Il PNRR, l’innovazione e la sintesi economia-socialità
Lo sforzo di rilancio dell’Italia delineato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo
Lo sforzo di rilancio dell’Italia delineato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.
Gli obiettivi del PNRR
“La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi rappresentano un fattore determinante della trasformazione del Paese e devono caratterizzare ogni politica di riforma del Piano. L’Italia ha accumulato un considerevole ritardo in questo campo, sia nelle competenze dei cittadini, sia nell’adozione delle tecnologie digitali nel sistema produttivo e nei servizi pubblici. Recuperare questo deficit e promuovere gli investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali, è essenziale per migliorare la competitività italiana ed europea; favorire l’emergere di strategie di diversificazione della produzione; e migliorare l’adattabilità ai cambiamenti dei mercati”.
Mai quanto oggi qualsiasi azienda deve tendere ad un “orientamento innovativo”. Non tutto e non sempre è possibile innovare, ma occorre fare tutto ciò che è possibile e conveniente. Risulta opportuno riflettere in merito a che cosa sia da considerare “il nuovo” per l’azienda. Con tal termine è possibile riferirsi ad interventi sulla struttura, alla riqualificazione del personale, al cambiamento organizzativo, al prodotto/servizio offerto.
Occorre considerare che se l’innovazione rimane tale solo per l’azienda e non lo è anche per il mercato, di fatto si tratta di una imitazione.
Soltanto quando l’innovazione viene riconosciuta dal mercato, l’azienda non subisce più il cambiamento e reagisce adeguandosi, ma lo provoca, lo anticipa a favore del proprio interesse e prima dei concorrenti.
Innovazione
Tutto nell’azienda è suscettibile di innovazione, quando la cosa è fattibile in termini economici.
E’ possibile innovare l’organizzazione delle lavorazioni, del processo produttivo, della distribuzione, del settore informativo ed amministrativo. E’ possibile innovare la struttura tecnico/produttiva. Se fino ad un certo punto cambia solo il processo produttivo, dopo occorre cambiare anche gli impianti, perché soltanto con impianti nuovi e superiori è possibile realizzare il nuovo processo produttivo. Può trattarsi di un nuovo e migliore modo di produrre uno stesso bene che così mantiene validità sul mercato. Alcune volte le innovazioni nell’organizzazione e nella struttura hanno proprio la funzione di innovare il prodotto/servizio offerto. Così l’innovazione diventa palese sul mercato, agli occhi del consumatore/utente finale.
Nel caso di innovazione nell’organizzazione e nella struttura gli effetti sono indiretti, come ad esempio con una presenza più capillare nei punti vendita, o con una capacità di evasione ordini più ampia e tempestiva. Quando l’innovazione diventa palese, il prodotto/servizio offerto appare concorrenziale. Esso può definirsi nuovo e con una solida base innovativa, ma questo caso è molto raro. Può essere differenziato, avendo alla base vecchi prodotti, ma differenziandosi perché migliorato o modificato. Anche la differenziazione è compresa nel così detto “orientamento innovativo” e può riguardare la sostanza del prodotto/servizio offerto, come ad esempio i caratteri del materiale usato o l’accuratezza della lavorazione. In tal modo nascono prodotti migliorati. La differenziazione può altresì agire sull’apparenza, come ad esempio sul colore, sulla forma, sulla confezione, sul marchio. E’ così possibile parlare di prodotti modificati. La differenziazione può anche riguardare le condizioni di vendita, di consegna, di regolamento o di assistenza tecnica. In pratica è difficile distinguere tra prodotti/servizi nuovi, migliorati, modificati. Questo dipende dalla presentazione dell’azienda, dalla risposta del consumatore, nonché da molteplici aspetti ambientali.
Indubbiamente, la qualità è sinonimo di “orientamento innovativo” e, come noto, dipende sia dalla gestione del processo che dal prodotto/servizio offerto.
