Affidamento diretto illegittimo e quantificazione del danno: nuove indicazioni dal Consiglio di Stato
In caso di affidamento diretto illegittimo, per la quantificazione del danno la sola situazione tutelabile è la chance e cioè l'astratta possibilità di un es...
In caso di affidamento diretto illegittimo, per la quantificazione del danno la sola situazione tutelabile è la chance e cioè l'astratta possibilità di un esito favorevole.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza 29 luglio 2019, n. 5307 con la quale il Consiglio di Stato ha confermato una precedente decisione di primo grado in riferimento alla quantificazione del danno derivante da un affidamento diretto illegittimo. Il particolare, il precedente gestore dell'appalto aveva contestato l’affidamento diretto, lamentando la mancata indizione di una procedura ad evidenza pubblica che le avrebbe dato l’opportunità di proseguire nell’attività e parametrando l’entità del danno all’utile percepito dall'impresa a cui era stato affidato direttamente e illegittimamente l'appalto, oltre al lucro cessante nella misura del 10%, alle spese sostenute per affrontare i due gradi di giudizio ed ancora al danno per lesione dell’immagine professionale.
Nei due gradi di giudizio è stato confermato che in materia di risarcimento del danno derivante dall'illegittimo ricorso alla trattativa privata, proprio perché non c'è stata gara non è possibile una valutazione prognostica e virtuale sull'esito di una procedura comparativa mai svolta. Non è possibile prevedere, in particolare, quali e quante offerte sarebbero state presentate, quale offerta avrebbe presentato l'impresa che chiede il risarcimento, e se tale offerta sarebbe stata, o meno, vittoriosa.
Per questo motivo, quando ad un operatore è preclusa in radice la partecipazione ad una gara, la sola situazione soggettiva tutelabile è la chance e cioè l'astratta possibilità di un esito favorevole. Pertanto, non può trovare accoglimento la domanda della società ricorrente che, muovendo dall’idea di un danno per mancata aggiudicazione, ha calcolato il valore economico del pregiudizio sulla base dell'utile percepito dall'impresa a cui era stato affidato direttamente e illegittimamente l'appalto.
In tali situazioni, continuano i giudici di Palazzo Spada, si può utilizzare il criterio per cui il quantum del risarcimento per equivalente vada determinato ipotizzando, in via di medie e di presunzioni, quale sarebbe stato il numero di partecipanti alla gara se gara vi fosse stata (sulla base dei dati relativi a gare simili indette dal medesimo ente) e dividendo l'utile d'impresa (quantificato in via forfettaria) per il numero di partecipanti: il quoziente ottenuto costituendo, in tale prospettiva, la misura del danno risarcibile.
Nel caso di specie, la mancata allegazione di dati utilizzabili allo scopo ha reso inutilizzabile il criterio e necessario il ricorso alla logica equitativa. Per cui, per il Consiglio di Stato è corretto, nella concreta situazione esaminata, ancorare il pregiudizio subito dalla appellante alla impossibilità (riconnessa alla illegittima scelta di procedere alla scelta di un altro contraente) di continuare, quale gestore uscente, il servizio in corso di erogazione: e ciò in quanto – in assenza di ogni elemento idoneo a prefigurare le ipotetiche condizioni di un eventuale confronto concorrenziale, ormai precluso – la condotta serbata dall’Amministrazione si è, di fatto, risolta, nella sottrazione dell’utile derivante dalla continuazione del rapporto in essere.
Va perciò condivisa la scelta di liquidare il danno, nella congrua misura del 2% dell’importo erogato nel precedente l’affidamento, trattandosi dello stesso servizio e di condizioni economiche sostanzialmente analoghe a quelle in precedenza applicate dalla stessa ricorrente.
Non compete, per contro, il danno all’immagine (anche inteso come posta di un ventilato danno curriculare), posto che lo stesso postula l’illegittima conduzione di una procedura evidenziale ispirata a logiche anticoncorrenziali, come tali idonee a pregiudicare le chances di aggiudicazione del contratto da parte dell’operatore di settore. Nella specie il danno subito dall’appellante può essere ragionevolmente ancorato solo alla perdita degli utili correlati alla prospettica continuazione, per il periodo residuo considerato, dei rapporti in essere.
Infine, la scelta di disporre la compensazione delle spese di lite non appare arbitraria, stante la parziale reiezione delle pretese, nei termini azionati in prime cure: legittimandosi, di là da ogni altro rilievo, la valorizzazione della logica della soccombenza parziale.
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A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 29 luglio 2019, n. 5307Link Correlati
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