Uno spettro si aggira per l’Italia: il BIM
L’obbligatorietà del BIM nell’appalto pubblico in Italia è un fantasma? Esiste o no? Una disamina ragionata sulla metodologia BIM negli appalti pubblici
Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro del BIM. Ebbene si, l’obbligatorietà del BIM nell’appalto pubblico in Italia è un fantasma, forse esiste, forse no, non si sa. Per scoprire l’origine di questo “spettro” cominciamo dall’inizio.
La Direttiva 2014/24/UE, cui facciamo riferimento in quanto è la Direttiva di maggiore applicazione anche se i principi e le previsioni sono uguali anche nella Direttiva 2014/25/UE, come è noto ha fra i suoi principali obiettivi quello di stimolare l’innovazione. Ciò risulta in modo chiaro dal considerando n. 47 della citata Direttiva, il quale testualmente recita che “Le autorità pubbliche dovrebbero utilizzare gli appalti pubblici strategicamente nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione.”
Ciò non a caso. A livello strategico l’Unione Europea ha inquadrato nell’innovazione la leva per accrescere la propria competitività nel mercato globale.
Sulla base di questo obiettivo, l’art. 22 della Direttiva, la cui rubrica è “Regole applicabili alle comunicazioni”, al paragrafo 4 prevede che “Per gli appalti pubblici di lavori e i concorsi di progettazione, gli Stati membri possono richiedere l’uso di strumenti elettronici specifici, quali gli strumenti di simulazione elettronica per le informazioni edilizie o strumenti analoghi. In tali casi, le amministrazioni aggiudicatrici offrono modalità alternative di accesso, come previsto al paragrafo 5, fino al momento in cui tali strumenti divengono generalmente disponibili ai sensi del paragrafo 1, primo comma, secondo periodo.”
Pertanto, la Direttiva non impone l’uso degli “strumenti di simulazione elettronica” ma si preoccupa solo di richiedere agli Stati membri di fare in modo che, qualora decidano di richiedere l’utilizzo di detti strumenti, non si verifichino limitazioni all’accesso alle procedure dovute al fatto che gli “strumenti” non sono accessibili a tutti. In buona sostanza, gli Stati membri possono chiedere gli “strumenti di simulazione elettronica” purchè ciò non danneggi il libero accesso alle procedure e quindi il principio di libera concorrenza.
Ecco, questa è l’origine dello “spettro”.
Da questa previsione della Direttiva che evidentemente nasce dalla diffusione nel resto del mondo e dell’Unione Europea del BIM e che mira semplicemente a fare in modo che il suo utilizzo non vada a limitare il principio cardine della libera concorrenza, si è arrivati, in sede di recepimento della Direttiva, alla obbligatorietà dell’utilizzo dei suddetti strumenti.
A proposito dell’utilizzo nel resto del mondo del BIM è opportuno fare alcune considerazioni.
Come è ormai noto, soprattutto negli ultimi anni, l’interesse per il BIM nel mondo delle costruzioni è in notevole aumento, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Nonostante la ricerca scientifica e le buone pratiche abbiano evidenziato i notevoli vantaggi che il BIM può portare a tutta la filiera delle costruzioni e a tutti gli attori coinvolti (primi tra tutti i committenti, progettisti, imprese e gestori immobiliari), i fattori che più trainano l’utilizzo del BIM rimangono il mercato (la crescente richiesta dei committenti, la promozione incalzante delle software house) e le imposizioni legislative. Queste ultime, di fatto, intervengono sulla domanda pubblica. Basti a riguardo pensare a ciò che è accaduto in Europa a seguito del recepimento della Direttiva 2014/24/UE e a come, per esempio, ha risposto il Regno Unito, il quale ha richiesto l’implementazione del BIM Livello 2 (in breve l’uso del BIM nella fase di progettazione e costruzione) per la realizzazione di tutte le opere pubbliche nazionali già dal 2016.