L’innovazione deve essere comprensibile al consumatore/utente finale. Il prodotto/servizio offerto deve essere riconosciuto come più valido, di qualità superiore, migliore. I concetti “innovazione, qualità, miglioramento continuo” sono in armonia. Il consumatore/utente più maturo cerca nel “nuovo” il “più utile”, ciò che pertanto è in grado di soddisfare meglio i suoi bisogni, in armonia. Nelle aziende avviene soprattutto un miglioramento graduale, poiché rispetto all’innovazione questo è più conveniente e possibile.
Indubbiamente occorre avere una posizione avanzata nel campo della ricerca scientifica, ed impegnarsi nella ricerca significa sostenere costi. Con ricerca scientifica è possibile riferirsi alla ricerca applicata, che muove da conoscenze di base già esistenti e cerca soltanto nuove forme di applicazione, o alla ricerca industriale, che può essere fatta all’interno della stessa azienda. Occorre in tal caso una dimensione aziendale adeguata, occorrono mezzi sufficienti, incertezze e tempi accettabili, oltreché rischi sostenibili; l’azienda sostiene certi costi, ma il nuovo prodotto/servizio offerto le permetterà di recuperare con rapidità i costi sostenuti.
La ricerca può anche essere pura, di base. Essa può puntare a nuove conoscenze, a superare la soglia conoscitiva del momento. Questo perché normalmente l’azienda non ha una dimensione adeguata e mezzi sufficienti, inoltre le incertezze ed i tempi non sono accettabili, i rischi non sono economicamente sostenibili.
Se l’azienda non è attiva in tale ambito, può cadere nel ristagno innovativo. L’azienda deve cercare di partecipare a ricerche comuni, svolte da più aziende insieme mediante i consorzi di ricerca, deve partecipare a centri esterni dove convergono aziende ed enti, come le Università. Tali forme di collaborazione puntano a fornire una pluralità di contributi, a raggiungere dimensioni più vaste nel nucleo di ricerca, a poter svolgere una attività più prolungata nel tempo, meno pressata dall’esigenza di arrivare a risultati rapidamente utilizzabili.
Indubbiamente, le aziende hanno un interesse comune che le lega fino a quando non si intravedono le nuove conoscenze. Dopodiché con molta probabilità ognuna tornerà al proprio interno, per cercare di sfruttarle meglio e prima della concorrenza, con un nuovo prodotto/servizio offerto.
La componente “M4C2: DALLA RICERCA ALL’IMPRESA
Nel PNRR “la componente “M4C2: DALLA RICERCA ALL’IMPRESA” mira a sostenere gli investimenti in R&S, a promuovere l’innovazione e la diffusione delle tecnologie, a rafforzare le competenze, favorendo la transizione verso una economia basata sulla conoscenza”.
Inoltre, “la linea di intervento “M4C2.1 RAFFORZAMENTO DELLA RICERCA E DIFFUSIONE DI MODELLI INNOVATIVI PER LA RICERCA DI BASE E APPLICATA CONDOTTA IN SINERGIA TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE” mira a potenziare le attività di ricerca di base e industriale, favorendo sia la ricerca aperta e multidisciplinare, stimolata dalla curiosità e dall’approccio scientifico, sia la ricerca finalizzata ad affrontare sfide strategiche per lo sviluppo del Paese. Particolare attenzione è riservata all’investimento sui giovani ricercatori e a favorire la creazione di partnership pubblico/private di rilievo nazionale o con una vocazione territoriale”.
Un’altra condizione affinché l’azienda possa svolgere una politica innovativa è la capacità di influenzare o determinare la moda. Stavolta il prodotto/servizio offerto appare nuovo perché di moda e, come noto, alcuni prodotti/servizi offerti hanno al loro interno due componenti: una legata al progresso scientifico ed una legata alla moda.
Mano a mano che passiamo dai prodotti nuovi ai prodotti modificati, diminuisce l’importanza della ricerca scientifica. Mentre nel caso di prodotti nuovi la ricerca scientifica ha una massima importanza, in special modo quella pura, nel caso di prodotti migliorati, la ricerca scientifica è soprattutto applicata. Con il diminuire dell’importanza della ricerca scientifica, aumenta l’importanza della moda. Nei prodotti/servizi nuovi la moda è quasi nulla, nei prodotti/servizi migliorati la moda assume notevole importanza, in quelli modificati la moda contribuisce al massimo.
