Fibrillazioni e dissertazioni varie sulla professione in tempo di Coronavirus Covid-19
Una riflessione dell'arch. Giuseppe Scannella sull'emergenza Coronavirus e la necessità di riforma della professione dell'architetto
Non è un tempo piacevole: ansia per il futuro, preoccupazione per l’immediato contingente si aggiungono al dolore per le troppe vittime e per la particolare gravità dell’emergenza nel nord-centro Italia, sperando che questo disastro non abbia a registrarsi con la stessa intensità qui al sud, dove i presidi sanitari non hanno la capacità di risposta - miracolosa nonostante le statistiche e i numeri - che si registra al nord.
È del tutto comprensibile quindi che ci si attenderebbero, da coloro i quali hanno responsabilità di Governo dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, delle loro strutture intermedie quali gli Ordini professionali ad esempio, risposte immediate, certezze, supporto operativo e morale. È naturale, di conseguenza, che alcune imprecisioni od omissioni, alcune decisioni prese sull’onda dell’emergenza o non prese, creino tensioni, proteste, mobilitazione. Tuttavia, e lo dico per primo a me stesso, dobbiamo razionalizzare il fatto che ci troviamo davanti ad un evento eccezionale, imprevedibile nella sua evoluzione, di cui nessuno ha avuto esperienza a memoria d’uomo e quindi qualche risposta può essere intempestiva, non soddisfare legittime aspettative o il cui ritardo può essere dovuto alla necessità di procedere a complesse riprogrammazioni di attività che vanno valutate sotto molteplici punti di vista e, a volte, hanno bisogno di confronto interno ed esterno ai settori interessati.
Per esempio, le numerose provvidenze in termini di sostegno economico e di compatibilità degli adempimenti fiscali sono continuamente oggetto di revisione, di modifiche che nascono dall’accoglimento di istanze che arrivano dai settori coinvolti; volendo citarne una, tra le tante sospensioni di scadenze, è stata dimenticata quella relativa ai versamenti periodici relativi alla rateizzazione di oneri fiscali, tanto da essere anche oggetto di una segnalazione all’Agenzia delle Entrate da parte della Corte dei Conti. Sgradevole, pesante per gli interessati ma certo ciò non giustifica (oltre i limiti previsti comunque dall’ordinamento) il non adempimento. Un principio, legato ai ragionamenti di cui sopra, che dovrebbe valere verso tutte le articolazioni dello Stato, nessuna esclusa. Specie in tempi come questo che ci tocca vivere, nel quale le virtù della temperanza, della comprensione e della ponderatezza dovrebbero costituire i sistemi per aiutare chi ha l’onere delle decisioni, alle quali certo si deve contribuire anche con il consiglio, il dialogo o il sostegno se possibile. A maggior ragione questi principi dovrebbero essere applicati dalle organizzazioni che governano le varie attività, perché nessuna e nessuno è depositario della soluzione perfetta. Lo penso perché noi rappresentati, che dipendiamo da queste decisioni, abbiamo già abbastanza motivi di preoccupazione per non veder aggiungersi quelli derivanti da contrasti che confondono ancor più.
Nel campo in cui opero, quello delle professioni tecniche, le cose sono ancor più complesse; l’emergenza aggrava uno status già precario, falcidiato da una crisi strutturale più che decennale e quindi incide su un tessuto stressato di suo, molto più sensibile ed emotivamente reattivo alle difficoltà. Dobbiamo individuare soluzioni specifiche per le singole categorie e, al contempo, che siano condivise da e con altri; dobbiamo pensare al contingente e alle prospettive per il futuro; le proposte devono, è un nostro dovere e una nostra responsabilità, essere utili per il Paese oltre che a noi stessi. Tutto questo richiede tempo di elaborazione, di concertazione, di condivisione verticale e orizzontale e poi quello della verifica; ecco perché penso che, in questi casi, accelerazioni emotive non siano utili; è oggettivo che il Consiglio Nazionale Architetti, prima autonomamente poi di concerto con le altre professioni rappresentate nel CUP, ha inviato al Governo una serie di richieste: legate al contingente, all’emergenza ma anche relative al futuro che ci aspetta; dirette a risolvere criticità che abbiamo sperimentato essere fattori di penalizzazione strutturale con un occhio alle possibili refluenze positive per il sistema Paese e, perché esse trovino accoglimento, occorre siano sostenute, in questo momento a prescindere dai dettagli di merito, visto che il vero nemico da combattere è fuori le stanze della professione. A meno che le contestazioni (legittime, forse utili in tempo opportuno) non siano sussidiarie di altro, come purtroppo non è difficile osservare, anche in questi giorni, nell’agone politico, nel quale l’arma dialettica certe volte sembra essere usata per colpire, ai fini della conquista di consenso, chi ha la responsabilità delle decisioni. Non è il momento; questo verrà, anche tra non molto, e ciascuno farà le sue azioni, esprimerà i propri convincimenti e ricercherà per essi il consenso necessario.
