Appalti pubblici e forniture: alla Corte di Giustizia UE il principio di equivalenza
Può una stazione appaltante accettare pezzi di ricambio non originali forniti da un produttore diverso da quello che si è aggiudicato un bando di gara?
Ricambi costruiti da un altro fornitore che si è aggiudicato un appalto: argomento interessante da approfondire con la sentenza del consiglio di Stato n. 7964 del 14 dicembre 2020.
Il fatto
La questione che finisce sul tavolo del giudice è molto semplice: può una stazione appaltante accettare pezzi di ricambio non originali forniti da un produttore diverso da quello che si è aggiudicato un bando di gara?
Nel caso specifico si tratta di componenti per degli autobus di linea. Ma la domanda semplice non ha una risposta altrettanto semplice. Infatti saranno necessari ulteriori approfondimenti alla Corte europea che dovrà sciogliere i nodi relativi al fatto se sia conforme al diritto europeo per la stazione appaltante accettare componenti di ricambio destinate ad un determinato veicolo, realizzate da un fabbricante diverso dal costruttore del veicolo, quindi non omologate unitamente al veicolo, rientranti in una delle tipologie di componenti contemplate dalle normative tecniche elencate nelle direttive europee e offerte in gara senza il corredo del certificato di omologazione e senza alcuna notizia sull’effettiva omologazione ed anzi sul presupposto che l’omologazione non sarebbe necessaria, risultando sufficiente solo una dichiarazione di equivalenza all’originale omologato resa dall’offerente.
Inoltre va chiarito il punto se sia conforme al diritto europeo che, in relazione alla fornitura mediante appalto pubblico di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, sia consentito al singolo concorrente di autoqualificarsi come “costruttore” di una determinata componente di ricambio non originale destinata ad un determinato veicolo (in particolare di quelli previsti dalla direttiva europea 2007/46/Ce) oppure se il concorrente deve provare, per ciascuno delle componenti di ricambio così offerte e per attestarne l’equivalenza alle specifiche tecniche di gara, di essere il soggetto responsabile verso l’autorità di omologazione di tutti gli aspetti del procedimento di omologazione nonché della conformità della produzione e relativo livello qualitativo e di realizzare direttamente almeno alcune delle fasi di costruzione del componente soggetto all’omologazione, chiarendo altresì, in caso affermativo, con quali mezzi debba essere fornita detta prova.
Le specifiche tecniche e il codice degli appalti
Il consiglio di Stato fa riferimento al codice degli appalti, il decreto legislativo numero 50 del 2016 in cui viene disciplinato l’inserimento nei documenti di gara delle specifiche tecniche, quindi che definiscono le caratteristiche previste per i lavori, servizi o forniture oggetto della procedura. "Tali caratteristiche devono essere attinenti all’oggetto dell’appalto e proporzionate al suo valore e ai suoi obiettivi". E' ovvio che queste caratteristiche possano essere di intralcio alle libere procedure di accesso alle gare. E per questo, per garantire un'equa partecipazione alla gara, l'articolo 68 (nello specifico il comma 7) prevede che le Stazioni appaltanti, "nei casi in cui si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche tecniche, non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta in ragione del fatto che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta il partecipante dimostra che le soluzioni dallo stesso proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche. Tale dimostrazione può essere fornita dall’offerente con qualsiasi mezzo appropriato".
Il principio dell'equivalenza
Questa disciplina descritta dal codice degli appalti, viene definita "principio dell’equivalenza" che consente appunto agli operatori di mercato che siano sprovvisti delle particolari caratteristiche tecniche previste dalla lex specialis di gara, di partecipare comunque alla procedura di appalto dando prova, con mezzi idonei, di poter fornire alla Stazione appaltante requisiti tecnici equivalenti a quelli dalla stessa richiesta. I mezzi di prova possono essere (lo spiega l'articolo 86 del codice degli appalti) "una relazione di prova di un organismo di valutazione della conformità o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione della conformità" oppure "una documentazione tecnica del fabbricante". Nel caso in cui l'operatore economico non fornisca prove sufficienti di compatibilità, dovrebbe essere escluso dalla gara, "senza che possa ravvisarsi in capo alla Stazione appaltante un onere di attività di indagine circa l’eventuale equivalenza ovvero di attivazione del soccorso istruttorio (che comporterebbe l’alterazione della par condicio tra gli offerenti)".