Se l’azienda riesce a realizzare entrambe le condizioni, con un’immagine valida sia dal lato scientifico che dal lato della moda, ciò determina aspettative nel consumatore/utente finale: aspetta da quell’azienda prodotti/servizi validi a priori. L’immagine dell’azienda è collegata in modo biunivoco all’immagine del prodotto/servizio offerto. Tutto ciò ha un’influenza positiva sulla domanda, con riflessi positivi sulla politica di produzione e di vendita: l’azienda potrà produrre e vendere molto poiché trova il mercato già ricettivo.
Come osserva Giannessi, “l’azienda non può essere intesa senza la proiezione della sua vita nel futuro. I risultati non riguardano soltanto fatti accaduti, ma anche e soprattutto quelli che potranno accadere in un determinato intervallo di tempo. L’azienda è interamente pervasa dalla proiezione probabilistica della sua vita e in essa ritrova il suo definitivo significato” (Il kreislauf tra costi e prezzi, pag. 1).
Ogni politica aziendale ha aspetti positivi ed aspetti negativi. Globalmente è importante che gli aspetti positivi siano i maggiori.
Gli aspetti positivi: solo l’azienda si presenta con quel certo tipo di prodotto/servizio offerto, nuovo o differente. Il prodotto, con il prezzo, esprime la sua misura concorrenziale, è così possibile parlare di una relativa posizione monopolistica. Relativa, in quanto riguarda un tipo di prodotto/servizio, dipende dal grado di innovazione e non è illimitata nel tempo (G. Zappa: “basta intervenire qualche tempo prima dei concorrenti, per ottenere un conteso, ma fuggevole primato”). Tale durata è anche la durata entro la quale l’azienda può recuperare i propri investimenti di tipo innovativo.
Alla prima realizzazione di un nuovo prodotto, scatteranno le imitazioni ed a ben vedere l’imitatore non cercherà di imitare il prodotto/servizio offerto, bensì l’idea, cercando di realizzarla meglio. Difatti, talvolta la prima realizzazione mostra la bontà dell’idea, ma anche le carenze iniziali nel metterla in pratica. E’ così che allora la seconda realizzazione può apparire talmente migliore da riuscire come la più efficace espressione dell’idea innovativa. Pertanto l‘azienda innovatrice deve cercare di uscire tempestivamente con le realizzazioni, che costituiscono una graduale messa a fuoco dell’idea e delle eventuali applicazioni. Così l’azienda tende a conservare il proprio ruolo innovativo, entro i limiti temporali di validità tecnico/economica dell’idea. Passati alcuni limiti, l’idea non ha più interesse economico pertanto va abbandonata. I limiti sono più o meno ampi e se sono molto ristretti c’è crisi di indifferenziazione, non c’è più superiorità concorrenziale, pertanto influisce esclusivamente il prezzo. Occorre rilevare che una relativa posizione monopolistica concede all’azienda anche un relativo potere sul prezzo: nella misura in cui l’azienda riesce a far sembrare come nuovo il prodotto, può agire sul prezzo ed aumentare il prezzo significa scaricare più facilmente i costi e ottenere maggiori profitti. L’azienda insomma deve prevedere come il consumatore reagirà a qual prodotto/servizio, tenendo conto anche delle condizioni di vendita, mettendo in pratica una politica combinata di prodotto/servizio/prezzo/altre condizioni di vendita.
Gli aspetti negativi sono strumentali a quelli positivi. Anzitutto, innovazione ed obsolescenza sono due facce di una stessa medaglia. Innovare vuol dire provocare il superamento tecnico/economico della realtà precedente, almeno se la linea innovativa fa centro e provoca una domanda sostitutiva, non solo aggiuntiva. Tale obsolescenza è voluta, non è subita, ma in ogni modo l’innovazione provoca l’obsolescenza, prima all’interno, poi anche all’esterno. La rinuncia di certe potenzialità deve essere economicamente motivata: rinunciare a certe possibilità è un aspetto negativo, ma all’interno di una politica attuabile per il carattere globalmente positivo. Nel quadro di una politica innovativa occorre mettere in atto un consapevole controllo relativo alla politica dell’obsolescenza: tutto sul mercato cambia, e cambiare vuol dire obsolescenza, se non la provoca l’azienda stessa, la provocheranno gli altri.
