Decreto Semplificazioni e Subappalto, AIF: 'Occorre chiarezza'
Il commento di AIF AssociazioneImpreseFondazioni consolidamenti ed indagini nel sottosuolo alla modifiche apportate al subappalto dal Decreto Semplificazioni
Leggendo le cronache di questi ultimi periodi, in particolare sui temi che riguardano l’enorme (quanto auspicabile) potenziale rappresentato dal “Recovery Fund” per la ripresa economica del Paese e del settore delle costruzioni, la questione del subappalto è tornata nuovamente centrale.
Chissà qual è il motivo, ma sta di fatto che ogni volta che il settore delle costruzioni tenta di inforcare i binari della ripartenza, tutto si concentra su poche ricette tra le quali la liberalizzazione del subappalto fa la parte del leone. Come se limitare al 40% la possibilità di far fare ad altri (subappaltare) una quota dei lavori acquisiti in gara (questo prevede tuttora il Codice degli Appalti) costituisse un “vulnus” insormontabile per vedere finalmente ripartire le opere pubbliche, gli investimenti ed i cantieri. Ed è bene sottolineare che tale limite incide solo sui lavori pubblici poiché, quando si tratta di investimenti privati, è certo che nessuna committente, dopo aver selezionato in fase di appalto il contrattista per capacità, esperienza e disponibilità di risorse, accetterebbe di far realizzare a soggetti diversi una quota così importante dei lavori. Figuriamoci se tale quota fosse addirittura superiore al 40% (come oggi qualcuno vorrebbe).
Siamo sicuri che il subappalto sia il reale freno per il rilancio del settore delle costruzioni? A nessuno viene il dubbio che dietro a tali posizioni ci sia un problema più complesso?
Qualcuno in realtà lo ha capito. L’ANAC ad esempio, ma anche le rappresentanze sindacali che in questi giorni fanno sentire la loro voce per spiegare che la “sub-cessione” di un contratto (subappalto) dovrebbe rispondere alla logica di un “parziale supporto” per l’impresa appaltatrice, che dovrebbe essere già in grado ed organizzata per realizzare i lavori vinti con una gara di appalto.
Ed ecco, il problema è proprio qui. Ormai sono poche e sempre meno le imprese di costruzioni organizzate per realizzare direttamente i lavori. Al contrario, la maggioranza delle imprese sul mercato, senza la possibilità di subappaltare non sarebbe in grado di consegnare compiutamente un’opera finita.
È doveroso dire le cose come stanno. Occorre chiarezza.
L’ANCE, ovvero l’associazione che rappresenta le imprese di costruzioni, da diversi mesi presenzia i tavoli istituzionali definendo il subappalto come “l’organizzazione dei fattori della produzione”. Sarebbe allora interessante conoscere quale sia la definizione di “impresa di costruzioni”.
Il buon senso dice che una società per essere definita “impresa di costruzioni” dovrebbe almeno… costruire, e quindi è indispensabile che disponga oltre alla capacità e l’esperienza, anche delle risorse per poterlo fare, nel momento in cui partecipa ad una gara d’appalto.
Ed ecco il secondo problema. La mancanza in fase di gara di una adeguata verifica dei requisiti e delle risorse per poter realmente realizzare un’opera (è noto che la certificazione SOA non faccia questo), ha comportato nel tempo, negli ultimi anni, che le imprese di costruzione abbiano rinunciato a mantenere onerosi investimenti in risorse (personale e mezzi), preferendo far subentrare nei propri cantieri i subappaltatori per realizzare quote di contratto sempre più vicine al 100%. E in tutto questo è facile comprendere quale agio abbiano potuto trovare gli interessi malavitosi. Da qui nasce la “distorta” equazione: subappalto = infiltrazione mafiosa.
Questa è la realtà, ed occorre il coraggio di ammetterlo.
Quindi il vero motivo per cui alcune categorie, alcuni portatori di interessi si concentrano sui limiti del subappalto, è proprio che in assenza della possibilità di subappaltare, svariati operatori economici non sarebbero, anzi non sono, in grado di realizzare i lavori per cui vengono regolarmente chiamati.
Il vero problema quindi, questo sì, non è limitare o liberalizzare il subappalto, ma ripartire da una sana, reale ed oggettiva verifica dei requisiti delle imprese. Se ciò avvenisse, il subappalto potrebbe anche essere ammesso (per assurdo) al 100%.
È auspicabile che gli organi di informazione facciano la loro parte in questo momento, evitando di dar voce a posizioni evidentemente strumentali, che fanno leva ad esempio sulla bocciatura dell’Europa nei confronti dei limiti al subappalto che il Codice italiano aveva introdotto con finalità ben precise.
Le Direttive comunitarie sono contrarie a tali limiti per non limitare la concorrenza e la possibilità di accesso al mercato da parte delle PMI. Concetti sacrosanti nel momento in cui, come si diceva, gli operatori economici che intendono affacciarsi agli appalti pubblici hanno effettivamente dimostrato di poterlo fare. In Italia al momento questo non avviene e per questo motivo, l’apertura indiscriminata alla possibilità di subappalto continuerebbe a “destrutturare” il tessuto industriale del settore delle costruzioni (già ai limiti della vaporizzazione). Da diversi anni proprio i dati dell’ANCE indicano che il numero medio degli addetti delle imprese iscritte è ben sotto alle 5 unità.
Parlare di eliminazione dei limiti al subappalto senza parallelamente impegnarsi a riformare il sistema di qualificazione delle imprese equivale non solo a penalizzare (e condannare) le imprese che, con fatica e sacrifici, continuano ad investire per mantenere risorse ed organici, ma contribuirà a distruggere definitivamente un settore che per decenni è stato uno dei fiori all’occhiello del nostro Paese.
A cura di AIF
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