Sopraelevazioni, ampliamenti e volumi tecnici: nuova sentenza di Palazzo Spada
Consiglio di Stato: "si definisce tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale"
Nel caso di ampliamenti o sopraelevazioni, quando è possibile parlare di volumi tecnici non qualificabili come "nuova costruzione" che, quindi, non necessitano di permesso di costruire?
Sopraelevazioni, ampliamenti e volumi tecnici: la sentenza del Consiglio di Stato
Ha risposto a questa domanda il Consiglio di Stato con la sentenza 17 febbraio 2022, n. 1184 che ci consente di approfondire l'argomento che nasce da un provvedimento demolitorio emesso dal Comune e confermato in primo grado, fondato sul presupposto che fosse stata realizzato un incremento volumetrico in sopraelevazione che andrebbe qualificato come nuova costruzione, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e.6) del d.P.R. n. 380 del 2001. E come tale soggetto al regime del permesso di costruire.
Nel caso di specie, l’intervento edilizio oggetto dell’ordine di demolizione:
- per la sua consistenza volumetrica, non è annoverabile tra gli incrementi pertinenziali realizzabili senza permesso di costruire;
- non presenta le caratteristiche costruttive necessarie per poter essere considerato un «volume tecnico».
Definizione di volume tecnico
Il Consiglio di Stato ha ricordato una consolidata giurisprudenza che definisce tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all’interno dell’edificio. Tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all’ascensore e simili.
Solo alle predette condizioni tali volumi non vanno computati nel calcolo della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non generano autonomo carico urbanistico.
Nel caso di specie veniva accertata una superfice utile lorda (SUL) al piano terra (immobile principale) pari a mq 49,20 e al piano primo un volume tecnico avente una SUL di mq 10,43. Su queste base di questa verifica il Comune aveva concluso che la SUL del volume tecnico (piano primo) non è contenuta per sua misura nel limite percentuale del 20% della superficie utile lorda dell’immobile principale (piano terra).
Il verificatore non ha correttamente escluso nel computo della superficie del “volume tecnico” le murature perimetrali. Vero è che l’articolo 4, lettera b), delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico prevede che, dal computo della SUL ‒ determinata in mq come la somma delle superfici lorde dell’unità edilizia, comprese entro il perimetro esterno delle murature, di tutti i livelli fuori ed entro terra degli edifici e qualunque sia la loro destinazione d’uso ‒ devono essere escluse, tra l’altro, le superfici relative a «locali o volumi tecnici, per le sole parti emergenti dall’estradosso del solaio di copertura».
Sennonché, questo criterio di calcolo non è applicabile alla fattispecie in esame in cui detto volume non è posto al di sopra dell’estradosso del solaio di copertura in quanto allo stesso piano (primo) è ubicata la superficie oggetto di piano casa che bisogna “attraversare” per entrare nel cosiddetto “locale tecnico”.
Sotto altro profilo, il ‘locale tecnico attiguo’ non andava sottratto dal computo del volume e della SUL. Il locale in questione non era destinato a nessuna esigenza tecnico-funzionale dell’immobile, presentandosi, al contrario, quale vano completamente vuoto, dotato delle medesime finiture del restante immobile (pavimentazione, battiscopa, prese elettriche, illuminazione).
Il vano in questione costituisce parte integrante dell’edificio realizzato, posto allo stesso livello del piano superiore e a cui si accede per mezzo di una porta a “soffietto”; secondo il surriferito indirizzo giurisprudenziale, i volumi tecnici allocati al di fuori del corpo dell’edificio e ad esso funzionali.
Il locale tecnico anche per l’altezza si connota come locale abitabile: esso ha infatti una altezza contenuta tra m. 2,92 e m. 3,04 e quindi maggiore di quella consentita. Al riguardo, non può assumere rilievo il cartongesso posizionato nel vano in questione per limitare l’altezza dello stesso, dovendosi prendere in considerazione l’altezza all’intradosso (altrimenti sarebbe consentito realizzare surrettiziamente ‘volumi tecnici’ di qualunque altezza, inserendo al loro interno un controsoffitto volto a ‘rappresentarne’ i limiti di utilizzo).
Finestratura e abitabilità
La finestratura realizzata al piano primo rispetta comunque il rapporto tra la superficie di calpestio e quella dell’illuminazione richiesta per l’abitabilità: la porta finestra realizzata è larga 2.80 ml e alta 2.54 mt per una superficie illuminante di 7.11 mq, giusto rapporto per illuminare l’intero ambiente di mq 14.64 (eliminando il tramezzo in cartongesso che “divide” la prima parte del piano primo con il locale de quo).
E, come affermato in giurisprudenza, non costituisce indice contrario all’intenzione di rendere abitabile un locale, «la circostanza che […] alcune delle finestre poste in detto locale siano state tamponate in modo da contenere il rapporto di aero-illuminazione al di sotto dei parametri previsti dal regolamento edilizio per i locali abitabili; e ciò in quanto la tamponatura delle finestre è un’operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa; e quindi non può considerarsi volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre».
Ampliamento in sopraelevazione
Non trova conferma neanche l’ulteriore affermazione dell’appellante secondo cui l’ampliamento in sopraelevazione realizzato sul lastrico di copertura dell’esistente e sottostante manufatto dovrebbe scomporsi in due distinti locali:
- l’ampliamento, in sopraelevazione, del volume ‘piano casa’;
- l’ampliamento, in sopraelevazione, del volume tecnico.
La verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento realizzato abusivamente deve essere condotta prendendo in considerazione le opere nella loro globalità, che non possono essere considerate in modo atomistico, non essendo ammessa la possibilità di frazionare i singoli interventi edilizi difformi al fine di dedurre la loro autonoma rilevanza.
Nuova costruzione e permesso di costruire
Alla luce delle suddette considerazioni, l’intervento edilizio va qualificato come «nuova costruzione», ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), del d.P.R. n. 380 del 2001 ‒ riferito agli «interventi pertinenziali […] che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale» ‒ soggetto come tale al regime del permesso di costruire.
Non era utilizzabile l’istituto della D.I.A. alternativa al permesso di costruire, essendo quest’ultima prevista (dall’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, vigente ratione temporis) soltanto per gli «interventi di ristrutturazione edilizia», di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 17 febbraio 2022, n. 1184IL NOTIZIOMETRO