L’azienda innova per migliorare il proprio equilibrio costi/ricavi, o comunque per avere un effetto positivo sull’equilibrio. L’innovazione porta ad aggravi di costo. La riqualificazione del personale ad esempio comporta indubbi costi da sostenere. L’innovazione non comporta sempre aumento dimensionale, perché di fatto può accadere di dover tagliare i “rami secchi” o meno economici, ed innovare nei restanti segmenti di appartenenza. I nuovi prodotti/servizi hanno altri fattori della produzione, con propri costi e propri prezzi. L’obiettivo pertanto non sono le economie di scala, bensì un diverso sistema costi/ricavi che, nelle intenzioni, è migliore. A tale sistema si giunge per come i prodotti sono ottenuti e presentati, con riferimento ai costi di produzione e di distribuzione, nonché accolti, con riferimento ai ricavi.
L’innovazione non garantisce niente, né un certo quantitativo di vendita, né l’aumento delle vendite. Tutto dipende da come il consumatore/utente la recepisce. Inoltre, il quantitativo o l’aumento delle vendite non garantisce sempre l’economicità, ma ciò dipende dalle condizioni di costi/prezzi/volumi di produzione.
Pertanto, economie di scala potrebbero esserci, ma non sono l’obiettivo dell’innovazione. Potrebbero ad esempio essere su qualche componente di costo relativo a fattori produttivi validi anche nella linea innovativa, magari soggetti ad una maggiore utilizzazione.
Una volta avviata l’innovazione, mano a mano che i prodotti/servizi offerti si affermano ed aumentano le vendite, possono esserci economie di scala rispetto alla fase iniziale.
Le altre aziende che non innovano, o anche la stessa azienda in momenti diversi, possono svolgere una attività collegata alla politica innovativa svolta da grandi aziende, pensiamo all’indotto ad esempio. Oppure possono imitare in tutte le aree in cui si può innovare: nell’organizzazione, nella struttura, nel prodotto, nell’idea. In ogni modo i rischi e le opportunità sono diverse rispetto all’innovatore. Mentre l’innovatore si espone con capitali maggiori, ma se ottiene quella relativa posizione monopolistica può ottenere grossi vantaggi, l’imitatore si espone con capitali minori, ma può arrivare quando il mercato è già saturo, a fronte di capitali sempre comunque elevati. Alcune aziende possono decidere di svolgere processi generalizzati, corrispondenti ad un patrimonio comune di conoscenze. Ciò fino a quando non ci sarà un innovatore, e quindi un imitatore, dopodiché di nuovo il processo rimarrà generalizzato. Sussistono rapporti e possibili coesistenze tra le politiche di innovazione, di differenziazione, di imitazione e di diversificazione. Tra l’innovazione e la differenziazione sussistono rapporti molto stretti, nell’ambito del così detto “orientamento innovativo”. La differenziazione è una imitazione fatta in chiave innovativa. L’imitazione non è mai totale, è fino ad un certo punto, oltre al quale si differenzia. Sono dunque possibili coesistenti politiche di differenziazione e di diversificazione.
L’azienda deve tendere ad innovare nei settori di punta, capaci di ricadute favorevoli negli altri settori e nell’immagine globale.
In scarsità di mezzi finanziari sussiste la tendenza a contrarre le spese e le operazioni, ma una insufficiente capacità finanziaria non significa, in via generale, non convenienza delle operazioni. Questo infatti dipende dalla composizione favorevole o sfavorevole di tutte le condizioni, interne ed esterne all’azienda.
