Veranda abusiva: no alla ripresa dei lavori in assenza di sanatoria
Consiglio di Stato: “...in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche d'illiceità dell'opera abusiva...”
Proprio recentemente il Consiglio di Stato ha confermato il principio per il quale interventi edilizi, di qualunque tipo, anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono.
Condono edilizio e ripresa dei lavori
Un principio che segue un preciso percorso normativo fatto delle consuete eccezioni che tendono a complicare il quadro. L’art. 35 comma 13 della Legge n. 47/1985 (primo condono edilizio) consente, a precise condizioni, la possibilità di completare sotto la propria responsabilità opere per le quali è stata presentata istanza di condono edilizio. Le condizioni sono:
- devono essere decorsi 120 giorni dalla presentazione dell’istanza;
- deve essere stata versata la seconda rata dell'oblazione;
- le opere soggette a istanza di condono non devono essere tra quelle non suscettibili di sanatoria (art. 33 della Legge n. 47/85).
A questo punto, soddisfatti i 3 requisiti, il presentatore dell'istanza può completare sotto la propria responsabilità le opere, notificando al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi ed iniziando i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
Abusi edilizi e Cassazione
L’argomento “ripresa dei lavori” è stato oggetto di parecchie sentenze di Cassazione a seguito delle quali è ormai chiaro che ogni intervento (anche di manutenzione ordinaria) su immobile illegittimo, effettuato su una costruzione realizzata abusivamente "ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell'attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legalmente".
Veranda abusiva e ripresa dei lavori: nuova sentenza del Consiglio di Stato
Un nuovo tassello si aggiunge al quadro giurisprudenziale, sempre più ricco di interventi che chiariscono sempre di più il concetto delle responsabilità per un intervento su una costruzione realizzata abusivamente. Questa volta è il turno del Consiglio di Stato che con la sentenza 25 marzo 2022, n. 2171 ci consente di approfondire nuovamente l’argomento con specifico riferimento ad una veranda abusiva sulla quale era stata presentata istanza di condono edilizio.
Il caso è abbastanza “standard”. Il ricorrente proprietario di un immobile ad ultimo piano realizza nel prospetto posteriore del fabbricato una veranda in alluminio anodizzato e vetri a filo del fabbricato di un balcone perimetrato su tre lati (superficie mq 5,25). Successivamente presenta istanza di condono edilizio ai sensi della Legge n. 326/2003. Istanza di condono che non si conclude con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Successivamente il ricorrente presenta una DIA per l’esecuzione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, consistenti nella sostituzione dei materiali della veranda con analoga invetriata in alluminio preverniciato ossicolorato ed in una nuova distribuzione degli ambienti interni, mediante lo spostamento di un tramezzo interno, previa eliminazione di un tratto di muratura in blocchetti alleggeriti.
Il Comune risponde ritenendo assentibili le opere oggetto di DIA ma vietando gli interventi comportanti modifiche di facciata, relativi alla parete prospiciente il balcone. Con successiva DIA il ricorrente rimodula la proposta progettuale in coerenza con i rilievi emersi nel corso dell’istruttoria, provvedendo a rimuovere ogni impedimento ostativo all’assentibilità dell’intervento, relativamente all’area balcone. Il Comune risponde ordinando la demolizione delle opere, in quanto realizzate su aree vincolate e, pertanto, ai sensi dell’art. 32 della Legge n. 326/03, non suscettibili di sanatoria.
Il ricorso
Secondo l’appellante:
- l’opera oggetto della domanda di condono consisteva nella chiusura tra due pareti murarie laterali di costruzione, sita all’ultimo livello di una verticale del prospetto posteriore del fabbricato;
- la descrizione recata nel verbale della Polizia Municipale confermava che oggetto di contestazione era esclusivamente la realizzazione della veranda, con la precisazione che la traslazione era avvenuta con posa in opera di infissi esterni in alluminio e vetri;
- il Comune non avrebbe potuto disporre la demolizione delle opere oggetto della domanda di condono ancora non evasa.
