Terremoto, abusivismo e situazione del patrimonio edilizio italiano
Vicini alla ricorrenza del 24 agosto, che ricorderemo come quella del terremoto che ha devastato nel 2016 il centro Italia, ci ritroviamo a commentare oggi l...
Vicini alla ricorrenza del 24 agosto, che ricorderemo come quella del terremoto che ha devastato nel 2016 il centro Italia, ci ritroviamo a commentare oggi l'ennesima tragedia che ha colpito il nostro Paese.
Questa volta ci troviamo nei pressi dell’Isola di Ischia, la bellissima isola del Napoletano, quando alle ore 20:57 italiane si è abbattuto un terremoto di magnitudo 4.0 alla profondità di 5 km causando 2 morti accertate e 39 feriti, di cui uno molto grave.
Si, avete capito bene, un terremoto di magnitudo 4.0, che in altri Paesi non avrebbe spostato neanche la polvere dei lampadari, ha causato morti e devastato interi paesini come quello di Casamicciola, già famoso per il terremoto del 1883 per un terremoto di magnitudo 5.3 che causò 2.313 vittime. Un terremoto che ci obbliga nuovamente a ragionare sullo stato del patrimonio edilizio italiano, sull'abusivismo edilizio e su quello che si sta facendo per ridurre un rischio che evidentemente c'è. A tal scopo, prendendo spunto dal crollo della Palazzina di Torre Annunziata dei primi di luglio, avevo fatto una chiacchierata con l'amico e collega Ing. Andrea Barocci, esperto di strutture e di rischio sismico, e avevo in programma un articolo che purtroppo sto anticipando a causa degli ultimi eventi.
Riporto di seguito i punti salienti della chiacchierata.
Iniziamo dalla situazione del patrimonio edilizio italiano
Età del patrimonio edilizio italiano:
- 18% realizzato prima del 1919
- 12% realizzato tra il 1919 ed il 1945
- 33% realizzato tra il 1946 e il 1971 (legge n. 1083/1971)
- 18% realizzato tra il 1972 ed il 1981 (legge n. 64/1974)
- 12% realizzato tra il 1982 ed il 1991 (D.M. 20/11/1987)
- 7% realizzato dal 1992 ad oggi (O.P.C.M. n. 3274/2003)
Ormai i "numeri" sono stati detti e ridetti, soprattutto dopo ogni evento vengono rispolverati in gran lustro; il 75% circa del nostro patrimonio è stato costruito in assenza di normative antisismiche e una buona percentuale in assenza di una qualsivoglia normativa tecnica (la Legge 1086 è del 1971...).
Il punto fondamentale, al di là dei numeri, è però nella natura stessa degli edifici; se osserviamo le immagini dei crolli di Messina nel 1908 o dell'Irpinia nel 1980, vediamo che (a parte le foto in bianco e nero) sono identici a quelli di Amatrice nel 2016.
Uno dei problemi con cui confrontarsi è che esiste un patrimonio edilizio, soprattutto nei centri storici (e per buona parte nelle zone appenniniche ad alta e media sismicità), mai rinnovato, estremamente vetusto e sul quale non si è praticamente mai intervenuti. I motivi sono vari e non è il caso qui di approfondirli (vincoli, proprietà comuni, burocrazia, ecc…), ma è evidente che una consapevole politica di prevenzione negli anni passati avrebbe quantomeno ridotto la conta dei danni negli ultimi terremoti.
Inoltre non dobbiamo mai dimenticarci che il sisma è solo uno dei problemi che il patrimonio edilizio italiano può avere, e che spesso non è necessario l'arrivo del terremoto per creare problemi a una costruzione.
Rischio
Sismico |
A tal proposito, a seguito della tragedia di Torre Annunziata si è tornati a parlare di Certificato di Stabilità e Fascicolo del fabbricato. Il Ministro delle infrastrutture Graziano Delrio lo ha paragonato all’APE (Attestato di Prestazione Energetica) e anticipando la possibilità di renderlo obbligatorio negli atti di compravendita. Cosa ne pensi?
Dopo la dichiarazione di Delrio si è fatta molta confusione, anche su magazine di settore, tra il cosiddetto Certificato di stabilità e la Classificazione sismica; si tratta di questioni strettamente collegate, ma profondamente diverse.
Conosciamo il sisma e il suo fragore, e sappiamo i danni che può fare in pochi secondi; l’abbiamo imparato sulla nostra pelle.
La tragedia di Torre Annunziata rappresenta invece un terremoto silenzioso e molto lento, ma non per questo meno pericoloso. Ho già avuto modo di dirlo: la realtà è che viviamo su una polveriera e nei prossimi anni gli episodi saranno sempre più frequenti, in misura proporzionale all’invecchiamento dei nostri edifici.
