Equo compenso: pressing degli ordini sulla proposta di legge
Anche l’Ordine dei Commercialisti rivolge un appello al MEF perché si risolva lo standby sulla proposta di legge
La proposta di legge sull’equo compenso (la C. 3179-A) continua a fare discutere, soprattutto perché ancora non vede luce. Molti gli interessi in gioco, molti i dubbi sulle competenze, molti quelli sugli ambiti di applicazione. Una situazione di stallo su cui recentemente l’Ordine dei Commercialisti si è espresso, con l’invito rivolto al MEF a fornire quanto prima la relazione sulla quantificazione degli oneri derivanti dalle ipotesi di revisione della norma.
Equo compenso: la proposta di legge
Per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
- per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
- per i professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
La proposta di legge, presentata a giugno 2021, è volta proprio a reintrodurre l’equo compenso in favore di tutte le categorie di professionisti. Con questo scopo si prevede di inserire nel codice civile nella parte che disciplina le professioni intellettuali, disposizioni analoghe a quelle già inserite nell’ordinamento forense, per rendere effettiva la norma civilistica e per garantire un’equa e giusta retribuzione anche a tutti gli altri lavoratori professionisti.
A chi spetta l’equo compenso
Uno degli aspetti più controversi della proposta di legge riguarda l’ambito di applicazione: l’equo compenso si applicherebbe infatti ai rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte solo in favore di:
- imprese bancarie e assicurative;
- imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori;
- imprese che hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
In sostanza l’equo viene applicato solo in presenza di realtà con forte potere contrattuale ed economico. Questo è uno dei nodi da sciogliere: gli Ordini richiedono invece che l’equo compenso possa essere applicato in ogni possibile rapporto committente-cliente.
Rappresentanza: Ordini professionali vs Sindacati
L’altra questione fortemente dibattuta riguarda i poteri di rappresentanza attribuiti agli Ordini e ai Consigli Nazionali con gli articoli 7 (“Azione di classe”) e 8 (“Osservatorio nazionale sull’equo compenso”). Ne avevamo già parlato, sottolineando come per la prima volta venga ufficializzata la possibilità per i Consigli nazionali di incidere sulla rappresentanza dei loro iscritti.
Un’ipotesi che i Sindacati non hanno gradito, rimarcando in una nota congiunta a firma di Ala Assoarchitetti, Antec, Asso Ingegneri ed Architetti, Fidaf e Inarsind il proprio ruolo e quello degli Ordini:
“Gli Ordini professionali ricoprono un ruolo di controllo e di gestione della professione sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia del quale sono emanazione e sono quindi Enti Pubblici ai quali tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono, ripetiamo, obbligati ad iscriversi: è evidente che l’obbligatorietà dell’iscrizione è la negazione del fondamento democratico sul quale si fonda la rappresentanza, che presuppone assolutamente la volontarietà di adesione:” e che "gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati e le libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente".
Su due punti c’è comunque accordo su tutti i fronti: il primo, l’auspicio che il Ministero dell’Economia e delle Finanze riesca a quantificare gli oneri e il Parlamento a trovare le coperture necessarie per potere fare approvare la legge; il secondo, che l’equo compenso venga esteso anche a incarichi professionali con piccole e medie imprese.