Il Codice dei contratti e la liturgia dell'impotenza
Dopo 5 anni dalla riforma del Codice dei contratti, il mondo dei lavori pubblici è fermo al palo in attesa che qualcuno tracci la strada da seguire
A quasi un quinquennio dalla riforma dei lavori pubblici dell'aprile 2016, il Paese dovrebbe ormai essere dotato non solo di un quadro normativo completo ma anche di una giurisprudenza in grado di scioglierne i nodi chiave.
Dal D.Lgs. n. 163/2006 al D.Lgs. n. 50/2016
Il decennio applicativo dal vecchio D.Lgs. n. 163/2006 è stato segnato da infinite modifiche e sentenze che hanno spesso confuso gli operatori, ma anche da un sistema duale fatto da un Codice e un Regolamento venuto alla luce con un colpevole ritardo (il DPR n. 207/2010) ma che ha consentito agli operatori di confrontarsi con un quadro normativo chiaro e definito.
Sistema duale, però, non esente da pecche. Da una parte il Regolamento ha visto la luce a 4 anni dal Codice e dall'altra non è riuscito ad andare dietro alle tante (troppe) modifiche apportate alla norma di rango primario. Motivi che hanno portato ad un decisivo cambio di rotta nella definizione del nuovo D.Lgs. n. 50/2016.
Il nuovo Codice dei contratti, oltre ad essere stato necessario per allinearci agli obblighi eurocomunitari, è stato riscritto nell’ottica della semplificazione e della soft law anglosassone. Un sistema non più duale ma flessibile attraverso provvedimenti dei Ministeri e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) che nel frattempo ha sostituito l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP).
L'idea era quella di avere un sistema formato da un perno centrale (il codice) e un'insieme di satelliti facilmente aggiornabili da parte dei diversi soggetti. Un sistema che, però, si è scontrato con una scarsa propensione italica ad una legiferazione veloce e snella, che ha generato un quadro normativo monco, bloccato ed in attesa di una scintilla che possa chiarire le intenzioni di chi ci governa.
Codice dei contratti: la liturgia dell'impotenza
Scintilla che sarebbe potuta arrivare dal primo Governo Conte giallo-verde (M5S-Lega), che sin dalle sue prime dichiarazioni aveva ammesso la necessità di intervenire sulla normativa degli appalti pubblici. Stessa cosa accaduta con il secondo Governo Conte giallo-rosso (M5S-PD).
Fatto sta che, dichiarazioni a parte, in questi anni la montagna ha partorito i classici topolini capitanati principalmente da due provvedimenti d'urgenza:
- il Decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. Sblocca Cantieri);
- il Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni).
Due provvedimenti che hanno certificato quella che possiamo chiamare la liturgia dell'impotenza perché hanno solo sospeso o prorogato alcuni dei pilastri su cui era stata edificata la riforma del 2016. Ma senza mai tracciare una strada che lasciasse intendere le reali intenzioni.
Con la nuova legislatura e con i nuovi Governi Conte giallo-verde e Conte giallo-rosso tutto è stato bloccato e messo sotto ghiaccio in attesa di...non si sa bene cosa.
Un po’ di storia
In realtà, le premesse c’erano tutte e le troviamo nelle parole Premier Giuseppe Conte che, nel corso della replica alla Camera dei Deputati sulla fiducia al suo primo Governo, aveva affermato senza mezzi termini:
"In Italia gli appalti non partono, abbiamo un codice degli appalti pubblici che da due anni in pratica non viene applicato".
In riferimento alla struttura del Codice creata per sconfiggere la corruzione, Conte ha affermato:
"Cultura della legalità non vuol dire che non bisogna fare le cose in Italia ma che si devono fare bene e per farlo bisogna prendere atto che le P.A. non sono nella condizione di poter serenamente operare. Da un lato schiacciate dalla prospettiva di una responsabilità erariale e dall'altra schiacciate dalla prospettiva di una responsabilità penale. Oggi chi sta fermo viene avvantaggiato e allora si preferisce non avventurarsi nella gestione di procedure di gara che evidentemente espongono a insidie che non riescono ad essere gestite".
Ed, in quella occasione non mancarono le prime frecciate all’ANAC:
“Cercheremo di valutare bene il ruolo dell'ANAC, che non va depotenziato, evidentemente, ma, sicuramente, in questo momento, non abbiamo dall'ANAC quei risultati che ci attendevamo, forse avevamo investito troppo. Possiamo valorizzare l'ANAC ma in una funzione e anche in una prospettiva diverse di prevenzione. Per esempio, per quanto riguarda il precontenzioso che attualmente è davanti all'ANAC, che giace davanti all'ANAC, possiamo rafforzare questa fase, in modo da avere una sorta di certificazione anticipata per i funzionari, per gli amministratori pubblici, onde poter procedere, poi, alle gare più speditamente” (leggi articolo).
