Variazione sagoma dopo demolizione e ricostruzione: non sempre è fattibile
La Corte di Cassazione ribadisce i confini entro cui la ricostruzione di un edificio non diventa una nuova costruzione abusiva
La demolizione e ricostruzione di un edificio mantenendo la stessa volumetria e superficie, ma variando la sagoma non è sempre fattibile. A ribadirlo, ancora una volta, è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47426/2021.
Demolizione e ricostruzione con variazione sagoma: la sentenza della Corte di Cassazione
Un tema più che mai attuale, in tempi di Superbonus 110%, che può essere ultizzato anche per interventi di demolizione e ricostruzione. Attenzione però all'area in cuivengono effettuati i lavori. Nel caso in esame era stato infatti presentato ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, che aveva considerato abusivo un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio senza rispettare la sagoma originaria dell’immobile in zona sottoposta a vincolo paesistico.
La Suprema Corte ha confermato il giudizio di secondo grado e nel farlo ha ripercorso i tratti salienti della norma di riferimento, ossia l'art. 3, comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Tale articolo, nella sua formulazione originaria, riconduceva nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia "anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica."
In seguito, il D.Lgs. n. 301/2002 ha modificato la disposizione, riconducendo nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia "anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica", eliminando, quindi, il riferimento alla fedele ricostruzione e dando rilievo al risultato finale come coincidente nella volumetria e nella sagoma con il preesistente edificio oggetto di demolizione.
Successivamente, l'art. 30, comma 1, lett. c), della legge n. 98/2013 ha modificato ulteriormente la nozione di "interventi di ristrutturazione edilizia, escludendo la necessità di mantenere identica la sagoma, ricomprendendo in tale ambito anche quelli consistenti nella "demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria del manufatto preesistente, anche se non con la stessa sagoma”.
Vincolo paesaggistico e variazione sagoma edificio
La necessità di mantenere la sagoma, permane solo per gli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del d.lgs n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio): "Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Nelle zone paesaggisticamente vincolate, dunque, anche la modifica della sagoma assume rilievo ai fini dell'integrazione dell'intervento di "nuova costruzione", con il relativo regime assentivo.
Come precisano gli ermellini, per sagoma deve intendersi “la forma della costruzione complessivamente intesa e, cioè, la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, e, quindi, tutte le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma”. Inoltre, anche la forma e le dimensioni del tetto sono parte del concetto di "sagoma".
In questo caso, le opere realizzate hanno comportato plurimi aspetti di modifica della sagoma dell'edificio demolito (nuova sagoma planimetrica variata da una forma rettangolare ad una forma geometricamente più complessa in proiezione orizzontale, nuova sagoma altimetrica dell'edificio in senso verticale con realizzazione di quattro livelli in luogo dei preesistenti due livelli, nuova copertura curvilinea in luogo della preesistente copertura di tipo tradizionale), che rendono indubbio il mancato rispetto della sagoma dell'edificio preesistente.
Le norme statali prevalgono su quelle regionali
Per altro, i ricorrenti avevano invocato il disposto della legge regionale Abruzzo n. 18/83, che consentiva la demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio senza il rispetto della sagoma, perché prevalente su quella statale. Sul punto la Cassazione ha osservato che le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi.
La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato e tali categorie sono individuate dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, anche alla luce dell'art. 117 Cost., anche come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, le disposizioni regionali devono rispettare, in ogni caso, i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e, quindi, devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi generali.
In questo caso, la norma regionale non dava rilievo alla distinzione tra zona vincolata e non vincolata; successivamente, il d.P.R. n. 380/2001 e le successive modifiche hanno distinto a seconda che l'intervento di demolizione e ricostruzione venga effettuato o meno in zona vincolata, differenziando in base a tale circostanza la natura dell'intervento edilizio e il correlato regime dei titoli abilitativi.
Efficacia temporale del permesso di costruire
La Cassazione ha inoltre puntalizzato che l’efficacia del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, prevede che i lavori vengano iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e siano ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e l'effettività delle previsioni urbanistiche. Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire.
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso: con il d.l. n. 133/2013 è stato introdotto il comma 2-bis all'ad 15 d.P.R. n. 380/2001 il quale indica che la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordato qualora i lavori non possono essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati.
Grava sul committente l'obbligo di presentare una formale istanza di proroga in tutte le ipotesi normativamente previste, anteriormente alla scadenza e che tanto non è avvenuto nella specie.
Responsabilità del direttore dei lavori
Infine, nella sentenza viene precisato che, in base all'art. 29 d.P.R. n. 380/2001, il direttore dei lavori è ritenuto responsabile della conformità delle opere alle previsioni del permesso di costruire e alle modalità esecutive, assumendo la responsabilità tecnica delle opere cui deve sovrintendere.
Il direttore dei lavori può quindi concorrere, al pari di altri soggetti, nel reato edilizio in caso di violazione della conformità dell'opera alle prescrizioni urbanistiche quando abbia dato un contributo causalmente efficiente alla sua realizzazione, fatto che che si verifica inevitabilmente nell'ipotesi di concessione edilizia palesemente illegittima.
Il ricorso è stato quindi respinto in ogni sua parte, precisando che la variazione della sagoma di un edificio a seguito di intervento di demolizione e ricostruzione è fattibile solo se l'edificio non si trova in zona sottoposta a vincolo.
Le modifiche apportate dal Decreto Semplificazioni
Ricordiamo che come modificato dal decreto legge 16 luglio 2020 n. 76 (convertito dalla legge 11 settembre 2020 n. 120 (“Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”), l'art. 3 comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 380/2001 adesso dispone che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia "sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. (...) Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
Documenti Allegati
Sentenza