Corte di Giustizia UE: STOP agli appalti senza gara tra Enti pubblici
"Il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto medi...
"Il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici osta ad
una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa
gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici
istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui - ciò che
spetta al giudice del rinvio verificare - tale contratto non abbia
il fine di garantire l'adempimento di una funzione di servizio
pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da
considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi
d'interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore
privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi
concorrenti".
Questo è quanto dichiarato dalla Corte Europea che con la sentenza del 19 dicembre 2012 ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione degli articoli 1, paragrafo 2, lettere a) e d), 2 e 28, nonché dell'allegato II A, categorie 8 e 12, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (CE) n. 1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007.
In particolare, tale domanda è stata proposta nell'ambito di una controversia tra, da un lato, l'Azienda Sanitaria Locale di Lecce e l'Università del Salento e, dall'altro, l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e altri, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra l'ASL e l'Università, avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce.
La questione riguarda l'annoso problema dell'affidamento diretto di appalti alle Università. Ricordiamo che in Italia il problema era tornato alla ribalta dopo la pubblicazione della determinazione n. 7 del 20 ottobre 2010 con la quale l'Autorità per la vigilanza sui Contratti pubblici di Lavori, servizi e forniture ha chiarito che, alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 23 dicembre 2009 nel procedimento C-305/08, anche le Università possono progettare.
La Corte UE, con la sentenza del 19 dicembre, ha osservato preliminarmente che l'applicazione della direttiva 2004/18 a un appalto pubblico è subordinata alla condizione che il valore stimato di quest'ultimo raggiunga la soglia stabilita all'articolo 7, lettera b), della direttiva medesima, tenendo conto del valore normale sul mercato dei lavori, delle forniture o dei servizi oggetto di tale appalto pubblico. In caso contrario, si applicano le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi della parità di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità, nonché l'obbligo di trasparenza che ne deriva, purché l'appalto in questione presenti un interesse transfrontaliero certo, tenuto conto, in particolare, della sua importanza e del luogo della sua esecuzione.
Ciò premesso, è ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso un'amministrazione aggiudicatrice o che l'ente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato.
In tal senso, riguardo a soggetti quali le università pubbliche, la Corte ha dichiarato che a siffatti enti è in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Tuttavia, gli Stati membri possono disciplinare le attività di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non può essere loro vietato di partecipare a una gara d'appalto avente ad oggetto i servizi in questione.
Nel caso di specie, è necessario ricordare l'articolo 66, comma 1, del d.P.R. n. 382/1980 che autorizza espressamente le università pubbliche a fornire prestazioni di ricerca e consulenza a enti pubblici o privati, purché tale attività non comprometta la loro funzione didattica.
Emerge tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che due tipi di appalti conclusi da enti pubblici non rientrano nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici:
In riferimento al procedimento oggetto della sentenza della Corte Ue, tale contratto presenta un insieme di aspetti materiali corrispondenti in misura estesa, se non preponderante, ad attività che vengono generalmente svolte da ingegneri o architetti e che, se pur basate su un fondamento scientifico, non assomigliano ad attività di ricerca scientifica. Di conseguenza, la funzione di servizio pubblico costituente l'oggetto della cooperazione tra enti pubblici istituita da detto contratto non sembra garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune all'ASL e all'Università.
Inoltre, il contratto controverso nel procedimento principale potrebbe condurre a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in base a detto contratto, l'Università è autorizzata a ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni, fossero inclusi dei prestatori privati.
In conclusione, alla questione sollevata occorre rispondere dichiarando che il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui - ciò che spetta al giudice del rinvio verificare - tale contratto non abbia il fine di garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
Il commento del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C.
"Siamo fortemente soddisfatti per la sentenza della Corte di Giustizia europea riguardante l'incarico diretto di progettazione affidato dalla ASL di Lecce all'Università del Salento nella quale la Corte ha affermato che la normativa italiana usata a fondamento del contratto sia contraria al diritto europeo. La sentenza, risultato della nostra risoluta e perseverante azione così come di quella dell'Ordine degli Architetti di Lecce, stabilisce in via definitiva che le società "in house", siano esse Università o partecipate, non possono avere incarichi pubblici di progettazione o altri servizi di architettura, se non vincendo una gara o un Concorso, dimostrando di avere i requisiti per partecipare e guadagnando l'incarico, come tutti noi, sul campo del merito".
Questo il commento del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che anche dopo la pubblicazione della determinazione dell'Avcp n. 7/2010 aveva richiesto chiarezza sulla questione (clicca qui).
"Sono così definitivamente affermati - afferma il CNAPPC - i principi di trasparenza e concorrenza leale che troppo spesso in Italia, negli ultimi anni, sono stati trascurati a vantaggio di vie "brevi" contrarie non solo alle norme comunitarie, ma anche ad un approccio che garantisca sempre e comunque l'affermazione del merito, tra il maggior numero di concorrenti, in una competizione leale e trasparente".
"La sentenza - continua la nota degli architetti italiani - non solo rende illegittimi numerosi contratti in essere, come quelli di partecipate pubbliche regionali in altre Regioni, ma rimette in discussione il ruolo e la missione delle Università che per statuto dovrebbero occuparsi di insegnamento e ricerca piuttosto che cercare di acquisire incarichi tipicamente professionali".
"In un momento così difficile per l'Italia - conclude il CNAPPC - siamo convinti che sia più importante collaborare per l'utilità sociale e la crescita piuttosto che concorrere fuori dalle regole. Per questo motivo siamo pronti a discutere con le Scuole di Architettura un progetto comune che renda sinergiche le grandi capacità di ricerca dell'Università con la competenza professionali degli architetti, anche in ambito internazionale, come già stiamo facendo con il Politecnico di Milano".