Le modifiche puntuali al Codice dei contratti
Le buone intenzioni espresse hanno, però, generato modifiche, quasi sempre, non strutturali ma puntuali e generali.
Relativamente alle modifiche puntuali, ci riferiamo:
- all’articolo 5 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12 con cui furono introdotte alcune modifiche all’articolo 80 rubricato “Motivi di esclusione” del Codice dei contratti (leggi articolo);
- al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 recante “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155” che con l’articolo 372 introduce alcune modifiche agli articoli 48, 80 e 110 del Codice dei contratti (leggi articolo);
- all’articolo 30-bis del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 55 con cui furono introdotte per l’edilizia scolastica nuove deroghe al Codice dei contratti (leggi articolo);
- all’articolo 5 della legge 3 maggio 2019, n. 37 con cui fu sostituito, integralmente, l'articolo 113-bis del Codice dei contratti per adeguare i termini di pagamento alle disposizioni europee (leggi articolo);
- all’articolo 5 della legge 19 giugno 2019, n. 56 che con il comma 4 introduce alcune modifiche all’articolo 144, comma 5 del Codice dei contratti.
Le modifiche generali al Codice dei contratti
Le modifiche generali è possibile riscontrale nel Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32 convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55. Tutte riscontrabili all’articolo 1 rubricato “Modifiche al codice dei contratti pubblici e sospensione sperimentale dell'efficacia di disposizioni in materia di appalti pubblici e in materia di economia circolare” che non mostra una chiara visione delle strada da seguire.
Modifica strutturale
L’unica modifica veramente strutturale è l’inserimento del comma 27-octies all’articolo 216 del Codice dei contratti. Si tratta del nuovo Regolamento unico che doveva entrare in vigore entro la fine del mese di ottobre 2019. Ma così non è stato e siamo, a tutt’oggi in attesa di una prima approvazione da parte del Governo, propedeutica a tutti i passaggi necessari alla pubblicazione definitiva.
Nel mese di agosto 2019, dopo lo strappo cosiddetto del “Papeete” e successivamente alla nascita del Governo Conte giallo rosso sembra che la riforma del Codice dei contratti pubblici sia stata cloroformizzata e che non sia più un argomento attuale per il nuovo Governo.
Gli unici atti che possiamo rilevare dal mese di settembre 2019 ad oggi sono relativi:
- all’articolo 49 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 convertito dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157 che introduce nuove disposizioni in tema di rating di legalità con le modifiche agli articoli 83, comma 10 e 95, comma 13 del Codice dei contratti (leggi articolo);
- a vari articoli del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 con cui sono state introdotte modeste modifiche all’articolo 35, comma 18 del Codice dei contratti ed alcune deroghe (leggi articolo)
e le modifiche dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 che, tra l’altro, introduce:
- con l’articolo 1 rubricato “Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia” modifiche non definitive ma soltanto a tempo del Codice dei contratti e cioè valide qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente venga adottato entro il 31 luglio 2021;
- con l’articolo 2 rubricato “Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia” alcune modifiche non definitive ma soltanto a tempo del Codice dei contratti;
- altre modifiche, sempre di dettaglio ad alcuni articoli del Codic dei contratti.
In pratica a quasi 5 anni dall’entrata in vigore dei Codice dei contratti e dopo 2 anni e mezzo di Governi Conte giallo-verde e Conte giallo-rosso, ci ritroviamo con un pugno di mosche. Nulla si è fatto per una revisione organica del Codice ed il sistema degli appalti in Italia precipita sempre di più verso l’abisso.
Benché le gare di progettazione nel 2020 hanno avuto un'iniezione in avanti, è tragico il dato dei cantieri, recentemente certificato dall'Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE). Si tratta di un vero corto-circuito innescato con la sospensione dei provvedimenti attuativi disposti dal governo Conte giallo-verde che ha portato il sistema dei lavori pubblici al collasso e a non decisioni sui problemi più importanti che necessitano valide ed urgenti soluzioni relativamente:
- al sistema di qualificazione delle imprese;
- alla necessità di chiarezza sull’appalto integrato;
- alle norme sul subappalto;
- alle numero delle stazioni appaltanti;
- alla definizione del Regolamento attuativo;
- alla necessaria chiarezza sul ruolo dell’ANAC
Ciò che è certo e tutti sanno, è che siamo arrivati ad un punto in cui non è possibile accontentarsi si continue panacee che rimandando sempre a dopo la soluzione del problema. Occorre una soluzione eccezionale che per prima cosa riconosca puntualmente i problemi dei lavori pubblici.
Ma per farlo occorrerà sconfiggere la liturgia dell’impotenza.
A cura di Arch. Paolo Oreto