Nonostante il fatto che gli obblighi normativi imposti dai singoli stati siano uno dei fattori trainanti per la diffusione del BIM, al tempo stesso tali obblighi, con le loro imperfezioni, risultano essere anche uno dei
principali ostacoli nell’utilizzo della metodologia. Uno studio statunitense [McKinsey Global Institute (AA.VV), “Digital America: a tale of the haves and have-mores”, dicembre 2015. McKinsey & Company] ha evidenziato come il settore delle costruzioni, rispetto a molte altre industrie manifatturiere, sia caratterizzato da un lento tasso di digitalizzazione, in particolare in termini di costruzione di risorse digitali, di espansione dell’uso del digitale e per la creazione di una forza lavoro altamente digitalizzata. A supporto di quanto sopra, ulteriori ricerche condotte e focalizzatesi sull’analisi della diffusione della digitalizzazione e, in particolare, sulla diffusione del BIM nell’industria delle costruzioni, riportano che la stessa situazione evidenziata negli Stati Uniti (primi nello studio dell’approccio BIM) si ripresenta in alcuni Paesi europei così come in altri parti del mondo come Australia, India, Cina e Sud Africa.
Gli studi evidenziano come uno dei principali ostacoli nell’adozione del BIM è rappresentato dalla mancata definizione delle responsabilità sul contenuto dei modelli e allo status giuridico di questi, dalla mancata assegnazione di ruoli, responsabilità e corrispettivi, dalla mancata definizione di standard nazionali utili a tutta la filiera delle costruzioni e alla scarsa disponibilità di personale altamente specializzato. Tali carenze sono in buona parte riconducibili ad un operato non efficace del Legislatore dei singoli stati che, spesso, si è limitato ad imporre l’obbligo normativo senza però coordinare le azioni a valle derivanti dall’obbligo in questione. Ciò, nella maggior parte dei casi, ha generato confusione, dispersione e perdita di efficienza e in alcuni casi anche deficit di efficacia della policy pubblica.
In prima linea nell’accogliere e facilitare l’innovazione rappresentata dal BIM troviamo gli Stati Uniti i quali già dalla fine degli anni ’70 a livello accademico iniziavano a parlare di quello che poi è diventato il BIM e che grazie alla General Service Administration (ente di riferimento) dal 2003 hanno stabilito un programma nazionale per lo sviluppo del BIM 3D e 4D. Altro fondamentale contributo per l’impiego del BIM nel panorama internazionale è senza dubbio quello dato dei paesi del nord Europa. In particolare, ricordiamo che la Finlandia, grazie al Senate Properties, già dal 2001 ha iniziato ad introdurre il BIM con la pubblicazione del COBIM e la Norvegia, grazie al Norvegian Directorate of Public Construction and Property, promuove il BIM e la richiesta dei formati IFC per tutti i progetti già a partire dal 2010.
Lo stesso Regno Unito, attraverso il RIBA (Royal Institute of British Architects), dal 2011 (quindi prima della Direttiva 2014/24/UE) ha attuato un piano per l’impiego del BIM negli appalti pubblici.
Non è un caso che gli esempi più virtuosi di utilizzo del BIM nascano da iniziative volontarie, di enti e organizzazioni internazionali e nazionali, le quali, già prima di qualsiasi “obbligo normativo”, hanno riconosciuto l’elevato potenziale che l’impiego del BIM poteva e può avere per il settore delle costruzioni. Su tale presupposto, dette organizzazioni hanno, e continuano tutt’oggi, a sviluppare procedure, linee guida e standard con il primario scopo di tratteggiare un processo edilizio virtuoso basato su un flusso di informazioni continuo e coerente durante tutto il ciclo di vita dell’edificio, dalla sua ideazione alla sua dismissione o al suo riuso. Tali organizzazioni, tra cui la BuildingSMART, sono stati e sono tutt’oggi di supporto per l’azione regolamentatoria degli Stati.
Il legislatore nazionale, almeno sino ad ora, ha preferito un approccio più consolidato e tradizionale basato, almeno negli intenti, sull’obbligatorietà progressiva dell’impiego della metodologia BIM.
Infatti, l’art. 23, c. 13, del D.Lgs. 50/2016 prevede che “Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da adottare entro il 31 luglio 2016 …. sono definiti le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell’obbligatorietà dei suddetti metodi presso le stazioni appaltanti, le amministrazioni concedenti e gli operatori economici….”
In attuazione del citato art. 23, c. 13, in data 1.12.2017 viene adottato il Decreto Ministeriale n. 560, il quale indica alcune modalità di utilizzo del BIM e all’art. 6 dispone testualmente “Le stazioni appaltanti richiedono, in via obbligatoria, l’uso dei metodi e degli strumenti elettronici di cui all’art. 23, comma 1, lett. h), del codice dei contratti pubblici secondo la seguente tempistica…..”.
