Libera Professione, contributi dovuti anche per le consulenze
Scontano il contributo integrativo a favore delle Casse di previdenza non solo le prestazioni tipiche del libero professionista, ma anche tutti i compensi ch...
Scontano il contributo integrativo a favore delle Casse di
previdenza non solo le prestazioni tipiche del libero
professionista, ma anche tutti i compensi che sono concretamente
riconducibili alla professione dell'attività svolta dal
professionista. Si allarga, dunque, il ventaglio di attività
professionali i cui compensi sono soggetti al pagamento dei
contributi.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 14684 del 29 agosto 2012, ha rigettato il ricorso presentato da un libero professionista ingegnere contro la propria Cassa nazionale di previdenza per la contestazione della richiesta di pagamento dei contributi previdenziali (soggettivo e integrativo) sui compensi, dichiarati come professionali ai fini Irpef, derivanti dall'esercizio dell'attività di consulente svolta a favore di una società e dall'attività di amministratore di un'altra società.
In particolare, nei primi due gradi, i giudici di merito avevano rigettato il ricorso, ritenendo ininfluenti e generiche le motivazioni secondo le quali le attività per le quali era richiesto il pagamento dei contributi erano da ritenersi estranee all'attività di ingegnere libero professionista e in quanto tali non imponibili ai fini previdenziali. Il contribuente avrebbe dovuto, infatti, fornire valide motivazioni a sostegno della sua tesi, non essendo sufficienti le fatture relative alle operazioni, il verbale di nomina ad amministratore e la prova orale.
Il libero professionista ha, dunque, proposto ricorso in Cassazione, ritenendo che al fine di stabilire se i redditi prodotti dalla propria attività di libero professionista possono essere qualificati come redditi professionali (e quindi soggetti alla contribuzione previdenziale), è necessario far riferimento alle prestazioni riservate alla propria categoria professionale secondo la previsione della relativa tariffa, escludendo tutte le attività estranee a tale previsione.
I giudici della Suprema Corte, riprendendo un concetto già espresso nel 2004 con la sentenza n. 20670, hanno riaffermato il principio per il quale i compensi sono imponibili ai fini previdenziali se concretamente riconducibili alla professione dell'attività svolta dal professionista. Ma secondo i giudici della Cassazione, il concetto di "esercizio della professione" e quindi di "attività svolta dal professionista" non deve essere inteso in senso statico e rigoroso. Possono, infatti, essere comprese in tale ambito non solo le prestazioni tipicamente professionali, riservate agli iscritti negli appositi albi, ma anche quelle che "pur non professionalmente tipiche, presentino tuttavia un "nesso" con l'attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista si avvale nell'esercizio dell'attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione".
In definitiva, l'obbligo contributivo non sussiste solo nel caso in cui non sia concretamente ravvisabile "un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista". Tale principio è applicabile a tutte le categorie professionali in quanto l'elemento discriminante è la connessione tra l'attività da cui deriva il reddito e le conoscenze professionali, "ossia la base culturale su cui l'attività stessa si fonda; e il limite di tale connessione e, pertanto, del parametro di assoggettabilità, è l'estraneità stessa della professione".
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 14684 del 29 agosto 2012, ha rigettato il ricorso presentato da un libero professionista ingegnere contro la propria Cassa nazionale di previdenza per la contestazione della richiesta di pagamento dei contributi previdenziali (soggettivo e integrativo) sui compensi, dichiarati come professionali ai fini Irpef, derivanti dall'esercizio dell'attività di consulente svolta a favore di una società e dall'attività di amministratore di un'altra società.
In particolare, nei primi due gradi, i giudici di merito avevano rigettato il ricorso, ritenendo ininfluenti e generiche le motivazioni secondo le quali le attività per le quali era richiesto il pagamento dei contributi erano da ritenersi estranee all'attività di ingegnere libero professionista e in quanto tali non imponibili ai fini previdenziali. Il contribuente avrebbe dovuto, infatti, fornire valide motivazioni a sostegno della sua tesi, non essendo sufficienti le fatture relative alle operazioni, il verbale di nomina ad amministratore e la prova orale.
Il libero professionista ha, dunque, proposto ricorso in Cassazione, ritenendo che al fine di stabilire se i redditi prodotti dalla propria attività di libero professionista possono essere qualificati come redditi professionali (e quindi soggetti alla contribuzione previdenziale), è necessario far riferimento alle prestazioni riservate alla propria categoria professionale secondo la previsione della relativa tariffa, escludendo tutte le attività estranee a tale previsione.
I giudici della Suprema Corte, riprendendo un concetto già espresso nel 2004 con la sentenza n. 20670, hanno riaffermato il principio per il quale i compensi sono imponibili ai fini previdenziali se concretamente riconducibili alla professione dell'attività svolta dal professionista. Ma secondo i giudici della Cassazione, il concetto di "esercizio della professione" e quindi di "attività svolta dal professionista" non deve essere inteso in senso statico e rigoroso. Possono, infatti, essere comprese in tale ambito non solo le prestazioni tipicamente professionali, riservate agli iscritti negli appositi albi, ma anche quelle che "pur non professionalmente tipiche, presentino tuttavia un "nesso" con l'attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista si avvale nell'esercizio dell'attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione".
In definitiva, l'obbligo contributivo non sussiste solo nel caso in cui non sia concretamente ravvisabile "un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista". Tale principio è applicabile a tutte le categorie professionali in quanto l'elemento discriminante è la connessione tra l'attività da cui deriva il reddito e le conoscenze professionali, "ossia la base culturale su cui l'attività stessa si fonda; e il limite di tale connessione e, pertanto, del parametro di assoggettabilità, è l'estraneità stessa della professione".
A cura di Ilenia
Cicirello
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Sentenza