Da pergolato a gazebo: occhio al titolo edilizio
La Corte di Cassazione chiarisce la differenza tra pergolato e gazebo e il relativo titolo edilizio necessario per la sanatoria dell'abuso
Pergolato, gazebo, tettoie e verande sono elementi costruttivi oggetto di svariati interventi da parte dei tribunali che ne hanno definito i contorni relativi al titolo edilizio necessario. Ed è su questi elementi che è stata emessa la sentenza 28 maggio 2021, n. 21039 con la quale la Corte di Cassazione ci consente di fare alcuni ragionamenti.
Da pergolato a gazebo: l'intervento della Corte di Cassazione
Nel nuovo caso sottoposto alla lente dei giudici di Cassazione arriva il ricorso presentato per l'annullamento di due precedenti decisioni di primo e secondo grado che avevano confermato il reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) per aver realizzato l'attuale ricorrente, in qualità di proprietario, committente ed esecutore dei lavori e in assenza del permesso di costruire, un gazebo su terrazza avente dimensione di 3,20 x 3,10 metri e altezza compresa tra 2,35 e 3 metri, mediante la trasformazione di un pergolato già esistente.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva presentato una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in sanatoria per la realizzazione di un pergolato "con funzione ombreggiante", mentre nel sopralluogo effettuato un paio di anni dopo, era stato trovato un gazebo con travi di legno e copertura.
La doppia conformità
Preliminarmente, i giudici hanno ricordato che, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del Testo Unico Edilizia e a precludere l'irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall'art. 36 del DPR n. 380/2001, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria.
Effetti preclusi alla c.d. sanatoria giurisprudenziale che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.
Il permesso di costruire
Nel caso analizzato, il ricorrente aveva presentato una SCIA per la realizzazione di un pergolato "con funzione ombreggiante", mentre nel sopralluogo effettuato un paio di anni dopo, era stato trovato un gazebo con travi di legno e copertura. Quest'opera, dicono i giudici, è una nuova costruzione e andava fatta non con una SCIA, ma con un vero e proprio permesso di costruire. Ecco perché i giudici di primo e secondo grado avevano correttamente negato l'efficacia sanante della SCIA presentata tre anni dopo la realizzazione del gazebo. Gli interventi di manutenzione denunciati dal ricorrente, infatti, sono stati eseguiti su un'opera abusiva, realizzata in totale difformità dalla SCIA presentata.
Il gazebo è pertinenza?
La difesa ha specificato che il gazebo realizzato era da intendersi come pertinenza e che quindi non necessitava di alcun rilascio di titolo abilitativo. Ricorso inammissibile perché i motivi di questo specifico ricorso erano già stati presi in considerazione correttamente dai giudici di primo e secondo grado.
In ogni caso, aggiungono gli ermellini, la natura di pertinenza urbanistica presuppone "che l'opera abbia una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale; che non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ma sia funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dell'edificio principale, cui è legata da una relazione "di servizio", volta a renderne più agevole e funzionale l'uso; che sia sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (in ogni caso non superiore al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede".
Nel caso analizzato "entrambi i giudici di merito si sono pronunciati sull'aspetto relativo alla natura dell'opera costruita e hanno escluso che la stessa potesse qualificarsi come pertinenza in virtù della mancanza di una individualità fisica del manufatto, il quale costituiva un'aderenza del muro principale a ridosso del quale ero stato realizzato, nonché del mutamento della sagoma dell'edificio, e del rilevante aumento di larghezza, lunghezza e volumetria del plesso determinati dell'intervento". Il ricorso dunque è stato dichiarato inammissibile. E oltre ad una multa salatissima, per il ricorrente è stata confermata la pena di tre mesi di arresto.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 28 maggio 2021, n. 21039