Il nostro patrimonio edilizio è, per buona parte, malato terminale; i condomini costruiti in tutt’Italia tra il ’40 e il ’70 sono vecchi e su molti di essi non si è mai intervenuti. Gli edifici, al pari di ogni altro bene, tendono a un deperimento progressivo e sempre più grave in maniera proporzionale alla vetustà; necessitano di adeguati piani di manutenzione e, nel corso degli anni, di interventi anche importanti per ripristinarne la fruibilità originaria o per un auspicabile "allineamento" a normative e conoscenze tecniche maggiormente evolute. Invece ogni proprietario ama crogiolarsi nell’assioma “è sempre stato lì, non ci sono mai stati problemi”.
Premesso che il problema diventerà di giorno in giorno sempre più grave, soprattutto perchè né lo Stato né i cittadini hanno disponibilità economiche per poter intervenire in maniera diffusa, veloce ed efficace, la questione va a mio avviso trattata da due punti di vista:
- Responsabilità dello Stato. I crolli come quello di Torre Annunziata rientrano in una zona grigia nella quale lo Stato ha volutamente chiuso gli occhi sulla responsabilità e sulla conoscenza (lo stesso problema lo abbiamo quasi quotidianamente sotto agli occhi con ponti e infrastrutture). L'estrema “cautela” nei confronti della proprietà privata, ritenuta spesso più importante della pubblica incolumità, unita all'ingombro del mercato immobiliare e alla mancanza di una legislazione chiara sulle responsabilità, ha portato a un punto di non ritorno difficilmente affrontabile senza mal di pancia politici.
- Responsabilità dei cittadini. La società può essere giustificata dall'assenza di conoscenza solo fino a un certo punto; ormai la sensibilizzazione, anche grazie ai media e ai social, ha raggiunto un discreto livello. Purtroppo una volta che il problema viene percepito dal cittadino, quest'ultimo tende a nascondersi o dietro alla non disponibilità economica, o alle invettive contro "lo Stato che deve intervenire". In realtà continuiamo a rifare i bagni nuovi o il termocappotto perchè ne vediamo la convenienza, salvo poi piangere sulle macerie che magari avremmo potuto evitare facendo qualche minimo intervento.
Detto tutto questo, il Certificato d'Idoneità Statica (obbligatorio o meno), è un documento molto potente soprattutto per il tecnico che lo andrà a firmare, perchè:
- Dovrà assumersi la responsabilità laddove lo Stato ha lasciato un vuoto.
- Dovrà essere molto bravo (o molto fortunato) in quanto l’edificio da lui certificato, nel caso non si facciano interventi, prima o poi avrà dei problemi; anche il semplice distacco di una porzione di cornicione...
- Dovrà essere molto equilibrato (o molto incosciente) in quanto se il certificato avrà esito negativo, alcune famiglie dovranno abbandonare l'edificio in quanto "NON agibile".
L'art. 2, comma 3 dell'OPCM n. 3274/2003 ha previsto l'obbligo di verificare gli edifici di interesse strategico e le opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile. A che punto siamo?
La verifica delle costruzioni esistenti entra pesantemente nella vita dei professionisti italiani con gli Articoli 3 e 4 dell'OrdPCM 3274 del 20/02/2003 (§4.1). Il testo riportava: è fatto obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, ai sensi delle norme di cui ai suddetti allegati, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso. Le verifiche di cui al presente comma dovranno essere effettuate entro cinque anni dalla data della presente ordinanza e riguardare in via prioritaria edifici ed opere ubicate nelle zone sismiche 1 e 2. A seguire è stata emanata l'OrdPCM 3362 del 08/07/2004 che stabiliva le modalità di erogazione delle somme presenti in un fondo straordinario appositamente costituito, affinchè gli enti locali potessero attivare le politiche di riduzione del rischio sismico e avere a disposizione liquidità per affidare le verifiche sugli edifici. Il termine per l'esecuzione delle verifiche era di 5 anni; a seguire, con diversi decreti cosiddetti "Milleproroghe", i termini sono stati via via posticipati fino al 31 marzo 2013. Ora, idealmente a quella data si sarebbe dovuta ottenere la verifica del 100% degli edifici interessati; in realtà, non prevedendo l'ordinanza nè un regime sanzionatorio nè pene per le amministrazioni inadempienti, non tutti gli edifici sono stati verificati (le stime del 2015 parlano mediamente del 50% di verifiche effettuate, con percentuali diverse da regione a regione).
Spesso non è possibile avere stime attendibili in quanto, in diversi casi non isolati, l'amministrazione prende atto "informalmente" dell'esito di una verifica poi, constatando che la situazione non è rosea, il documento finisce in fondo a un cassetto in attesa di non si sa cosa, magari di un cambio della stessa amministrazione... la famosa “cura peggiore del male”.
