Competenza sugli edifici storici: esclusiva degli architetti
In Italia le professioni di architetto e di ingegnere sono regolamentate dal Regio Decreto n. 2537 del 1925. Tale decreto, tra l’altro, stabilisce quali sian...
In Italia le professioni di architetto e di ingegnere sono
regolamentate dal Regio Decreto n. 2537 del 1925. Tale
decreto, tra l’altro, stabilisce quali siano le competenze
esclusive delle singole professioni e quali, invece, siano
paritarie.
Proprio le competenze esclusive sono, da sempre, oggetto di
disamina e di confronto serrato, anche e soprattutto ai vertici
delle due categorie professionali.
Guardando proprio il Regio Decreto, si pone in luce
l’articolo 52, che prevede che siano paritarie le due
professioni per quanto concerne le opere di edilizia civile,
inclusi i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ed abbiano
competenza esclusiva per gli architetti i casi di edilizia civile
con carattere artistico (restauro e ripristino degli edifici
storico-artistici).
Apparentemente è tutto chiaro e lineare se non vi fosse la
necessità di confronto con la normativa comunitaria di cui alla
Direttiva n. 384 del 1985 recepita dal D.Lgs. n. 127 del
1992.
E proprio agli inizi del nuovo anno, il è stato chiamato ad
esprimersi su un ricorso presentato da un ingegnere italiano in
merito alla possibilità o meno di poter esercitare la propria
professione su edifici storici, evenienza nella quale era stato
esplicitamente inibito da una Soprintendenza.
Si trattava di una situazione per la quale il provvedimento di
inibizione era stato adottato sull’assunto che l’attività
professionale in oggetto, per natura della stessa, dovesse
ritenersi inibita agli ingegneri, essendo riservata
specificatamente agli architetti, proprio ai sensi
dell’articolo 52, secondo comma, del r.d. n. 2537 del 23 ottobre
1925.
Il ricorso presentato, formulava due precisi quesiti:
- a) se la direttiva comunitaria n. 85/384/CE, nella parte in cui ammette (artt. 10 e 11), in via transitoria, all’esercizio delle attività nel settore dell’architettura i soggetti migranti muniti dei titoli specificamente indicati, non osta a che in Italia sia ritenuta legittima una prassi amministrativa, avente come base giuridica l’art.52, comma secondo, parte prima del r.d. n. 2537 del 1925, che riservi specificamente taluni interventi sugli immobili di interesse artistico soltanto ai candidati muniti del titolo di “architetto” ovvero ai candidati che dimostrino di possedere particolari requisiti curriculari, specifici nel settore dei beni culturali e aggiuntivi rispetto a quelli genericamente abilitanti l’accesso alle attività rientranti nell’architettura ai sensi della citata direttiva;
- b) se in particolare tale prassi può consistere nel sottoporre anche i professionisti provenienti da Paesi membri diversi dall’Italia, ancorché muniti di titolo astrattamente idoneo all’esercizio delle attività rientranti nel settore dell’architettura, alla specifica verifica di idoneità professionale (ciò che avviene anche per i professionisti italiani in sede di esame di abilitazione alla professione di architetto) ai limitati fini dell’accesso alle attività professionali contemplate nell’art. 52, comma secondo, prima parte del Regio decreto n 2357 del 1925.
Il Consiglio di Stato ha precisato che non è esatto affermare
che l’ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di
Paesi UE diversi dall’Italia (con esclusione dei soli ingegneri
italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche
della professione di architetto (fra cui - ai fini che qui
rilevano - le attività afferenti le opere di edilizia civile che
presentano rilevante carattere artistico, ovvero relative ad
immobili di interesse storico e artistico); al contrario, in base
alla pertinente normativa UE, l’esercizio di tali attività - in
regime di mutuo riconoscimento - è consentito ai soli
professionisti i quali (al di là del nomen iuris del titolo
professionale posseduto) possano vantare un percorso formativo
adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche
della professione di architetto. L’articolo 3 della direttiva
85/384/CEE include in modo espresso gli studi della storia e delle
teorie dell’architettura, nonché delle belle arti e delle scienze
umane fra quelli che integrano il bagaglio culturale minimo e
necessario perché un professionista possa svolgere in regime di
mutuo riconoscimento le attività in relazione ai beni di interesse
storico e culturale.
Un professionista non italiano con il titolo professionale di
ingegnere, inoltre, non è automaticamente legittimato sulla base
della normativa del Paese di origine o di provenienza a svolgere
attività rientranti fra quelle esercitate abitualmente col titolo
professionale di architetto.
Sulla base della Direttiva 85/384/CEE (articolo 11, lettera
g), l’esercizio di tali attività sarà possibile non sulla base del
mero possesso del titolo di ingegnere nel Paese di origine o di
provenienza, bensì sul percorso formativo adeguato ai fini
dell’esercizio delle attività abitualmente esercitate con il titolo
professionale di architetto.
Per tale disposizione, i soggetti che abbiano conseguito in Italia
il diploma di laurea in ingegneria nel settore della costruzione
civile rilasciati da Università o da istituti politecnici
possono esercitare le attività tipiche degli architetti (ivi
comprese quelle di cui al più volte richiamato articolo 52) a
condizione che abbiano altresì conseguito il diploma di
abilitazione all'esercizio indipendente di una professione nel
settore dell'architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica
Istruzione a seguito del superamento dell'esame di Stato che lo
abilita all'esercizio indipendente della professione (in tal
modo conseguendo il titolo di ‘dott. Ing. architetto’ o di ‘dott.
Ing. in ingegneria civile’). Non esiste, quindi, ‘discriminazione
alla rovescia’ in danno dell’ingegnere italiano sia per quanto
concerne il sistema transitorio e di deroga di cui agli articoli 10
e 11 della direttiva che per quanto concerne il sistema a regime di
cui all’articolo 7 della stessa direttiva.
Tale orientamento era stato, anche, espresso il 21 febbraio 2013
scorso nella sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia
Europea relativamente alla Causa C-111/2 e relativa
all'interpretazione di alcune parti della Direttiva
85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985, concernente il
reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli
del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad
agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di
libera prestazione di servizi.
Link Correlati
Corte di Giustizia UE