Componenti non originali e omologazione
La questione a questo punto si sposta. I componenti non originali devono essere omologati. Si tratta, in particolare, di accertare - dicono i giudici - "se per i ricambi equivalenti soggetti ad omologazione, individuabili sulla base dei rinvii alla disciplina di settore contenuti nella disciplina di gara, il concorrente debba produrre, a pena di esclusione della propria offerta, anche il certificato di omologazione a comprova dell’effettiva corrispondenza con l’originale e ai fini dell’utilizzabilità (sul piano legale e tecnico) sui veicoli ai quali il ricambio è destinato (o quanto meno provare in concreto l’avvenuta omologazione dello stesso), oppure se sia sufficiente, in alternativa a tale produzione documentale, una dichiarazione dell’impresa concorrente che attesti l’equivalenza agli originali dei ricambi offerti". Poi è necessario stabilire da quale soggetto debbano provenire le attestazioni di equivalenza e, in particolare, se esse debbano necessariamente provenire dal costruttore della parte o componente offerta ovvero possono provenire anche dal mero rivenditore e commerciante. Per il consiglio di Stato per la prima questione, sia la normativa europea che quella nazionale, permettono di inserire questa componentistica non originale se non differisce da quella originale e sia per quanto riguarda l'inserimento in mezzi nuovi che come pezzi di ricambio e né se a realizzarla sia un costruttore di veicoli o un componentista. Quindi, dicono i giudici, "se una parte o componente ricade in un “regulatory act” comunitario anch’essa potrebbe essere commercializzata (al pari delle componenti omologate unitamente al veicolo) solo se previamente omologata".
Costruttore e fornitore
Nel dettaglio del ricorso, si parla della questione relativa all'omologazione e cioè se basti, in alternativa, una semplice attestazione tecnica che dimostri la compatibilità con il pezzo originale. Bisogna però distinguere, a questo punto, le figure di costruttore e fornitore. Secondo la normativa vigente il costruttore è il soggetto che partecipa direttamente ad almeno una delle fasi della materiale costruzione e fabbricazione dei pezzi di ricambio. Il fornitore è invece il soggetto che si occupa della commercializzazione e distribuzione di ricambi costruiti da altri, non avendo partecipato a nessuna delle fasi costruttive del ricambio e rimanendo perciò totalmente estraneo al relativo processo produttivo. Così delineate le due diverse figure, è bene allora evidenziare che qui si controverte sia circa l’interpretazione del termine “costruttore”, sia in ordine alla possibilità che l’attestazione di equivalenza possa provenire anche dal mero fornitore e rivenditore del ricambio che non sia il costruttore. "Di tale nozione - dicono i giudici - si può fornire sia un’interpretazione restrittiva che lo fa coincidere con quella del fabbricante, sia un’interpretazione estensiva, in base alla quale il costruttore può essere inteso, in senso più ampio, anche come produttore (nel significato che assume nella normativa a tutela del consumatore), ovvero come il soggetto che immette sul mercato e commercializza, a proprio nome e sotto la propria responsabilità, i ricambi equivalenti fabbricati da altri".