È in questa complessa situazione che si innesta un prematuro dibattito sulla bozza di riforma dell’Ordinamento professionale per gli architetti. Un’attività che era stata riavviata nel 2016 e che, dopo le elezioni territoriali del 2017, è stata ripresa e portata alla concertazione degli Ordini nei primi giorni di Marzo di quest’anno, ben prima dell’esplosione parossistica di questa guerra senza eserciti che ci si trova a combattere. Stupiscono quindi alcune affermazioni, su Edilizia e Territorio, quando esprimono dubbi sull’opportunità di avviare la discussione su un tema certamente impegnativo “nella fase più acuta della crisi da epidemia” perché, evidentemente, quando è partita, non si aveva conoscenza della portata del fenomeno nei termini attuali e che, come poi riferito, sarà certamente rinviata. Ma, visto che siamo in ballo, senza entrare nel merito complessivo del testo di riforma (è anche questione di rispetto istituzionale essendo stato il sottoscritto componente del Gruppo Operativo che ne licenziò una prima versione ai primi dell’estate 2017), sul quale sono certamente legittimi dubbi, perplessità, critiche (è per questo che è una bozza in concertazione), desidero soffermarmi su quello che viene definito, a più voci in quell’articolo, il tema più divisivo e cioè il riordino delle figure professionali nate con il DPR 328/2001, tale da far definire, da un’associazione, il testo di bozza come “irricevibile” (sic!).
Non rubo spazio per descrivere lo stato dell’arte (immagino che i lettori ne saranno mediamente informati), certo è che la figura professionale nel 2001 venne frantumata in una serie di settori che portarono alla nascita di una miriade di nuovi corsi, di docenze, di titoli e il risultato che ne è venuto fuori, testimoniato anche dal crollo delle iscrizioni orizzontalmente riscontrato, è stato che le nuove figure non hanno trovato grande riscontro nel mercato del lavoro, molti dei laureati sono stati costretti a ruoli subordinati e a volte, con molto rischio, inventarsi titoli inesistenti e illegittimi (ad esempio quello di architetto conservatore), pur di in qualche modo operare. Personaggi in cerca di autore li ho definiti in altre occasioni; ma non per colpa loro! Anzi, sulla loro pelle e sui loro sacrifici, per cui si deve loro, ed ho, il massimo rispetto.
Occorrerebbe qui, ma non ve n’è lo spazio, ritornare alla definizione di Architettura che ne danno illustrissimi autori, a partire da Platone, Pitide, Vitruvio ma anche più vicini a noi. Bisognerebbe ricordare quale danno all’immagine e alla riconoscibilità della figura dell’architetto questa frammentazione di ruoli ex-ante ha creato, anche in termini di comprensione del mercato e della clientela.
Motivo della querelle è la previsione, contenuta nella bozza di riforma, di ricondurre le figure professionali a quella generale - che è già specialistica - dell’architetto, salvaguardando doverosamente coloro i quali hanno seguito la strada indicata dal DPR 328 e, contemporaneamente, tenendo conto che, come avviene già nel campo della medicina, è opportuno che chi ne abbia interesse possa seguire percorsi di approfondimento specialistico a valle, sulla base però di una comune e condivisa conoscenza. Se ciò non è recupero di identità, di ruolo e di valore non riesco ad immaginare cosa possa esserlo. Questo, alla fine, è il senso di quanto proposto, discutibile nella forma certo, ma non nella sostanza (per tabulas direbbero i giuristi) e quindi, chiedo perdono, non comprendo i motivi di tale avversione, visto che solo si cerca di migliorare la risposta offrendo più occasioni a tutti. Non lo comprendo nel momento in cui si cerca di includere e non allontanare, escludere, come pure poteva essere. Certo, se dovessi pensar male (e non cito il famoso aforisma di Andreotti) potrei pensare al timore di veder scomparire una serie di posizioni; ma non voglio, perché ciò non accadrebbe se non, forse, in minima parte e anche perché le idee altrui vanno rispettate, anche se non ci piacciono.
A cura di Arch. Giuseppe
Scannella
già Presidente dell’OAPPC Catania, attualmente componente del
C.T.S. Inbar