Se la composizione è favorevole, è conveniente operare, assumendo in modo controllato l’impegno finanziario necessario. L’operazione nell’insieme è economica. Se non agisce l’azienda lo faranno le altre aziende concorrenti, e le difficoltà potrebbero tramutarsi da finanziarie in economiche ben più gravi. Viceversa, se la composizione è sfavorevole, non è opportuno operare, assumendo un impegno finanziario troppo rischioso, pesante, non motivato economicamente. Occorre avere mentalità economica, considerando adeguatamente l’aspetto tecnico e finanziario, ma andando anche oltre, sino a cogliere il carattere economico della gestione. Occorre investire in una “cultura aziendale” diffusa, motivante, con mentalità economica di tutto il personale.
Il termine spesa è sinonimo di uscita, determina e misura un costo, ed il più delle volte è preceduta da un debito. E’ l’aspetto finanziario dell’operazione. Il costo può essere un investimento: l‘azienda si espone ad un costo affinché dia un contributo alla produzione. Il costo è un investimento se fatto in prospettiva di adeguati ricavi di copertura. Se tali prospettive non ci fossero, o fossero sbagliate, l’azienda avrebbe sprecato denaro, esponendosi ad un costo che non trovando copertura con i ricavi, si tramuta in perdita.
Occorre in primis considerare la funzione sociale dell’azienda, la sua preminenza etica. L’economicità è necessaria, ma non sufficiente per la socialità. L’economicità potrebbe essere ottenuta in condizione di sfruttamento del lavoratore a condizione di manipolazione del consumatore/utente finale. Dimenticando l’economia, non è possibile parlare di socialità ma solo di demagogia, con aziende che “non stanno in piedi”. Il vero successo dell’azienda risiede oltre all’apparente ed al contingente, è più nascosto ed appare nel tempo a chi lo sappia interpretare: è il mantenimento ed il miglioramento del proprio equilibrio economico evolutivo a valere nel tempo.
Inoltre, così come l’azienda è un sistema e come tale può essere visto nell’insieme e nelle sue parti, così anche l’economicità può essere osservata come complessiva e come particolare. Il rapporto costi/ricavi specifici non deve tendere all’equilibrio, ma deve contribuire all’equilibrio generale.
“La leadership del mondo industrializzato non si basa più tanto sul controllo finanziario, o sui tradizionali vantaggi di costo, bensì su quello dell’intelligenza: è il controllo sul capitale intellettuale, sulle risorse conoscitive, la vera arma competitiva” (Drucker).
Innovare non è un destino, ma una possibilità alla quale è possibile accedere solo dopo avere acquisito il necessario capitale culturale fatto di curiosità, conoscenza, competenze, comportamenti. Competenza e formazione di tutti i soggetti a vario titolo responsabili dei processi, altrimenti non sarà sufficiente investire in digitalizzazione, per realizzare ciò che in analogico (cartaceo) non si è stati in grado di fare (il fine).
Le risorse intangibili, la conoscenza, la fiducia, le relazioni sociali, il capitale intellettuale, umano e strutturale, le condizioni produttive interne, permettono di perseguire la maggiore coerenza dei processi produttivi con le condizioni interne che caratterizzano l’impresa e con le condizioni esterne, con particolare riferimento alle aspettative della domanda. Esse permettono un maggior valore intrinseco dell’offerta e un migliore accesso alle risorse necessarie per la realizzazione dei processi produttivi. Le componenti del patrimonio intangibile sono determinanti per la creazione del valore aziendale e del vantaggio competitivo, in termini di leadership di costo e/o di differenziazione. Per Porter “le imprese sono spesso differenti, ma non differenziate, perché perseguono forme di unicità cui gli acquirenti non apprezzano”. L’unicità deve essere riconosciuta e risultare di valore per il cliente.
Il sistema aziendale delle idee ha un peso determinante nella formazione dei risultati della gestione. In sede di determinazione del valore dell’azienda è opportuno non limitarsi alla conoscenza dei risultati, anche se questi incorporano operazioni, decisioni e idee, ma avere più ampio e più chiaro possibile il quadro di riferimento del sistema delle idee, unico vero responsabile degli accadimenti aziendali. Solo mediante la completa conoscenza delle capacità decisionali e operative del sistema umano sarà possibile comprendere fino in fondo il significato delle operazioni aziendali e giungere alla formulazione di giudizi di valore che siano veramente espressivi della vitalità del sistema produttivo.