Dal momento che il citato art. 23 conferisce espressamente al Decreto Ministeriale il potere di definire i tempi dell’introduzione dell’obbligo del BIM e che il citato art. 6 del Decreto prevede perentoriamente che esso deve essere richiesto “in via obbligatoria”, non sembrava ci fossero dubbi sul fatto che il D.M. 560/2017 fosse un regolamento e quindi che quanto in esso contenuto dovesse essere rispettato.
In realtà, nel leggere la premessa al D.M. non si trova citato l’art. 17 della L. 400/1988, ossia la norma che disciplina l’esercizio della potestà regolamentare da parte dello Stato, né compare mai la parola “regolamento”. In ogni caso, la previsione di un obbligo ben preciso e diretto a tutte le stazioni appaltanti non sembrava poter essere messo in dubbio dalla mancanza di un elemento formale.
Successivamente, nel 2018 l’ANAC decide di revisionare la linea guida n. 1 per apportare modifiche relative all’introduzione del principio del c.d. “equo compenso” e per fornire indicazioni sull’uso di metodi e strumenti elettronici specifici.
La bozza di linea guida revisionata viene così sottoposta al parere del Consiglio di Stato, il quale emana il parere n. 1349 del 2.5.2019. In detto parere il Consiglio di Stato afferma che il D.M. 560/2017 ha natura normativa, nonostante il citato art. 23, c. 13, non lo qualifichi espressamente come regolamento.
Ciò in quanto il Decreto presenta in concreto le caratteristiche del regolamento: generalità, astrattezza e innovatività.
Pertanto, esso doveva essere adottato nel rispetto dell’art. 17 della L. 400/1988 e quindi sottoposto al parere del Consiglio di Stato, così come previsto dal comma 4 dell’anzidetto art. 17.
Il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che il D.M. 560/2017 è quindi illegittimo per violazione dell’art. 17, c. 4, della L. 400/1988 e, di conseguenza, non si esprime sulle modifiche alla linea guida n. 1 relative al BIM perché il D.M. “non può essere acquisito, in sede consultiva, quale atto normativo fondante l’intervento da parte delle linee guida dell’ANAC”.
Visto quanto affermato dal Consiglio di Stato, l’ANAC ha eliminato dalla revisione della linea guida n. 1 la parte relativa al BIM, così come espressamente riportato nella relazione illustrativa che ha accompagnato l’adozione della linea guida revisionata.
Ultimo tassello di questa intricata vicenda è l’art. 48, c. 6, del D.L. 77/2021, il quale, dopo aver previsto che le stazioni appaltanti possono prevedere l’assegnazione di un punteggio premiale per l’utilizzo nella progettazione dei metodi e strumenti elettronici specifici di cui all’art. 23, c. 1, lett. h), del D.Lgs. 50/2016, espressamente dispone che “Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con provvedimento del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, sono stabilite le regole e specifiche tecniche per l’utilizzo dei metodi e strumenti elettronici di cui al primo periodo, assicurandone il coordinamento con le previsioni di cui al decreto non regolamentare adottato ai sensi del comma 13 del citato articolo 23.”
Quindi secondo il Legislatore il D.M. 560/2017 non ha natura regolamentare.
A proposito del suddetto art. 48, sembra opportuno fare un inciso. Il D.L. 77/2021 è collegato al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e mira, tra l’altro e sempre sotto la bandiera della semplificazione, a snellire i processi che portano alla realizzazione di un’opera pubblica. Come noto un pilastro del PNRR, anzi, il primo dei sei pilastri, titola “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”. Sembra quindi un paradosso che
per facilitare l’attuazione del PNRR il Legislatore abbia deciso, di fatto, di eliminare una leva essenziale per spingere la Pubblica Amministrazione verso la digitalizzazione e l’innovazione degli appalti pubblici.
Ma questo è, per l’appunto, un “inciso paradosso”.
Orbene, la domanda che nasce immediata è: il Legislatore può con una norma primaria successiva al D.M. 560/2017 qualificare quest’ultimo come “decreto non regolamentare”?
