Sanatoria e doppia conformità: niente parcellizzazione degli abusi edilizi
Il Consiglio di Stato ribadisce alcuni concetti relativi alla sanatoria edilizia, all’accertamento di conformità e al divieto di parcellizzazione dell’abuso edilizio
Torniamo ad occuparci di richieste di permessi di costruire in sanatoria, difformità e doppia conformità. Il caso analizzato oggi, grazie alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5267/2021, chiarisce alcuni punti interessanti.
Il parere negativo
Da un lato c'è il proprietario di un fabbricato abusivo, dall'altro un comune che ha rigettato la richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentata dall'attuale ricorrente. Per il comune le opere sono state eseguite in assenza e difformità dei titoli edilizi rilasciati precedentemente. Per il Tar ha ragione l'amministrazione comunale. Ma l'uomo non ci sta. E presenta ricorso.
La proposizione di istanza di permesso a costruire in sanatoria
Interessante la replica dei giudici alla contestazione da parte del proprietario del fabbricato. Si legge nella sentenza: "La proposizione di istanza permesso a costruire in sanatoria in relazione ad opere abusive oggetto di ordinanza di demolizione fa venire meno l'interesse alla decisione del gravame proposto avverso al predetto provvedimento demolitorio, atteso che la presentazione dell'istanza di sanatoria, sia essa di accertamento di conformità sia essa di condono, produce l'effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse".
Le difformità
Per quanto riguarda le difformità evidenziate dal comune attraverso un sopralluogo, i giudici del consiglio di Stato chiariscono ancora, utilizzando il DPR N.380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia), in particolare l'art. n. 31: "Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile". Nel caso analizzato, spiegano i giudici, "si evince che la concessione edilizia rilasciata dall’amministrazione appellata aveva ad oggetto la costruzione di un annesso agricolo il cui progetto presentava delle caratteristiche ben precise e che era destinato alla rimessa di attrezzi agricoli". La verifica dell’amministrazione comunale "ha consentito di scoprire la realizzazione di un immobile destinato a civile abitazione costituito da due piani: piano terra e piano interrato descritto nell’ordinanza di rimessa in pristino impugnata in prime cure".
La parcellizzazione degli abusi
Inutile, dicono i giudici il tentativo del ricorrente di parcellizzare i vari abusi realizzati, invocando per ogni singolo intervento l'applicazione di una disciplina a favore, "ma così andando di contrario avviso rispetto alla necessaria valutazione complessiva e non atomistica che deve riguardare l’abuso". Non si può, infatti, secondo i giudici, "scomporre l’abuso in più parti, al fine di negarne l'assoggettabilità alla sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L'opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato". Per i giudici, poi, la totale difformità risulta evidente dal momento che in materia di abusi edilizi "il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione". Nel caso analizzato ricorrono tutte e quattro le condizioni, quindi si è in presenza di un "caso di scuola" di totale difformità tra quanto autorizzato e quanto realizzato.
La doppia conformità
Nel caso analizzato manca completamente l'ormai celebre doppia conformità e per questo appare evidente, sottolineano i giudici "che l’istanza di concessione in sanatoria non poteva essere accolta e in ragione della natura dell’abuso è del pari legittima l’adozione dell’ordinanza demolitoria, non potendo al riguardo invocarsi alcun valido affidamento, non potendo ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. L’appello risulta in definitiva infondato".
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