Negli ultimi mesi lo Stato ha messo in campo alcune iniziative sicuramente virtuose, tra cui ulteriori fondi per le verifiche di edifici rilevanti (come le scuole) e strategici (come le caserme e gli ospedali); occorre ancora capire come tali fondi verranno ripartiti e quali i criteri di assegnazione, fermo restando che dopo aver effettuato una verifica spesso è necessario trovare ulteriori (e in quantità molto maggiore) soldi per gli interventi.
Comunque a mio avviso la conoscenza è sempre un buon inizio per far partire il meccanismo e mi piace pensare che l'accresciuta attenzione degli ultimi anni porti a personale sempre più preparato e virtuoso anche all'interno delle Amministrazioni.
L’articolo 16 del decreto-legge n. 63/2013, come modificato dalla Legge di Stabilità per il 2017, ha previsto delle forti detrazioni (dal 70 all'85%) per le spese sostenute dal'1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2021 per gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche. Credi sia la strada giusta?
Al momento è presto per dire se la strada è giusta o meno; sarà giusta se si innescherà un percorso virtuoso tale da entrare nelle “nozioni quotidiane”, come lo è diventato lo sgravio fiscale per l’efficientamento energetico o la manutenzione edilizia.
Sicuramente interessante è comunque la sola classificazione sismica dell’edificio, soggetta a detrazione anche in caso non si facciano interventi di miglioramento; anche senza un obbligo di legge da inserire nelle compravendite, una consapevolezza sempre crescente da parte dei cittadini implicherà l’attivazione di meccanismi destinati inevitabilmente a moltiplicarsi
E’ evidente come il cosiddetto SISMAbonus sia un documento perfettibile, ma bisogna tener conto che storicamente è la prima volta che lo Stato attiva un tale strumento e con una così estesa portata economica. Quindi ben vengano le osservazioni e, perché no, anche le critiche; resta il fatto che il nostro debito nei confronti del rischio sismico è talmente alto che un provvedimento come quello emanato dal MIT risulta imprescindibile in questo periodo storico. E' stato tracciato un importante "punto di non ritorno".
Con il decreto 28 febbraio 2017, n. 58 sono state finalmente definite le Linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni. Dopo pochi giorni dalla sua pubblicazione, il MIT ha pubblicato il n. 65/2017 che coregge alcune refusi ma che soprattutto modifica l'art. 3, comma 1 del decreto n. 58/2017 prevedendo che l'asseverazione degli interventi di riduzione del rischio sismico sia effettuata da professionisti incaricati della progettazione strutturale, direzione dei lavori delle strutture e collaudo statico secondo le rispettive competenze professionali. La prima versione del decreto limitava l'asseverazione ai laureati in architettura e ingegneria nell'ambito delle proprie competenze professionali. Qual è il tuo pensiero a riguardo?
Occorre partire con una precisazione: l'attestazione della lettere da A+ a F (cosiddetta "Classificazione Sismica") è un documento prettamente fiscale, ad uso dell'Agenzia delle Entrate per il calcolo della detrazione (cosiddetta "Sismabonus"); la parte tecnica è la stessa che si fa dal 2003 (vedi 2 domande precedenti).
Vediamo adesso come si arriva ad attribuire una lettera all’edificio; il tecnico incaricato dovrà:
- svolgere una valutazione di sicurezza, ben codificata all’interno delle NTC2008 (rilievo geometrico strutturale e del danno, campagna diagnostica, elaborazioni numeriche);
- ricavare l’indice di rischio, un numero che rappresenta l’adeguatezza dell’edificio nei confronti delle verifiche minime richieste dalle attuali normative tecniche;
- tradurre il suddetto indice, con le modalità descritte nelle linee guida, in una lettera che esprime appunto la classe di rischio sismico dell’edificio allo stato di fatto.
Anche nel caso in cui si utilizzi il metodo semplificato per gli edifici in muratura, non è scontato avere una corretta diagnosi; inoltre non è mai superfluo ribadire che interventi locali (come l’inserimento di catene) fatti a caso possono essere dannosi.
Quindi, il fatto che una lettera sia facile da leggere per il cittadino, non significa sia altrettanto facile ricavarla; e non significa che per ricavarla non siano necessarie competenze adeguate.
In conclusione, non ho nulla in contrario al fatto che tecnici non laureati possano dichiarare una lettera di classificazione (dichiarazione che, come già detto, appartiene a un documento fiscale); la legge però parla chiara in merito alle competenze che deve possedere chi svolge tutte le analisi necessarie per ottenere tale lettera.
Ringrazio come sempre l'amico Andrea per il prezioso contributo e lascio come sempre a voi ogni commento.
A cura di Ing. Gianluca Oreto