Forse la risposta la troviamo nel citato parere 1349 del Consiglio di Stato, in cui si legge “Anche a fini didascalici e per il futuro, vale la pena di cogliere l’occasione per ricordare che secondo la giurisprudenza appena citata (in accordo alla natura stessa degli atti normativi), ai fini della corretta qualificazione dell’atto non solo è del tutto irrilevante la mancata indicazione come regolamento nella norma primaria di autorizzazione alla adozione, ma è altresì del tutto irrilevante la espressa indicazione contraria (“atto non avente natura regolamentare” o espressioni simili). La natura normativa (e quindi regolamentare) del provvedimento amministrativo a ciò deputato è infatti ad esso intrinseca in relazione al possesso dei requisiti sopra menzionati (n. d. r. generalità, astrattezza e innovatività) (la cui attribuzione spetta al Legislatore primario, ma la cui sussistenza può essere accertata e decisa solo dal giudice amministrativo analizzandone le conseguenze sull’ordinamento giuridico), e dunque la presenza ontologica di tali requisiti, sol per sé attribuisce all’atto la potestà normativa, cioè il potere di introdurre norme giuridiche all’interno dell’ordinamento giuridico, al di là di qualsiasi indicazione formale, anche proveniente dal Legislatore primario, in un senso o nell’altro.”
E’ appena il caso di evidenziare che la qualificazione come regolamentare o meno del DM. 560/2017 non è una mera questione teorica, in quanto se esso non ha natura regolamentare non è vincolante e quindi le scadenze temporali di cui all’art. 6 del Decreto non sono vincolanti.
Occorre inoltre spendere due parole sul concetto di “punteggio premiale” legato all’impiego del BIM, in quanto anch’esso alimenta la “leggenda” del BIM in Italia.
Chi ha avuto modo anche solo di leggere sul BIM, sa che tale metodologia innova profondamente il processo di produzione del progetto e, secondo una visione più amplia, l’intero processo di gestione di un’opera. L’impiego del BIM non si limita alla produzione di un disegno in “tre dimensioni”, bensì implica l’avvenuta progettazione a monte del processo di project management dell’iniziativa. A valle, e per buona parte della filiera degli operatori coinvolti, l’adozione di tale metodologia impone un cambio di paradigma secondo cui la condivisione del dato e la sua strutturazione e gestione diventano elemento cardine per facilitare la gestione dei correlati processi. Ciò con l’intento, comune, di realizzare l’opera nell’auspicato rispetto dei tempi, dei costi, della qualità attesa e della sostenibilità nel tempo. Rispetto la metodologia tradizionale l’impiego del BIM richiede uno sforzo, anche economico, maggiore nella fase iniziale di avvio dell’iniziativa, garantendo al tempo stesso un progressivo vantaggio, in primis per l’Ente committente e poi per tutti gli attori della filiera coinvolti, che possono beneficiare di un incremento di efficienza nella gestione dei propri processi soprattutto laddove si dovessero manifestare, nel corso della realizzazione dell’iniziativa, shock tali da giustificare modifiche e varianti.
Come tutte le innovazioni, anche il BIM per poter essere impiegato con successo necessita di una posizione chiara a riguardo da parte del committente. Una “domanda” adeguata e matura induce “l’offerta” ad adeguarsi, ricorrendo in primis alle migliori competenze disponibili sul mercato. Di contro, una domanda mal formulata e scarsamente strutturata produce un’offerta di scarsa qualità. E’ evidente che una “domanda” adeguata è disposta a “spendere” parte delle proprie risorse per poter ottenere l’impiego della metodologia BIM, proprio perché ne apprezza il valore e l’importanza.
Il BIM è quindi, necessariamente, una prestazione contrattuale e non un premio che può o meno essere riconosciuto in funzione della decisione, demandata dal committente all’appaltatore, di impiegare tale metodologia. Una volta assunta la decisione di richiedere tale prestazione al futuro appaltatore, la stazione appaltante si dovrà preoccupare di fornire ai concorrenti le specifiche atte a garantire che il BIM sia impiegato secondo i requisiti richiesti dall’Ente committente. In questo modo i concorrenti potranno stimare l’onere derivante dal recepimento di tali specifiche e, conseguentemente, formulare la propria migliore offerta. Tale indicazione è fondamentale: in caso contrario l’Ente si ritroverebbe nel tempo ad avere progetti organizzati su basi dati l’una diversa dall’altra, con un dispendio di risorse incalcolabile per dare seguito ai processi di monitoraggio e controllo e con l’aggravante di dover nel seguito impiegare altre risorse per omogenizzare e allineare tra loro le basi dati nel tempo acquisite. Tale modo di procedere, più di altri, si configurerebbe come un danno per l’erario.