Questo è quanto dichiarato dalla Corte Europea che con la sentenza del 19 dicembre 2012 ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione degli articoli 1, paragrafo 2, lettere a) e d), 2 e 28, nonché dell'allegato II A, categorie 8 e 12, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (CE) n. 1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007.
In particolare, tale domanda è stata proposta nell'ambito di una controversia tra, da un lato, l'Azienda Sanitaria Locale di Lecce e l'Università del Salento e, dall'altro, l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e altri, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra l'ASL e l'Università, avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce.
La questione riguarda l'annoso problema dell'affidamento diretto di appalti alle Università. Ricordiamo che in Italia il problema era tornato alla ribalta dopo la pubblicazione della determinazione n. 7 del 20 ottobre 2010 con la quale l'Autorità per la vigilanza sui Contratti pubblici di Lavori, servizi e forniture ha chiarito che, alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 23 dicembre 2009 nel procedimento C-305/08, anche le Università possono progettare.
La Corte UE, con la sentenza del 19 dicembre, ha osservato preliminarmente che l'applicazione della direttiva 2004/18 a un appalto pubblico è subordinata alla condizione che il valore stimato di quest'ultimo raggiunga la soglia stabilita all'articolo 7, lettera b), della direttiva medesima, tenendo conto del valore normale sul mercato dei lavori, delle forniture o dei servizi oggetto di tale appalto pubblico. In caso contrario, si applicano le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi della parità di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità, nonché l'obbligo di trasparenza che ne deriva, purché l'appalto in questione presenti un interesse transfrontaliero certo, tenuto conto, in particolare, della sua importanza e del luogo della sua esecuzione.
Ciò premesso, è ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso un'amministrazione aggiudicatrice o che l'ente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato.
In tal senso, riguardo a soggetti quali le università pubbliche, la Corte ha dichiarato che a siffatti enti è in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Tuttavia, gli Stati membri possono disciplinare le attività di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non può essere loro vietato di partecipare a una gara d'appalto avente ad oggetto i servizi in questione.
Nel caso di specie, è necessario ricordare l'articolo 66, comma 1, del d.P.R. n. 382/1980 che autorizza espressamente le università pubbliche a fornire prestazioni di ricerca e consulenza a enti pubblici o privati, purché tale attività non comprometta la loro funzione didattica.
Emerge tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che due tipi di appalti conclusi da enti pubblici non rientrano nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici:
- i contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto in questione realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti che lo controllano;
- i contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi. In tale ipotesi, le norme del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici non sono applicabili, a condizione che - inoltre - tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico.
In riferimento al procedimento oggetto della sentenza della Corte Ue, tale contratto presenta un insieme di aspetti materiali corrispondenti in misura estesa, se non preponderante, ad attività che vengono generalmente svolte da ingegneri o architetti e che, se pur basate su un fondamento scientifico, non assomigliano ad attività di ricerca scientifica. Di conseguenza, la funzione di servizio pubblico costituente l'oggetto della cooperazione tra enti pubblici istituita da detto contratto non sembra garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune all'ASL e all'Università.
Inoltre, il contratto controverso nel procedimento principale potrebbe condurre a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in base a detto contratto, l'Università è autorizzata a ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni, fossero inclusi dei prestatori privati.
In conclusione, alla questione sollevata occorre rispondere dichiarando che il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui - ciò che spetta al giudice del rinvio verificare - tale contratto non abbia il fine di garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
Il commento del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C.
"Siamo fortemente soddisfatti per la sentenza della Corte di Giustizia europea riguardante l'incarico diretto di progettazione affidato dalla ASL di Lecce all'Università del Salento nella quale la Corte ha affermato che la normativa italiana usata a fondamento del contratto sia contraria al diritto europeo. La sentenza, risultato della nostra risoluta e perseverante azione così come di quella dell'Ordine degli Architetti di Lecce, stabilisce in via definitiva che le società "in house", siano esse Università o partecipate, non possono avere incarichi pubblici di progettazione o altri servizi di architettura, se non vincendo una gara o un Concorso, dimostrando di avere i requisiti per partecipare e guadagnando l'incarico, come tutti noi, sul campo del merito".
Questo il commento del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che anche dopo la pubblicazione della determinazione dell'Avcp n. 7/2010 aveva richiesto chiarezza sulla questione (clicca qui).
"Sono così definitivamente affermati - afferma il CNAPPC - i principi di trasparenza e concorrenza leale che troppo spesso in Italia, negli ultimi anni, sono stati trascurati a vantaggio di vie "brevi" contrarie non solo alle norme comunitarie, ma anche ad un approccio che garantisca sempre e comunque l'affermazione del merito, tra il maggior numero di concorrenti, in una competizione leale e trasparente".
"La sentenza - continua la nota degli architetti italiani - non solo rende illegittimi numerosi contratti in essere, come quelli di partecipate pubbliche regionali in altre Regioni, ma rimette in discussione il ruolo e la missione delle Università che per statuto dovrebbero occuparsi di insegnamento e ricerca piuttosto che cercare di acquisire incarichi tipicamente professionali".
"In un momento così difficile per l'Italia - conclude il CNAPPC - siamo convinti che sia più importante collaborare per l'utilità sociale e la crescita piuttosto che concorrere fuori dalle regole. Per questo motivo siamo pronti a discutere con le Scuole di Architettura un progetto comune che renda sinergiche le grandi capacità di ricerca dell'Università con la competenza professionali degli architetti, anche in ambito internazionale, come già stiamo facendo con il Politecnico di Milano".
A cura di Ilenia
Cicirello
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