Ristrutturazione edilizia, Permesso di costruire, SCIA e Super DIA: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato
Le opere di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volume...
Le opere di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del Codice dei beni culturali (D.Lgs. n. 42/2004), devono essere classificati come interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e, quindi, subordinati a permesso di costruire.
Lo prevede l'art. 10, comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia) e lo ha ricordato la Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5984 del 19 ottobre 2018 con la quale è intervenuta per la riforma di una sentenza di primo grado che aveva rigettato un ricorso presentato per l'annullamento di un ordine di demolizione di alcune opere realizzate senza i prescritti titoli abilitativi.
I fatti
L'ordine di demolizione del Comune si riferiva ad un corpo di fabbrica al rustico su due livelli sfalsati tra di loro con muratura portante in pietre calcaree e una pista in terra battuta che dalla strada pubblica conduce al fabbricato, che il ricorrente ammetteva fossero già esistenti. A fondamento del ricorso, il ricorrente deduceva che:
- il fondo acquisito nel 2008 «già comprendeva tre manufatti al rudere e la stradina interpoderale per accedere agli stessi» e la preesistenza dei ruderi, risalenti agli anni cinquanta «è comprovata dall’atto di compravendita, dalla perizia estimativa eseguita in epoca antecedente l’acquisto e dalle relazioni tecniche oggi rese»;
- i provvedimenti impugnati sono stati adottati sull’erroneo presupposto che le opere in contestazione siano state realizzate ex novo, mentre in realtà è stato posto in essere soltanto un intervento di restauro e risanamento conservativo di preesistenti manufatti;
- nessuna delle opere in contestazione rientra tra gli interventi subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire;
- quanto alla «pista in terra battuta», è stato posto in essere soltanto un intervento di decespugliamento, del tutto irrilevante dal punto di vista urbanistico;
- per l’intervento realizzato sui preesistenti ruderi sarebbe stata sufficiente la presentazione di una DIA.
In primo grado, in sostanza, i giudici avevano respinto le censure con le quali il ricorrente contestava la qualificazione degli interventi come abusivi, sulla base delle seguenti ragioni:
- la proprietaria non avrebbe dato prova della coincidenza delle dimensioni (volumi e superfici) e delle caratteristiche (sagoma e prospetto) del fabbricato in contestazione con quelle dei ruderi menzionati nell’atto di compravendita allegati al ricorso;
- anzi da tale atto si evincerebbe che «la parte acquirente prende atto delle cattive condizioni di mantenimento e della carenza dei requisiti di agibilità ed abitabilità dei ruderi/comodi rurali ivi esistenti da almeno cinquanta anni, privi allo stato di valore commerciale (delle quali si è tenuto conto nella determinazione del prezzo di vendita)»;
- a diverse conclusioni non potrebbe condurre la perizia tecnica giurata allegata al ricorso, specie perché tale perizia non opererebbero un puntuale raffronto tra le dimensioni e le caratteristiche del fabbricato in contestazione con quelle dei ruderi menzionati nell’atto di compravendita;
- considerazioni analoghe a quelle appena svolte varrebbero per la realizzazione della «pista in terra battuta», poiché la ricorrente non ha dato alcuna prova delle dimensioni e delle caratteristiche della preesistente «stradina interpoderale» di accesso ai ruderi, che non risulterebbe neppure menzionata nel suddetto atto di compravendita.
I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia "quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. In tale prospettiva, la ristrutturazione ‒ nelle forme dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo” ‒ si pone in continuità con tutti gli altri interventi edilizi cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio esistente".
L’art. 10, comma 1, lettera c), del Testo Unico Edilizia prevede che le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia). In via residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non alterano la sagoma dell’edificio.
Ricordiamo che l'art. 22, comm1 2 e 2-bis prevedono:
- Comma 2 - Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.
- Comma 2-bis - Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.
La sentenza del Consiglio di Stato ha, altresì, ricordato che agli interventi di ristrutturazione individuati dall'art. 10, comma 1, lettera c) del Testo Unico Edilizia, sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, è consentito di optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.
La decisione del Consiglio di Stato
Nel caso di specie, il TAR ha confermato l'ordine di demolizione come se i manufatti contestati fossero stati realizzati ex novo dal ricorrente. I giudici di secondo grado hanno, però, rilevato gli elementi concreti presentati dalla ricorrente e atti a provare la preesistenza dei manufatti in contestazione (da almeno cinquanta anni): un atto notarile, una perizia tecnica costruttiva ed un’altra geologica, un contratto di fittanza agraria, l’aerofotogrammetria del 1956. Per tale motivo, l’Amministrazione avrebbe dovuto svolgere adeguate indagini per verificare l’effettivo stato dei fabbricati rurali nella loro consistenza originaria, onde poter qualificare con cognizione di causa se l’intervento realizzato dall’appellante fosse qualificabile come ristrutturazione leggera o pesante (con tutte le relative implicazioni in punto di regime autorizzatorio e sanzionatorio).
Costituisce, infatti, principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso. Solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria. Tuttavia, la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi ‒ come è avvenuto nella specie ‒ trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
SentenzaLink Correlati
Speciale Testo Unico Edilizia