Contributo a fondo perduto, professioni intellettuali, PMI e Stati Generali: occasione persa?
CUP e RPT agli Stati Generali dell'Economia propongono di inserire i professionisti al contributo a fondo perduto previsto per le PMI
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio 2020) ha dato in via libera ad una serie di contributi e detrazioni fiscali, molte delle quali sono in attesa della conversione in legge o dei provvedimenti attuativi.
Tra queste possibilità di "rilancio" offerte dal D.L. n. 34/2020 ha fatto molto discutere il "contributo a fondo perduto" che consiste nell’erogazione ai titolari di attività d’impresa, di lavoro autonomo e agricole, di una somma di denaro commisurata alla diminuzione di fatturato causata dall’emergenza Coronavirus.
Contributo fondo perduto: chi accede al contributo e chi no
Entrando nel dettaglio, il Decreto Rilancio ha previsto un aiuto alle PMI che nel 2019 hanno conseguito un ammontare di ricavi e compensi non superiore a 5 milioni di euro. La platea di soggetti beneficiari è costituita da:
- soggetti esercenti attività d'impresa;
- soggetti esercenti attività di lavoro autonomo;
- soggetti esercenti attività di reddito agrario;
- titolari di partita IVA;
- enti non commerciali, compresi quelli del terzo settore e religiosi civilmente costituiti, in relazione allo svolgimento di attività commerciali.
Il contributo a fondo perduto non spetta:
- ai soggetti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di accesso al contributo;
- agli enti pubblici di cui all'articolo 74 del TUIR;
- ad intermediari finanziari e società di partecipazione (art. 162-bis del TUIR);
- ai contribuenti che hanno diritto alla percezione:
- all'indennità prevista per professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prevista dall'art. 27 del D.L. n. 18/2020 (c.d. #CuraItalia);
- all'indennità per i lavoratori dello spettacolo (art. 38 del #CuraItalia)
- ai lavoratori dipendenti e ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria.
Contributo a fondo perduto: esclusi i liberi professionisti
Con l'esclusione dei lavoratori dipendenti e dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria sono immediatamente arrivate le dichiarazioni di:
a cui sono poi seguite quelle del Ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, che ha giustificato l'esclusione parlando di misure riservate alle piccole e medie imprese e non ai professionisti. Dichiarazioni confermate anche in sede di conversione in legge, dato che sono stati rigettati tutti gli emendamenti presentati al Decreto Rilancio che chiedevano di estendere i contributi a fondo perduto ai professionisti.
Contributo a fondo perduto: gli Stati Generali
Proprio in questi giorni si sono svolti gli Stati Generali dell’Economia a cui hanno partecipato, tra gli altri, Marina Calderone (CUP) e Armando Zambrano (RPT) in rappresentanza di 2,3 milioni di iscritti (obbligatoriamente) ad Ordini e Collegi professionali per presentare al Governo il loro “Manifesto” e chiedere pari dignità negli interventi a favore del Rilancio del Paese.
Tra le varie richieste, CUP e RPT hanno parlato del contributo a fondo perduto rilevando che ormai da tempo è stata riconosciuta l’equiparazione dei liberi professionisti alle PMI (non da ultimo dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81) e che, seppur ribadendo le differenze e le specificità del mondo delle professioni ordinistiche, il decreto Rilancio ha operato una difformità di trattamento tra professionisti e imprese. Difformità che occorre eliminare, garantendo un principio di eguaglianza delle opportunità ad oggi solo enunciato ma mai realmente messo in pratica.
Contributo a fondo perduto: professionisti come PMI, siamo sicuri?
Sulla querelle relativa l'esclusione dei lavoratori dipendenti e dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria ho sempre preferito il silenzio alle dichiarazioni d'effetto, mirate spesso ad ottenere più consensi che altro. Non tanto perché ho condiviso molte delle scelte del Governo, che nella pianificazione degli interventi di sostegno post Covid-19 ha relegato ai margini i professionisti iscritti alle case private, quanto perché ho sempre ritenuto fondamentale operare dei precisi distinguo tra le imprese e le professioni cosiddette "intellettuali". Mi sono voluto prendere il mio tempo per comprendere meglio questa esclusione.
