Sanatoria edilizia e fiscalizzazione degli abusi: nuovo no dalla Cassazione
La mera difficoltà di procedere alla demolizione non può in sé giustificare la revoca o la sospensione dell'ordine demolitorio
La mera difficoltà di procedere alla demolizione non può in sé giustificare la revoca o la sospensione dell'ordine demolitorio; la salvaguardia della statica del fabbricato è rimandata alla fase esecutoria, e solo allora si può accertare se la rimozione delle opere abusive sia impossibile senza pregiudicare la parte conforme dell’edificio.
Sanzione pecuniaria invece della demolizione: fiscalizzare l'abuso è sempre possibile?
La conferma arriva dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 30 gennaio 2023, n. 3704, a seguito del ricorso presentato per l'annullamento e/o alla sospensione dell'ordine di demolizione relativo a due unità immobiliari costruite senza permesso in sopraelevazione di un edificio.
Secodno i ricorrenti, l’esecuzone dell’ordine di demolizione, avrebbe pregiudicato la staticità del fabbricato sottostante, motivo per cui sarebbe stata necessaria una CTU per la corretta individuazione delle opere da demolire e, nel caso di impossibilità di esecuzione dell'ordine demolitorio, applicare la procedura della "fiscalizzazione" ex 34 comma 2 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Cos’è la fiscalizzazione dell’abuso
All'interno del Testo Unico Edilizia è contemplata la sanzione alternativa a quella demolitoria in tre diversi articoli con diversi effetti sullo "stato legittimo" dell'immobile:
- Art. 33 - Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità
- Art. 34 - Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire
- Art. 38 - Interventi eseguiti in base a permesso annullato
Mentre quest’ultimo, al comma 2, prevede che l'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria e quindi l’abuso viene sanato, nei casi previsti dagli articoli 33 e 34 invece l'abuso diventa "tollerato" ma di fatto l'immobile non acquisisce uno stato legittimo.
Nello specifico, l’art. 34, comma 2, prevede che “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
Di fatto, la norma non riserva al privato la scelta tra sanzione reale e sanzione pecuniaria, ma correla l’irrogazione della seconda al dato oggettivo del pregiudizio arrecato dalla demolizione parziale alla parte di edificio eseguita in conformità.
La sentenza della Corte di Cassazione
Nel caso in esame gli ermellini hanno evidenziato che i ricorrenti hanno evocato in maniera solo assertiva il rischio che la demolizione possa incidere sulla statica del fabbricato, senza alcun riferimento a elementi concreti: come già affermato dallo stesso giudice dell’esecuzione, la mera difficoltà di procedere alla demolizione non può in sé giustificare la revoca o la sospensione dell'ordine demolitorio, a ciò dovendosi solo aggiungere che saranno demandate alla fase esecutiva della demolizione la salvaguardia della statica del fabbricato e la contestuale necessità di rimuovere le opere abusive sovrapposte.
Per altro, la prolungata inerzia nell'esecuzione della demolizione non vale di per sé a legittimare l'affidamento del privato su una sorta di sanatoria silente ex post di opere, la cui abusività è stata accertata con sentenza definitiva e con contestuale emissione di un esplicito ordine demolitorio.
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