Le riserve negli appalti pubblici: luci e ombre nel nuovo codice
La disciplina delle riserve introdotta con il d.Lgs. n. 36/2023 non è esente da spunti critici e da perplessità, generando alcuni interrogativi sul piano pratico e operativo
L’istituto delle riserve negli appalti pubblici è stato, più di molti altri, tormentato dallo stravolgimento della disciplina nelle diverse stagioni di ricodificazione della materia a cui si è assistito nell’ultimo quarto di secolo. In questo, il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) non è certo una eccezione.
Riserve negli appalti pubblici: un istituto più volte stravolto
Nel corso del tempo, si è passati dalla rigida procedimentalizzazione tracciata dal d.m. n. 45/2000 e dal successivo d.P.R. n. 207/2010 - figlio di una chiara esigenza di consentire all’amministrazione appaltante il costante controllo della spesa così da poter tempestivamente adottare ogni possibile determinazione (così Cass. civ., Sez. I, 31.12.2020, n. 29988; Cass. civ., Sez. I, 5.9.2018, n. 21656) -, per giungere con il codice del 2016 ad una totale delegificazione. Nella vigenza del d.lgs. 50/2016, infatti, abbiamo assistito alla stagione delle c.d. “riserve fai da te”, ossia una disciplina delle riserve interamente rimessa alla discrezionalità delle stazioni appaltanti (art. 217 comma 17 d.lgs. 50/2016 e art. 9 d.m. 49/2018).
Non può certo negarsi che un simile tentativo di implementazione di meccanismi di soft law – ampiamente declamato negli intenti del legislatore di cui al codice uscente – anche nella fase esecutiva, abbia fallito.
È da tale conclamato fallimento che, a mio parere, sarebbe dovuta scaturire una maggiore attenzione a questo istituto e una maggiore chiarezza della disciplina da tracciare ed inserire nel nuovo codice. Così tuttavia non è stato.
Codice Appalti 2023: tutti i dubbi sulla nuova disciplina delle riserve
Partiamo dunque dal dato strettamente normativo: nel nuovo codice dei contratti pubblici, l’istituto della riserva torna a trovare casa in un comparto normativo certo, l’art. 115, che rinvia a sua volta all’art. 7 dell’All. II.14 per la definizione di ulteriori aspetti di dettaglio.
La nuova disciplina non è tuttavia esente da spunti critici e da perplessità, che pongono non pochi interrogativi sul piano pratico ed operativo e che, anche questa volta, dovranno attendere di finire sugli importanti banchi della prassi operativa e della giurisprudenza per esser risolti.
Il primo interrogativo che balza subito all’occhio è il seguente: è forse scomparso l’onere/obbligo di riserva per il caso di anomalo andamento dei lavori?
Ciò è quanto parrebbe ad una lettura del tassativo elenco fornito dall’art. 7, comma 1, All. II.14, in cui sono menzionate tutte quelle circostanze che non possono dar luogo a riserva. Tra queste, alla lett. e) spiccano “le domande di risarcimento motivate da comportamenti della stazione appaltante o da circostanza a quest’ultima riferibili”.
Nel tradizionale concetto di riserva per “anomalo andamento” rientra, invero, proprio la richiesta risarcitoria derivante da sottoproduzione o mancata produzione riconducibile a comportamenti e circostanze riferibili alla S.A.. In altre parole, chi non iscriverebbe riserva nel caso in cui si verifichino rallentamenti nel cantiere, che comportano un improduttivo vincolo di materiali e mezzi, causato dal rinvenimento di un reperto archeologico non segnalato nel progetto (tipica ipotesi, peraltro, di carenza progettuale imputabile alla SA)?
Il rischio, alla luce della nuova disposizione, è tuttavia che l’appaltatore che versa in una simile circostanza non apponga la riserva, quando invece il consiglio sarebbe certamente il contrario, considerando decenni di prassi univoca utili a non incorrere in pericolose ed irreversibili decadenze.
La soprese che si celano dietro l’elenco di cui all’art. 7 comma 1 dell’All. II.14 non finiscono qui.
Siamo abituati, anche qui sulla scia di una prassi granitica ed ultra decennale, a ritenere esclusa dagli stringenti obblighi tipici della disciplina delle riserve, la tematica dei mancati pagamenti da parte della S.A.: si è sempre stati portati a ritenere che un simile atto costituisce il venir meno al principale obbligo negoziale che ricade in capo alla controparte pubblica e che, più di ogni altro, è in grado di alterare l’equilibro del contratto d’appalto.
Ebbene, oggi l’art. 7, comma 1, lett. c) ci dice chiaramente che non è oggetto di riserva “il pagamento degli interessi moratori per ritardo nei pagamenti”, ma nulla viene specificato in merito alla domanda relativa al pagamento delle somme principali a cui gli interessi sono legati. Verrebbe così da pensare che nell’assetto del nuovo codice, la domanda per il pagamento delle somme principali debba essere oggetto di riserva.
Ultimo elemento – ma non certo per importanza – assolutamente controverso della recente novella legislativa in tema di riserve sembra essere la mancata menzione del termine di 15 giorni per l’esplicitazione delle riserve.
Sebbene si tratti di un tema strettamente legato alle riserve contabili – per le quali ho sempre consigliata l’iscrizione ed esplicazione contestuale su altri documenti dell’appalto in assenza di una declinazione specifica della previsione legislativa ad oggetto il registro di contabilità – si tratta pur sempre delle riserve che, in un certo senso, sono quelle più importanti.
Nel vecchio codice del 2016, in assenza di un termine esplicito stabilito dalla legge per l’esplicitazione delle riserve, erano sorti dei dubbi circa la legittimità, anche costituzionale, di una interpretazione troppo severa e restrittiva del potere discrezionale detenuto in merito della S.A., che randomicamente e in via del tutto sproporzionata avrebbero potuto individuare termini assolutamente restrittivi ed insufficienti, con conseguente lesione degli interessi di una delle parti del contratto d’appalto, segnatamente l’appaltatore.
Nel nuovo assetto normativo, il rischio che l’appaltatore venga pregiudicato e assuma, quasi di diritto, la veste del soggetto leso, appare una certezza. Non vi è più una facoltà alla S.A. di decidere i tempi di esplicazione e di indicarli nel bando, ma sembra proprio che la dilazione precedentemente concessa per l’esplicazione sia del tutto scomparsa. La conseguenza, sembra essere dunque che all’iscrizione della riserva debba fare contestuale seguito l’esplicazione (e quantificazione), fatte salve le ipotesi di cui al comma 2 lett. a) dell’art. 7 per cui “la riserva stessa sia motivata con riferimento a fatti continuativi”.
Mi auguro vivamente che si tratti di una svista e non di una scelta: diversamente, infatti, l’intervento della Corte costituzionale sul punto lo vedo più che vicino.
Nel frattempo, il dubbio e la perplessità restano: come fare se non si è pronti all’atto di ricezione della contabilità a far valere le proprie ragioni in esatti termini di merito e numerici? Per quanto banale, la soluzione resta quella di affidarsi a bravi specialisti in materia di formulazione delle riserve, che certamente potranno fornire opportuni suggerimenti per evitare conseguenze disdicevoli.
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