Le radici di successo di una impresa sono le competenze distintive: quell’insieme di capacità e di conoscenze che l’impresa possiede, sulle quali si basa la leadership in una gamma di prodotti/servizi offerti. Competenze di valore per l’utente, uniche sul piano concorrenziale, in grado di aprire l’accesso ai mercati di domani.
Competenze, con tale termine indicando la capacità dell’impresa di impiegare le risorse in combinazione, utilizzando processi organizzativi e meccanismi culturali, per raggiungere determinati risultati. Considerato che queste competenze si modificano nel tempo, e tendono a decadere, occorre attuale una politica tendente al miglioramento continuo, determinando le competenze soglia indispensabili, di base, ed andare oltre, pensando a competenze critiche, in grado di soddisfare in maniera superiore il consumatore/utente, e competenze per il futuro, che consentiranno nel futuro, una volta declinate le attuali competenze, di averne di nuove e di continuare a soddisfare in maniera superiore.
E’ compito del management inventare, pensare, coordinare le risorse in maniera diversa. Soltanto così non esiste l’idea di “settore maturo” perché il soggetto economico ha creatività, ha competenze distintive, ha la possibilità di inventare nuovi business, di trovare nuovi segmenti di mercato, con bisogni emergenti da soddisfare. E’ l’azienda che disegna, che progetta il proprio mercato, la propria area competitiva, le proprie competenze distintive.
Secondo Gary Hamel, in un’epoca di grandi sconvolgimenti, l’impresa che si evolve lentamente è già sulla via dell’estinzione. Alla rivoluzione si risponde con la rivoluzione. Per realizzare la rivoluzione al proprio interno, l’impresa deve cambiare quegli aspetti psicologici e sociologici del proprio assetto organizzativo che ostacolano il processo innovativo.
I cambiamenti strategici che vanno oltre le competenze aziendali comportano però enormi rischi. L’analisi degli scenari è particolarmente utile per individuare minacce ed opportunità, e sviluppare opzioni strategiche alternative, in modo da identificare le strategie più robuste. La sfida competitiva diventa non solo trasformazione organizzativa, processi di reingegnerizzazione, competere per la quota di mercati; ma anche strategie di ridefinizione, trasformazione del settore, competere per nuove opportunità.
Inventare il futuro: non solo strategia come apprendimento, come posizionamento, come piani strategici, ma anche strategia per disimparare, come visione, come architettura strategica.
Mobilitarsi per il futuro: non solo strategia come coerenza, come allocazione di risorse; ma anche strategia come scommessa, come leva sulle risorse. Entrare nel futuro: non solo competere all’interno del settore, competere per la leadership del prodotto/servizio, come entità singola, massimizzare l’impatto del nuovo prodotto, minimizzare i tempi di azione, ma anche competere per plasmare il futuro del settore, competere sulle competenze centrali, competizione come coalizione, per massimizzare la velocità di apprendimento sui nuovi mercati e minimizzare il tempo delle manovre anticipate.
Come noto, il fine dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo non è solo caratteristica delle imprese, ma è l’esigenza fondamentale anche delle aziende non imprese. Queste ultime infatti, come ogni organismo economico, esistono solo se nel tempo possono raggiungere e mantenere un sano equilibrio tra ricchezza consumata e ricchezza prodotta. Questa è la condizione generale per la quale ogni attività aziendale può esistere. Vi possono essere differenze di forma, di indirizzi, di linee strategiche, ma la sostanza del fenomeno aziendale ed il suo fine non divergono.
