Clausole sociali, costo orario e contratti collettivi: quando un bando va annullato?
Il Consiglio di Stato entra nel dettaglio delle clausole sociali, del costo orario e dei contratti collettivi
Clausole sociali, costo orario e contratti collettivi sono gli ingredienti della sentenza del Consiglio di Stato n. 6336/2020 del 20 ottobre 2020 che ci consente di entrare nel dettaglio di questi argomenti.
Il fatto
A proporre ricorso una società che gestiva un servizio di portierato presso un'università di studi. L'amministrazione ha pubblicato un nuovo bando di gara per affidare nuovamente il servizio per altri cinque anni, ma l'offerta della società uscente è risultata non competitiva con quelle di altre società. E per questo il ricorso in primo grado (respinto) e poi al consiglio di Stato. Secondo la società che ha proposto l'appello, ci sono violazioni nel bando di gara per quel che riguarda l'applicazione dei contratti di lavoro, la clausola sociale e il costo del lavoro.
Quando un bando va annullato
È l'Adunanza plenaria a chiarire il carattere immediatamente escludente ai fini della immediata impugnazione di un bando. Tra i punti, le clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione; le regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara oppure prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta; le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e non conveniente; le clausole impositive di obblighi contra ius; i bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta oppure che presentino formule matematiche del tutto errate; gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso; le clausole che prevedono un importo a base d’asta insufficiente alla copertura dei costi, inidoneo cioè ad assicurare ad un'impresa un sia pur minimo margine di utilità o addirittura tale da imporre l’esecuzione della stessa in perdita.
Impossibilità di presentare un'offerta competitiva
La società che ha presentato ricorso si è lamentata del fatto che il bando di gara non prevedeva l'applicazione obbligatoria del contratto di lavoro "multiservizi" che la società ricorrente, gestore uscente del servizio, applica (e dovrebbe continuare ad applicare) ai propri dipendenti. Si parla anche di discrepanze sul costo del lavoro, conteggiato, secondo la società che ha fatto ricorso e che rappresenta l'85 per cento del prezzo della base della gara, con riferimento al costo orario previsto per i dipendenti di II livello del Contratto "multiservizi" mentre la maggior parte dei propri dipendenti impiegati nel servizio è invece inquadrato nel III livello. Per il Consiglio di Stato non è così. Le clausole del bando impugnate non impongono oneri, "né eccessivamente onerosi, né irragionevoli, né discriminatori nei confronti del gestore uscente.
Il costo del lavoro
La questione si sposta sul costo del lavoro come componente dell’offerta economica. Come spesso accade, ci viene in soccorso il decreto legislativo numero 50 del 2016 (in particolare gli articoli 23, 30 e 97). Mentre il rispetto delle norme a tutela dei livelli retributivi dei lavoratori costituisce per gli operatori economici un vincolo inderogabile, la determinazione tabellare del costo del lavoro costituisce per la stazione appaltante soltanto un indice valutativo del giudizio di adeguatezza economica. Inoltre, le ore mediamente lavorate, considerate per la determinazione tabellare del costo medio orario scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali le ore annue non lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (si pensi a: ferie, riduzioni di orario contrattuale, festività e festività soppresse), in altra parte sono suscettibili di variazione caso per caso (assemblee, permessi sindacali, diritto allo studio, formazione professionale, malattia, gravidanza, e infortunio).
Sulla misura del costo orario incidono inoltre anche le eventuali agevolazioni di cui può godere il datore di lavoro in considerazione della natura giuridica dell’azienda e delle tipologie contrattuali utilizzate (contratti di formazione, assunzioni di lavoratori disoccupati a vario titolo, assunzioni di giovani). Per questo, dicono i giudici del Consiglio di Stato, "l’elemento costo del lavoro è composito e va valutato nel complesso dell’organizzazione imprenditoriale, specie per imprese di notevoli dimensioni ed ampia operatività che possono quindi compensare gli oneri derivanti da un maggior costo del lavoro con offerte qualitativamente migliori e soluzioni organizzative appropriate". Si deve distinguere, dunque un "costo reale" costituito da quanto dovuto dal datore di lavoro per il singolo lavoratore quale sia il numero di ore effettivamente lavorate e il "costo della specifica commessa" che può essere inferiore al “costo totale reale”, vale a dire alla somma del costo reale di ogni singolo lavoratore. D'altronde, si legge nella sentenza, "l’operatore economico può sempre mediante l’organizzazione della sua impresa realizzare economie di scala che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore pur a parità di ore lavorate, essendo normale che il costo del lavoro non sia uguale per tutte le imprese che partecipano ad una procedura di gara".
