Ristrutturazione in pendenza di condono: demolizione doverosa

Inammissibili i lavori di modifica o completamento successivi alla presentazione dell'istanza che non permettono una valutazione del manufatto originario

di Redazione tecnica - 24/09/2024

La normativa sul condono non ammette la possibilità di compiere nuovi lavori di modifica su un immobile già oggetto di sanatoria pendente, poiché, in quel caso, verrebbe meno l’attuale riconoscibilità del manufatto originario che dev’essere valutato.

In pendenza di un procedimento di condono, si possono conseguire esclusivamente interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto, e non sono in alcun modo consentiti gli ampliamenti di volumetria, in relazione ai quali si rende doverosa l’emissione dell’ordinanza di ripristino dei luoghi.

Condono pendente: quali interventi ammessi?

Lo ribadisce il TAR Lazio con la sentenza del 5 settembre 2024, n. 16110 che rigetta il ricorso per l’annullamento di un ordine di demolizione disposto per ulteriori opere di ristrutturazione “pesante” - conseguite su un immobile già oggetto di condono, richiesto ai sensi della Legge n. 326/2003 (Terzo Condono Edilizio) - in relazione alle quali, in parte si trasmettevano nuove istanze di condono, e in parte si attribuiva la natura pertinenziale.

Innanzitutto viene chiarito che, in presenza di immobili abusivi non sanati né condonati, gli ulteriori interventi realizzati sugli stessi devono essere considerati illegittimi al pari dell’opera originariamente ritenuta abusiva, in quanto non è possibile proseguire con lavori di completamento e/o modifica di opere che, comunque, fino a quando non ottengono effettivamente l’approvazione di eventuali sanatorie, rimangono sempre abusive.

In questi casi, il Comune non è solo legittimato, ma è anche obbligato, a ordinare la demolizione delle ulteriori opere conseguite su un immobile già oggetto di istanza di condono non ancora esitata.

Tale principio, viene precisato, si applica:

  • a tutti gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia;
  • alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo;
  • alla realizzazione di pertinenze urbanistiche.

​Questo perché, in presenza di un’istanza di condono, l’immobile deve rimanere esattamente com’era al momento della scadenza del termine per l’inoltro dell’istanza.

Non sono ammessi in alcun caso lavori di modifica o completamento e si può intervenire sull’immobile esclusivamente per conseguire eventuali lavori necessari a garantirne la conservazione. In caso contrario, verrebbe meno la riconoscibilità del manufatto originario, che dev’essere valutato ai fini della sanatoria.

Ampliamento corrisponde a ristrutturazione: necessario il Permesso di Costruire 

In virtù di quanto spiegato, non è certo possibile conseguire interventi di ampliamento di un immobile oggetto di istanza di condono pendente, relativi alla costruzione di due locali con tanto di scala esterna, e di una tettoia chiusa per 2/3 dove sono stati realizzati altri piccoli locali (con relativi bagni) - predisposti all’installazione di tutti gli impianti e ad uno stato di finitura avanzato - presumibilmente a servizio di una piscina.

Nel caso in esame, infatti, è stato realizzato un vero e proprio intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), e peraltro, essendo un intervento di ristrutturazione “pesante”, necessitava del Permesso di Costruire come previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso TUE.

È inoltre giurisprudenza consolidata il principio secondo cui “per la realizzazione di un organismo edilizio avente natura e consistenza tali da ampliare in superficie o volume l’edificio preesistente sia necessario ottenere un permesso di costruire, non essendo ammissibile una considerazione astratta ed atomistica dei relativi singoli interventi, dovendone, invece, necessariamente predicarsene una valutazione unitaria, sintetica e complessiva, in quanto divenuti parti di un più ampio quadro di illecito sostanzialmente unitario”.

La nozione di pertinenza urbanistica

A ciò si aggiunge che opere di questo genere non possono essere reputate solo pertinenziali, in quanto tale nozione è attribuibile esclusivamente ai locali di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio.

La concezione di pertinenza in senso urbanistico, infatti, è differente da quella intesa in senso civilistico all’art. 817 c.c., in quanto non considera solo il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma include tutte le caratteristiche dell’opera in sé e l’autonomo impatto urbanistico che produce sul territorio.

Dunque, possono essere considerate pertinenze urbanistiche solamente le opere che:

  • siano di modestissima entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, come ad esempio i piccoli locali necessari al contenimento di impianti tecnologici e simili;
  • siano prive di un autonomo valore di mercato;
  • non comportino incrementi urbanistici;
  • siano coessenziali al bene principale e, quindi, esauriscano la propria finalità nel loro rapporto con l’immobile principale.

È dirimente infine sottolineare che le opere di cui al caso in esame sono state realizzate all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici, ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

A tal proposito, si osserva che, oltre al Permesso di Costruire, era necessario quindi ottenere anche l’autorizzazione paesaggistica e che, in mancanza di questa, l’ordine demolitorio risulta doveroso. In conclusione, il ricorso è stato respinto.

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