inerente l’accertamento di conformità, il quale dispone che, in caso di interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono, tra l’altro, il permesso di costruire, «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”;
- l’art. 3, comma 1, lett. d), dello stesso D.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia «gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».
- l’art. 13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) che dispone che tutti gli interventi che devono essere eseguiti all’interno del Parco devono essere sottoposti al preventivo nulla osta dell’Ente parco, con conseguente rilevanza della distinzione tra attività di ristrutturazione edilizia e attività di nuova costruzione ai fini del rilascio del suddetto nulla osta.
Prova della preesistenza dell'edificio
Come spiegano i giudici di Palazzo Spada, perché si possa ritenere sussistente una fattispecie di ristrutturazione edilizia è necessario che la parte interessata provi, in sede procedimentale, la preesistenza del fabbricato e la sua esatta consistenza al fine di consentire la individuazione precisa dei suoi «connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione».
In particolare, «la cd. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forme di recupero di preesistenze (…) – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura petrimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può (…) prescindere”.
Nel caso in esame, l’Ente parco ha correttamente ritenuto che non si fosse in presenza di un’attività di ristrutturazione edilizia, in quanto l’istante non aveva fornito la prova dei caratteri dell’edificio preesistente. In particolare, non sono stati forniti «grafici dettagliati dello stato ante operam, ma solo la documentazione fotografica fatta in corso d’opera ed una veduta d’epoca non precisata».
L'appello è stato quindi accolto: non essendo possibile accertare con sicurezza la preesistenza dell’edificio e di conseguenza la tipologia di interventi realizzati su di esso, in una zona sottoposta a vincolo, il diniego dell’Ente è legittimo.
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