Contratto di lavoro e lex specialis
Di questo argomento ne abbiamo già parlato: non può essere imposta l'applicazione di un determinato contratto dalla lex specialis come requisito per la partecipazione ad un bando di gara. La mancata applicazione di questo non può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione. Ecco perché l’applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro non può determinare l’inammissibilità dell’offerta. Una cosa che vale anche in relazione alla valutazione di anomalia dell’offerta. Non può, quindi, un'amministrazione appaltante imporre o esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare. Questo non vuol dire che l'imprenditore può fre quello che gli pare, "ma incontra il limite logico, ancor prima che giuridico in senso stretto - dicono i giudici - della necessaria coerenza tra il contratto che in concreto si intende applicare e l’oggetto dell’appalto". La scelta del contratto collettivo di lavoro applicabile al personale dipendente, "che diverge per coerenza e adeguatezza, da quanto richiesto dalla stazione appaltante in relazione ai profili professionali ritenuti necessari, è idonea di per sé a determinare una ipotesi di anomalia, riflettendosi sulla possibilità di formulare adeguate offerte sotto il profilo economico incoerenti o incompatibili essendo i profili professionali di riferimento". Nel caso analizzato, la società che ha fatto ricorso non ha dimostrato che, in relazione al contenuto delle prestazioni oggetto di affidamento e ai livelli professionali richiesti agli operatori, l’unico contratto applicabile fosse quello "multiservizi". E' invece emerso che erano applicabili, anche il contratto "vigilanza e servizi fiduciari" e quello per le "imprese esercenti servizi ausiliari fiduciari" (in cui peraltro figuravano costi orari del personale inferiori rispetto al contratto "multiservizi".
La "clausola sociale"
"L’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto". Basta questo passaggio della sentenza del Consiglio di Stato per chiarire una volta per tutte la cosiddetta "clausola sociale". Non è, come sostiene la società che ha fatto ricorso, l'imposizione dell'assunzione dei precedenti dipendenti mantenendo le stesse condizioni economiche. Infatti, dicono i giudici, è escluso che una clausola sociale possa consentire alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l’applicazione di un dato contratto collettivo ai lavoratori e dipendenti da assorbire. L’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto "va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto". Le stesse clausole del contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l’obbligo del mantenimento dell’assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche vincolano l’operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo se imprenditore appartenente ad associazione datoriale firmataria del contratto collettivo. "Soltanto a queste condizioni la clausola, frutto dell’autonomia collettiva, ove più stringente, prevale anche, sulla clausola contenuta nel bando di gara".
Cosa dice il codice dei contratti
Attenzione a leggere bene le norme contenute nel codice degli appalti e quindi nel D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti). È vero che l'articolo 30 impone l’applicazione al personale impiegato nel servizio di un contratto collettivo (in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro), ma si riferisce, dicono i giudici "al contratto che meglio regola le prestazioni rese dalla categoria dei lavoratori impiegati nell’espletamento del servizio, e non a quello imposto dai vincoli e alle clausole sociali inserite negli atti di gara. Lo stesso codice degli appalti richiede solo al bando di prevedere clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale, ma senza irrigidire o limitare né la possibilità per l’amministrazione di adottare scelte organizzative differenti nel tempo, né la possibilità dell’imprenditore di organizzare al meglio la propria struttura produttiva. Per questo il ricorso è stato respinto.
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A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 20 ottobre 2020 n. 6336