L’esigenza di nuovi strumenti e di nuove pratiche gestionali non può ottenersi solo con il rinnovamento dei processi aziendali, o soltanto attraverso la leva della semplificazione organizzativa, bensì richiede un forte orientamento alla cultura in merito ad alcune dimensioni fondamentali: la consapevolezza delle implicazioni derivanti da una maggior apertura al mercato, un rinnovato atteggiamento nei confronti dei “clienti”, una maggior enfasi sul raggiungimento di obiettivi di efficienza e di efficacia nelle prestazioni erogate attraverso l’adozione di specifiche pratiche gestionali, nonché il passaggio da una impostazione di lavoro basata su d un’ottica burocratica ad una basata su servizio e sulla soddisfazione del cliente interno ed esterno.
Ciò che l’uomo compie deve essere a servizio dell’uomo. L’equilibrio economico durevole nel tempo va guardato in tal senso. La comunanza di interessi che si determina all’interno dell’unità aziendale ed intorno ad essa dovrebbe indurre alla solidarietà tra i portatori dei fattori, tra le varie persone coinvolte, per salvaguardare il complesso strumento produttivo che deve operare a loro vantaggio. La mentalità e la formazione di chi opera nella combinazione produttiva, in particolare orientandone le linee di gestione, deve essere di tipo aziendale, aperta, nell’interesse dell’unità e della collettività, a cogliere le connessioni, la convergenza con il sociale. L’esistenza e lo sviluppo dell’azienda dipendono, in sintesi, dalla sua economia.
Occorre impedire la mercificazione del lavoro, puntando su innovazione e creatività. Le Parti Sociali hanno un ruolo centrale per contrattare e fare in modo che ci si occupi delle persone, del lavoro, della sintesi economia/ socialità. “La sintesi economia/socialità è alla base del concreto operare a servizio dell’uomo. E’ premessa indispensabile del progresso sociale, etico e politico.” (Giannessi, Considerazioni critiche).
Per le Organizzazioni Sindacali CGIL, CISL e UIL, “è necessario ed urgente un Patto per la Salute e la Sicurezza in ogni contesto lavorativo e nello svolgimento di ogni mansione, sul piano contrattuale, di legalità, di rispetto e centralità della persona con adeguata organizzazione del lavoro, retribuzioni dignitose, agendo sui diversi piani di intervento, in tutti i settori e attraverso l’impegno diversificato, sul livello nazionale, nei territori ed in ogni realtà lavorativa”. Qualificazione delle imprese, contrattazione nazionale e decentrata, formazione per ogni lavoratrice ed ogni lavoratore, ma anche per tutti i datori di lavoro, a partire da chi avvia un’attività lavorativa, rappresentanza, ispezioni sul lavoro, innovazione e ammodernamento delle tecnologie e dei DPI, scuola, sono i sette punti cardine sui quali basare l’azione di tutela della salute e sicurezza in ogni contesto lavorativo e nello svolgimento di ogni mansione.
Secondo ANCE, “la patrimonializzazione della impresa, intesa in termini di formazione, attrezzature, risorse umane, know-how deve rappresentare la bussola dell’imprenditore, ma ciò non è sufficiente. Occorrono condizioni di contorno quali la esistenza di una reale concorrenza, continuità nelle regole di linguaggio, investimenti coerenti, una PA che non ponga lacci ed inciampi, un fisco equo, una giustizia rapida ed efficace; elementi e condizioni indispensabili per consentire l’affermarsi ed il consolidarsi di una reale economia di mercato che favorisca che voglia intraprendere. Le piccole/medie imprese hanno rappresentato il motore trainante nella ricostruzione post bellica e in virtù della propria flessibilità sono riuscite a rimanere in vita facendo affidamento sulle proprie forze []. ANCE non chiede la creazione di aree protette per alcuno, ma che le migliori qualità dei vari segmenti imprenditoriali possano proficuamente essere utilizzate dal Paese per eseguire bene e nei tempi le opere previste nel PNRR”.
Il PNRR “comprende un ambizioso progetto di riforme. Il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto – pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza”.
Al fine di rendere efficace e credibile il PNRR nell’interesse del Paese, la governance necessaria per una puntuale ed efficiente realizzazione del Piano medesimo dovrebbe prevedere modalità di confronto strutturato e continuativo con le Parti Sociali ed il loro coinvolgimento effettivo lungo tutto il processo di esecuzione dei progetti.