Opere precarie e titoli edilizi: nuova sentenza del TAR

La precarietà strutturale di un'opera non impedisce di considerarla come nuova costruzione ai fini edilizi e quindi necessitante di un titolo autorizzativo. ...

20/02/2018

La precarietà strutturale di un'opera non impedisce di considerarla come nuova costruzione ai fini edilizi e quindi necessitante di un titolo autorizzativo.

Lo ha affermato la Sez. Seconda del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con la Sentenza 7 febbraio 2018, n. 354 con la quale ha respinto il ricorso presentato per l’annullamento di un provvedimento comunale di ingiunzione di demolizione di opere abusive.

I fatti

La vicenda riguarda il posizionamento di una struttura mobile e provvisoria posizionata all'interno del terreno del ricorrente e adibita a casa mobile da oltre un decennio. Su questa è stato emesso un provvedimento di ingiunzione alla demolizione di opere abusive che è stato impugnato dal ricorrente.

Assumendo l’illegittimità del provvedimento di demolizione, il ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in quanto "il manufatto asseritamente abusivo sarebbe precario e provvisorio e perciò inidoneo a mutare in modo permanente l’assetto urbanistico".

La sentenza del TAR

Secondo i giudici del TAR, l’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo. Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.

Ciò, in quanto il manufatto non precario - nel caso di specie, una casa mobile - non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa mobile da oltre un decennio è strettamente legato al soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio.

Secondo la consolidata giurisprudenza la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.

Nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto una semplice pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un minimo di 2,83 m a un massimo di 3,58 m: cfr. provvedimento impugnato, all. 1 al ricorso), considerato che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.

In definitiva, il TAR ha respinto il ricorso.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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