I dubbi
A favore della prima tesi, il regolamento dell'unione europea (31 luglio 2002, n. 1400/2002) che definisce "pezzi di ricambio di qualità corrispondente" solo i "pezzi di ricambio fabbricati da qualsiasi impresa che possa certificare in qualunque momento che la qualità di detti pezzi di ricambio corrisponde a quella dei componenti che sono stati usati per l'assemblaggio degli autoveicoli". Secondo questa tesi l’equivalenza del ricambio deve essere certificata esclusivamente dal fabbricante, poiché è proprio il riferimento a quest’ultimo che consente l’esatta identificazione del prodotto e, mediante la certificazione, delle sue caratteristiche tecniche. Ogni singolo pezzo da indicare nell’offerta deve essere, infatti, non un ricambio equivalente qualsiasi, ma un ricambio di un certo costruttore, tenuto a certificarne l’equivalenza rispetto all’originale, identificato o identificabile: diversamente, ciò consentirebbe all’impresa concorrente di riservarsi il potere di scegliere, divenuta aggiudicataria, all’atto della fornitura del pezzo, il prodotto economicamente più conveniente. Il costruttore del ricambio sarebbe, dunque, l’unico soggetto, in virtù della sua diretta partecipazione al processo produttivo in grado di attestarne l’equivalenza. Il mero fornitore che si limita ad apporre il proprio marchio sul prodotto finito, senza fornire contributo alcuno al materiale processo di fabbricazione, non sarebbe in possesso delle competenze necessarie per attestare la conformità dei beni offerti alle specifiche tecniche richieste dal bando di gara. I mezzi di prova appropriati devono, infatti, essere idonei a consentire alla Stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche, legato non a formalistici riscontri, ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte. La seconda opzione, sostenuta nel ricorso, è fondata invece sul richiamo ad altre normative che estendono la nozione del produttore fino a ricomprendervi chi si limiti a commercializzare il prodotto, apponendovi il proprio marchio, pur senza aver materialmente partecipato neanche ad una fase del relativo processo di costruzione. Secondo tale tesi, per costruttore o produttore dei ricambi non deve intendersi soltanto chi "concretamente fabbrica un certo componente", ma anche il soggetto che realizza con un proprio marchio il prodotto o parte di esso, anche attraverso attività di assemblaggio o esternalizzazione a terzi di parti o componenti e sul quale ricade l’onere della garanzia in caso di non conformità del prodotto: tale essendo in definitiva non soltanto chi produce direttamente i ricambi richiesti, ma anche chi assume la responsabilità del loro utilizzo, attraverso la certificazione di equivalenza all’originale o ancora prestando la garanzia per il loro corretto funzionamento e per l’assenza di vizi di costruzione.
Mezzi di prova e dichiarazione del fornitore
Come dicevamo, la normativa prevede che l'equivalenza dei ricambi sia dimostrata con "mezzi di prova". Secondo il ricorso, non sarebbe contemplata la dichiarazione sostitutiva del fornitore, che non può considerarsi “altro mezzo di prova appropriato”, dovendo per appropriatezza senz’altro intendersi la rispondenza funzionale all’obiettivo di comprovare le specifiche tecniche. Tra i mezzi di prova elencati dalla direttiva europea (n. 2014/24/UE), "campioni, descrizioni o fotografie la cui autenticità deve poter essere certificata a richiesta dell’amministrazione aggiudicatrice", oppure "i certificati rilasciati da istituti o servizi ufficiali incaricati del controllo della qualità, di riconosciuta competenza, i quali attestino la conformità di prodotti ben individuati mediante riferimenti a determinate specifiche tecniche o norme", o ancora "una documentazione tecnica del fabbricante" ovvero "una relazione di prova di un organismo riconosciuto", laddove per "organismi riconosciuti" si intendono espressamente "i laboratori di prova e di calibratura e gli organismi di ispezione e di certificazione conformi alle norme europee applicabili". Alla luce di tali disposizioni, l’appellante prospetta allora l’illegittimità e l’illogicità della lex specialis di appalti di fornitura di ricambi se interpretati nel senso di consentire che l’attestazione di equivalenza possa essere effettuata anche mediante dichiarazione del partecipante che sia mero rivenditore o fornitore e non fabbricante della componente o parte, in quanto lesiva dei principi di tassatività e appropriatezza dei mezzi di prova: la discrezionalità di cui pure certamente gode la Stazione appaltante nell’indicare nella disciplina di gara gli strumenti probatori andrebbe pur sempre esercitata entro i limiti di appropriatezza dettati dalla normativa di settore, comunitaria e nazionale, sì da consentirle di effettuare un’effettiva e proficua verifica.
