Servitù di uso pubblico su proprietà privata: quando una SCIA è illegittima
Il Consiglio di Stato ricorda i presupposti su cui si basa la presenza di una servitù di uso pubblico, che può impedire la realizzazione di interventi da parte dei privati
Una SCIA non è assentibile nel momento in cui si riscontra la presenza di una servitù di uso pubblico, anche se si tratta un'area di proprietà privata. Lo spiega il Consiglio di Stato, sez. Quarta, con la sentenza n. 3618/2022, con cui ha confermato il provvedimento di annullamento in autotutela emesso da un’Amministrazione comunale contro una SCIA finalizzata al restringimento della viabilità di una strada mediante l’installazione di una barriera manuale.
Servitù di uso pubblico su strada privata: la sentenza del Consiglio di Stato
La decisione dei giudici di Palazzo Spada ha ribaltato la sentenza, anzi le sentenze di primo grado, che avevano rispettivamente annullato il provvedimento di autotutela emesso dall'Amministrazione Comunale. In particolare, il TAR aveva affermato che una servitù di uso pubblico è configurabile alle seguenti condizioni:
- 1) passaggio esercitato iure servitutis pubblicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
- 2) concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze ed interessi di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
- 3) titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile;
- 4) interventi di manutenzione da parte della P.A.
Secondo il giudice di primo grado, queste condizioni non risultavano evidenti dalla documentazione prodotta dall’Amministrazione. Dopo la sentenza, l’amministrazione ha emanato un nuovo provvedimento di annullamento in autotutela, reiterando l’ordine di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
Anche questo provvedimento è stato impugnato e nuovamente annullato dal TAR, specificando che se le aree in questione non erano state cedute in base ad una precedente convenzione urbanistica, per cui la previsione del relativo obbligo non poteva determinare, di per sé, l’illegittimità della S.c.i.a.
Il provvedimento amministrativo va sempre motivato
Da qui l’appello al Consiglio di Stato: il Comune ha spiegato che il TAR ha annullato il primo ordine di inibizione e rimozione delle opere solo perché ha ritenuto non adeguatamente istruito e motivato l’ordine di inibizione della S.c.i.a. e senza precludere o determinare in alcun modo l’eventuale ri-esercizio del potere dell’amministrazione.
Tale ri-esercizio del potere sarebbe poi avvenuto, con il provvedimento impugnato, con un più compiuto approfondimento istruttorio e con una motivazione in larga parte non coincidente a quella precedentemente esposta a sostegno del primo ordine emanato. In particolare, l’amministrazione ha più ampiamente illustrato le ragioni giustificatrici che l'hanno indotta a ritenere che la strada, che dovrebbe essere oggetto dell’apposizione di una sbarra volta ad impedire il traffico veicolare, sia adibita “ad uso pubblico”.
Presupposti per il rilascio del permesso di costruire
Nel valutare il caso, il Consiglio ha preliminarmente ricordato che ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo. La norma si applica al presentatore di una segnalazione certificata di inizio attività, ossia a colui che, come proprietario o avente la materiale disponibilità del bene, richieda un titolo edilizio e che dovrà necessariamente allegare e dimostrare di essere legittimato alla realizzazione dell’intervento che ne costituisce oggetto; il Comune conserverà il potere di verificare la legittimazione del richiedente e accerterà se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.
Questa premessa è stata finalizzata a spiegare che nel caso in esame non si contesta la titolarità del diritto di proprietà dell’area, ma che esso e, conseguentemente, il bene oggetto di quel diritto reale, sia libero da pesi o vincoli, che risultino ostativi rispetto al tipo di intervento che si intende realizzare.
In particolare, il Comune ha ravvisato la sussistenza di un uso pubblico della strada per queste ragioni:
- della sua percorrenza, protrattosi nel tempo, da parte di una generalità indifferenziata di individui residenti in quella specifica zona del territorio comunale;
- b) del suo essere l’unico percorso di accesso alla “via pubblica”, per un insieme di fabbricati, serviti dalla suddetta strada e collocati al di là della zona dove si intende collocare la sbarra;
- c) della presenza, lungo la carreggiata della strada, della rete e delle infrastrutture di molteplici servizi pubblici e utenze;
- d) dell’avvenuta cura, nel tempo, del buono stato di manutenzione della sede stradale da parte del Comune (che si è, dunque, perciò assunto l’obbligo della custodia del bene);
- e) dell’essere stata ricompresa nell’ambito di una serie di beni da cedere al Comune, nell’ambito dell’attuazione di un piano di lottizzazione.
In sostanza, l’Aministrazione ha dimostrato in maniera adeguata che, pur sussistendo una piena tutiolarità nel richiedere una SCIA, essa non poteva essere assentita perché sulla strada esisteva una servitù di uso pubblico e il suo rilascio la avrebbe inibita.
L’appello è stato quindi accolto, legittimando il provvedimento di annullamento in autotutela della SCIA.
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