Lo spunto per scrivere questo articolo arriva leggendo il commento di Serena Pellegrino, architetto e parlamentare fino alla scorsa legislatura, che in un lungo post su Facebook ha scritto "Colleghi vi chiedo la massima attenzione. I professionisti sono stati ascoltati alla convention degli Stati Generali voluti dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tra le altre giustissime e totalmente condivisibili osservazioni che sono state poste sul tavolo, vi è una che è molto pericolosa".
L'arch. Pellegrino fa riferimento fa riferimento al titolo di un giornale in cui è scritto "che venga sempre rispettato il principio di equiparazione dei liberi professionisti alle PMI, come sancito dalla normativa europea recepita da quella nazionale"
"Questa frase - continua l'arch. Pellegrino - se è stata detta ma temo di sì, è MOLTO pericolosa. Non so se l’ing. Zambrano che rappresenta la Rete delle Professioni Tecniche e la dott. Calderone che rappresenta il Comitato Unitario Professioni (attenzione non sono sindacati ma la somma dei 21 consigli ordinistici) sono realmente consapevoli delle conseguenze che ci saranno avendo posto come prioritario equiparare i professionisti intellettuali a chi è soggetto alle regole del mercato. So bene che la direttiva europea spinge in quella direzione ma il tessuto connettivo prodotto dal lavoro dei liberi professionisti, va ben al di là delle mere regole di mercato".
"Con questa frase - afferma l'arch. Pellegrino - ci siamo piantati, da soli, l’ultimo chiodo nella bara della libera professione intesa come servizio intellettuale finalizzato al benessere del cittadino, dando l’ultima spallata ai lavoratori professionisti che hanno studi piccoli, autonomi e indipendenti. E questi sono lo zoccolo duro e l’ossatura del nostro paese. La conseguenza finale di questa frase porta a far diventare tutti Società di capitale e chi non riesce verrà spazzato via dal mercato. Sarà la conclusione di quel percorso iniziato con il decreto Visco/Bersani. In tutto questo non ci perderanno solo i professionisti autonomi e i cittadini tutti che per risolvere i loro problemi non si rivolgeranno certo alla grande società, ma anche gli Ordini e le casse di previdenza. Nella migliore delle ipotesi questi professionisti si cancelleranno come iscritti e andranno alle dipendenze delle società...magari a 600 euro a fronte di richieste di curriculum spaziali".
"Voglio ricordare a tutti - conclude l'arch. Pellegrino - che Il 14% del PIL non lo producono da sole le grandi società di capitale e trasformare il mondo delle libere professioni in “padroni e operai”, non porterà né benessere alla società né ai cittadini. Insomma questa richiesta è davvero molto pericolosa. Ci ripensino i nostri rappresentanti. Le battaglie che abbiamo fatto, negli scorsi anni, sarebbero rese completamente vane. E qualcuno un giorno potrà dirci: l’avevate chiesto voi, e ora pedalate!".
Contributo a fondo perduto: occasione persa?
Sposando pienamente il punto di vista dell'arch. Pellegrino, credo che l'esclusione dal contributo a fondo perduto dei lavoratori dipendenti e professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria, avrebbe potuto essere un punto a favore dei professionisti nella ricerca di una dimensione diversa da quella voluta da chi vuole equipararli alle imprese e allo stesso coerente con la normativa europea.
Da anni i professionisti chiedono il rispetto delle specificità di quella che è sempre stata definita "attività intellettuale" e del ruolo che riveste all'interno della società, differente da quello delle attività economiche. Pur essendo chiaro che oggi un libero professionista come un ingegnere o un architetto ha tanti punti in comune con le piccole e medie imprese, è altrettanto evidente la differenza nel ruolo "sociale" di chi dovrebbe essere indipendente e avere come primo obiettivo non l'utile (come qualsiasi società economica) ma il benessere della società.
Piuttosto che chiedere un ripensamento al Governo, i rappresentanti delle professioni avrebbero dovuto evidenziare questa esclusione, metterla su un piedistallo e contestualmente chiedere delle misure ad hoc con differenze e specificità cucite su misura di esigenze differenti.
Ennesima occasione persa? speriamo di no!
#unpensieropositivo
A cura di Ing. Gianluca Oreto