Il certificato di equivalenza
Il certificato di equivalenza che può ritenersi “appropriato” sotto il profilo oggettivo deve necessariamente illustrare alla Stazione appaltante i dati tecnici relativi al ricambio cui si riferisce: in altri termini, l’appropriatezza del mezzo di prova presuppone necessariamente che la documentazione prodotta in gara dettagli le specifiche tecniche dei ricambi equivalenti offerti. "Poiché la prova dell’equivalenza è un elemento sostanziale dell’offerta - si legge nella sentenza - la Stazione appaltante deve poter verificare in concreto, esaminando la documentazione tecnica prodotta dai concorrenti, che vi sia conformità rispetto alle specifiche tecniche richieste dalla lex specialis: e ciò sarebbe garantito soltanto dalla presentazione a corredo dell’offerta della certificazione tecnica proveniente dal fabbricante o dal costruttore del ricambio equivalente. Diversamente, l’attestazione di equivalenza, da elemento fondamentale dell’offerta, finirebbe per tradursi in mero simulacro ed orpello formale, privo di qualsiasi valore sostanziale e probatorio". Ma di contro, la Stazione appaltante e l’aggiudicataria evidenziano come la normativa applicabile alla fattispecie non individua specifiche e peculiari modalità procedimentali di accertamento dell’equivalenza: può essere dunque idonea a tal fine non solo la certificazione di corrispondenza del costruttore, ma anche ogni altro elemento appropriato capace di dimostrare in modo soddisfacente e oggettivo l’equivalenza dei prodotti offerti. Di conseguenza, sarebbe consentito provare la conformità del prodotto attraverso una mera dichiarazione sostitutiva del concorrente, anche a prescindere da ogni dimostrazione sulla sua qualità di costruttore del ricambio offerto.
La questione "costruttore"
Altro problema del ricorso attiene all’individuazione delle modalità con le quali può essere dimostrata la propria qualità di costruttore del prodotto e se, a tal fine, assumano rilievo o possano di loro reputarsi sufficienti, quali strumenti idonei a comprovare un requisito di capacità tecnica del concorrente in sede di gara, le indicazioni del certificato di qualità nonché l’oggetto sociale come riportato nelle visure camerali, dalle quali possano trarsi indicazioni sull’attività prevalentemente svolta. Se è vero che per essere qualificato come “costruttore” non è necessario partecipare a tutte le fasi della costruzione del prodotto, è anche vero che ciò sembra presupporre che si dimostri di aver partecipato ad almeno una fase di tale processo. È dubbio, inoltre, se sia necessario che il concorrente abbia la disponibilità, diretta o contrattuale, di stabilimenti di produzione, ovvero se sia sufficiente dimostrare che tutti i ricambi per i quali ha certificato l’equivalenza sarebbero prodotti da terzi secondo le proprie direttive e, in caso positivo, con quali modalità. La società, dunque che attesti l’equivalenza dei prodotti offerti dovrebbe poter allegare e dimostrare, per ciascun ricambio per il quale si dichiara costruttore: di essere in possesso del progetto di fabbricazione e del know-how tecnico per produrre il ricambio; di realizzare e documentare il controllo dei semilavorati eventualmente impiegati rispetto alle specifiche di progetto di realizzazione del prodotto; di essere il soggetto responsabile verso l’autorità di omologazione di tutti gli aspetti del relativo procedimento e della conformità della produzione; di avere stipulato con terzi fabbricanti contratti di sub-fornitura industriale per la costruzione/fabbricazione, su sue specifiche tecniche e controllo di qualità, dei ricambi in questione. La questione è stata rimessa al giudizio della Corte europea.
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A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 14 dicembre 2020, n. 7964