Secondo condono edilizio e vincoli: silenzio-assenso o silenzio-rifiuto?
La Corte di Cassazione interviene sul diniego di un permesso di costruire in sanatoria richiesto ai sensi del secondo condono edilizio in presenza di vincoli
Il percorso per la regolarizzazione di un abuso edilizio e per l'ottenimento di un permesso di costruire in sanatoria non è mai lineare né tantomeno semplice. L'attuale normativa edilizia concede difficilmente la sanatoria di un abuso, solo in alcuni casi ben circostanziati indicati all'interno del TITOLO IV del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Permesso di costruire in sanatoria: dal condono all'accertamento di conformità
Allo stato attuale, nel caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire, l'art. 36 del Testo Unico Edilizia, ne consente la regolarizzazione solo in presenza della cosiddetta doppia conformità. In questo caso si parla di abusi formali o documentali, in cui entro termini ben precisi e sempre che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, è possibile ottenere, dietro presentazione di una sanzione pecuniaria, il permesso di costruire in sanatoria.
Nel nostro Paese sono state pubblicate 3 leggi sul condono edilizio che hanno consentito la regolarizzazione di abusi sostanziali a determinate caratteristiche. Molte delle istanze presentate, però, sono ancora pendenti e intasano i tribunali di ogni ordine e grado con sentenze che ancora oggi fanno scuola.
Secondo condono edilizio: nuova sentenza della Corte di Cassazione
È il caso della sentenza 21 marzo 2022, n. 9459 resa dalla Corte di Cassazione che ci consente di approfondire il tema legato al secondo condono edilizio in caso di presenza di vincoli. La sentenza in questione si riferisce, in realtà, sia al secondo condono di cui alla Legge 23 dicembre 1994, n. 724 che al terzo di cui alla Legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269.
Nel caso di specie, a finire sotto il martello degli ermellini è un ordine di demolizione emesso a seguito del rigetto di due istanze di condono edilizio rigettate per non essere le opere conformi agli strumenti urbanistici.
Nel caso di specie, l'opera oggetto dell'ordine di demolizione è costituita da un immobile con destinazione abitativa articolato su due livelli (piano terra e primo piano) con garage di pertinenza distaccato dal manufatto principale. Immobile oggetto di due distinte domande di condono:
- la prima risalente al 16.2.1995 per il conseguimento del titolo in sanatoria ai sensi della L. 724/1994 del fabbricato composto dall'unica abitazione su due livelli e dell'annesso garage;
- la seconda formalizzata in data 10.12.2004 volta al conseguimento ai sensi della L. 326/2003 del cambio di destinazione d'uso del garage ad abitazione.
Entrambe le pratiche rigettate a cui è seguito l'ordine di demolizione entro novanta giorni.
Condono edilizio e vincoli
Il Comune aveva rigettato le istanze perché il primo immobile era stato realizzato su area sottoposta a plurimi vincoli paesaggistico ambientali, mentre il secondo non poteva essere oggetto di sanatoria in quanto comprensiva di modifiche eseguite successivamente al termine fissato per l'ultimazione dalla stessa legge di condono, per la restante mancava il parere dell'autorità preposta al vincolo.
La Cassazione ha preliminarmente chiarito che il secondo condono edilizio non può essere concesso, per gli interventi realizzati in zona vincolata, in carenza della necessaria autorizzazione paesaggistica. Per le opere abusive in zona sottoposta a vincolo paesistico l'effetto del condono si verifica, infatti, solo quando l'autorità preposta al vincolo, mediante una valutazione di compatibilità con le esigenze sostanziali di tutela, abbia ritenuto l'opera già eseguita suscettibile di conseguire l'autorizzazione in sanatoria.
La disposizione contenuta nell'art. 39, settimo comma della L. n. 724 del 1994, che prevedeva che "per le opere eseguite su immobili soggetti alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, relative ad ampliamento o tipologie d'abuso che non comportano aumento di superficie o di volume, il parere deve essere rilasciato entro centoventi giorni; trascorso tale termine il parere stesso si intende reso in senso favorevole", è stata abrogata dalla L. 23 dicembre 1996, n.662, art. 2, comma 43, ed il successivo comma 44 di detto articolo prevede che "il rilascio della concessione edilizia o dell'autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alle L. 1 giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, nonché in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologia e delle falde idriche nonché dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell'abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso", che ove non reso entro centottanta giorni dalla domanda vale quale silenzio-rifiuto, impugnabile dal richiedente.
Nel caso di specie non risulta rilasciato il provvedimento sanante, né è stato dimostrato che si sia formato silenzio-assenso in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 662 del 1996. Al contrario, è la stessa ricorrente ad allegare alla sua impugnativa un provvedimento a lei sfavorevole, qual è l'ordine di demolizione reso dall'amministrazione comunale con riferimento ad entrambe le domande di condono, senza aver mai prospettato un silenzio-assenso, il quale soltanto avrebbe consentito di ritenere la prima domanda di condono assentita.
Non avendo confutato la tesi di non condonabilità dell'opera realizzata su area soggetta a vincolo ambientale, i ricorsi avverso l'ordine di demolizione risultano inammissibili.
La sospensione dell'ordine di demolizione
La Cassazione ha, altresì, aggiunto che anche a seguire la prospettazione difensiva secondo cui il silenzio-rifiuto della Soprintendenza non si sarebbe mai formato, è sufficiente rilevare che, nulla essendo stato dedotto in ordine alla tempistica per l'acquisizione di detto parere, il giudice dell'esecuzione non aveva alcun obbligo, a fronte di una domanda di condono pendente da oltre venticinque anni, di sospendere l'ingiunzione demolitoria.
È ormai pacifica la tesi per cui in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione, investito della richiesta di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione di opere accertate come abusive, è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare a verificare il possibile risultato dell'istanza in ordine alla sussistenza di cause ostative al suo accoglimento e in caso negativo, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo nella prospettiva di un suo rapido esaurimento.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 21 marzo 2022, n. 9459IL NOTIZIOMETRO