L’impiego del BIM non può quindi ridursi ad essere inserito nei documenti di gara con una semplice “frasetta”: anche il solo pensarlo è avvilente e mortificante per le professionalità che operano in tale ambito.
Limitare l’impiego del BIM alla fase di offerta, relegandolo ad un punteggio premiale, snatura l’essenza della metodologia stessa e, con il trascorrere del tempo, rischia di accostare il BIM a quello che è stato il possesso delle certificazioni: tutti gli operatori economici le hanno ma in pochissimi le applicano all’interno delle commesse. Oppure ancora, si rischia di accostare il BIM alle uova di Pasqua in cui la sorpresa (il premio, per intenderci) è spesso deludente. Inquadrare in tal modo l’offerta tecnica dovrebbe essere svilente non solo per la stazione appaltante ma anche per il Legislatore.
Se invece si vuole considerare il BIM in fase di gara, questo dovrebbe comunque essere previsto nei documenti di gara come prestazione a corredo e completamento della prestazione principale, ad esempio la progettazione esecutiva. In questa ipotesi, nell’offerta tecnica, proseguendo nell’esempio, potrebbe essere valutata la capacità del concorrente nel riuscire a recepire le specifiche di modellazione fornite dall’Ente applicando le stesse ad uno o più elementi significativi del progetto. In questo modo si disporrebbe di offerte comparabili, oggettivamente valutabili e utili alla stazione appaltante nella fase successiva di esecuzione del contratto.
Fatte queste doverose considerazioni sul corretto utilizzo del BIM, torniamo alla situazione in cui si trova l’operatore del diritto: per il Legislatore il D.M. 560/2017 non è vincolante ma l’impiego del BIM può essere considerato un elemento premiale in gara, per il Consiglio di Stato il D.M. ha natura regolamentare e quindi è vincolante, ma è illegittimo.
Anche in questo caso, come già ad esempio è stato per l’appalto integrato o per il mancato impiego di alcune Linee Guida dell’ANAC non vincolanti, l’operatore del diritto deve rifarsi alle Direttive Europee da una parte e al buon senso dall’altra.
Come accennato, il BIM è in primis uno strumento di comunicazione fondato sull’organizzazione delle informazioni al fine della loro gestione da parte dei soggetti preposti a dare seguito ai processi gestionali (project manager, RUP, responsabili di commessa, etc.) e operativi (progettisti, direttori lavori, direttori di cantiere, etc.). Incrementare l’efficacia della comunicazione dovrebbe essere uno degli obiettivi principali di qualunque project manager dell’opera pubblica, conscio del fatto che una carenza in tale area del progetto porterebbe quasi inevitabilmente a deficienze sull’intero progetto, riducendo la possibilità di riuscire a conseguire gli obiettivi dichiarati in termini di tempi, costi, qualità attesa e sostenibilità. A ciò si aggiunge che, nei mercati internazionali così come in appalti privati di grandi committenze per opere da realizzarsi su suolo nazionale, l’impiego del BIM non è nemmeno più considerato una novità bensì è un elemento imprescindibile. Le evidenti difficoltà riscontrate, o previste, dal Legislatore nel riuscire ad impiegare tale metodologia (solo in questo modo può essere letta la decisione di declassare il D.M. 560/2017 a decreto non regolamentare) non devono e non possono limitare un processo di ammodernamento e innovazione che, altrimenti, porterebbe i progettisti e costruttori nazionali nell’arco di pochi anni, a non avere nessuna chance di competere in gare internazionali.
Pertanto, fin quando non sarà vietato (non è detto che possa essere questo il prossimo, paradossale, passo verso la tanto invocata semplificazione), meglio prevedere l’impiego del BIM negli appalti e concessioni, indipendente dalle previsioni del D.M. 560/2017. Progressivamente, calibrando lo sforzo economico, di formazione e di modifica dei propri processi, ma traguardando la meta in modo deciso e senza voltarsi continuamente indietro.
IL NOTIZIOMETRO