La ricostruzione di Palazzo Spada
Dai documenti è emerso che:
- l’abuso, per il quale era stata chiesta la sanatoria ai sensi dell’art. 32 D.L. n. 269/03 convertito dalla L. n. 326/03, riguardava la realizzazione di una veranda in alluminio e vetri a chiusura di un balcone a livello dell’immobile per una superficie di mq 5.25;
- successivamente, è stato eseguito un ulteriore intervento edilizio, provvedendo alla sostituzione della veranda (con la realizzazione di una veranda dal tipo in alluminio preverniciato ossicolorato), all’eliminazione di un tratto di muro parallelo alla veranda e a una diversa distribuzione degli spazi relativi alla superficie verandata;
- l’ordinanza di demolizione riguarda sia la demolizione della muratura di tompagno del vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30x1,50x2,90 di altezza, e la traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; sia la realizzazione di un tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti.
Alla luce di tali rilievi è risultato che il ricorrente ha eseguito ulteriori opere edilizie in relazione ad una porzione immobiliare (veranda) al tempo abusiva perché non ancora condonata.
La ripresa dell’abuso
Il Consiglio di Stato ha confermato il principio di diritto per cui “in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d'illiceità dell'opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell'illecito fino alla sanatoria”.
Da questo principio ne discende l'impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d'eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l'obbligo del Comune di ordinarne (come nella specie) la demolizione, tranne che tal prosecuzione avvenga nel rispetto delle richiamate procedure di cui dall'art. 35, comma 13 della Legge n. 47/1985, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica e che, a queste condizioni, non esclude la definizione del condono.
Manutenzione su un vano verandato abusivo non condonato
In definitiva, a fronte di un vano verandato abusivo perché non ancora condonato, la parte privata avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento di condono, non potendo eseguire ulteriori opere in relazione alla medesima porzione immobiliare: tali ulteriori opere, nei fatti realizzate e oggetto del provvedimento impugnato in primo grado, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’abuso originario cui strutturalmente inerivano, risultavano parimenti abusive e, come tali, ben potevano essere soggette a sanzione ripristinatoria, come legittimamente disposto dall’Amministrazione comunale con l’ordine di demolizione per cui è causa. A stessa conclusione si arriva anche se le successive opere siano di mera manutenzione ordinaria o comunque assentite da DIA.
In assenza dell’accoglimento della domanda di condono, la porzione immobiliare interessata dalla richiesta di sanatoria doveva ritenersi abusiva, con conseguente abusività di ogni ulteriore opera alla stessa accedente.
Affinché gli interventi edilizi declinati dall’art. 3 DPR n. 380/01 possano essere lecitamente realizzati, occorre, infatti, non soltanto il possesso del relativo titolo edilizio (ove prescritto), ma anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto conto che altrimenti, come rilevato, le opere aggiuntive parteciperebbero comunque delle stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale.
Tale ultima condizione (liceità dell’immobile o della porzione immobiliare oggetto del successivo intervento edilizio) nella specie non ricorreva, con conseguente abusività degli ulteriori interventi edilizi all’uopo eseguiti, a prescindere dalla loro qualificazione.
In ogni caso, si osserva che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), DPR n. 380/01, gli interventi di manutenzione ordinaria riguardano le sole opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Le opere per cui è controversia, invece, in assenza dell’accoglimento della domanda di condono, attraverso l’eliminazione di una porzione del muro parallelo alla veranda (volto a separare i vani interni dall’ambiente esterno rappresentato dal balcone) e la realizzazione di un tramezzo divisorio, hanno concorso nell’abuso originario, continuando ad incidere, al pari di quanto avvenuto con la realizzazione dell’originaria veranda ancora non condonata, su una porzione immobiliare adibita a balcone, non costituente un vano interno dell’abitazione.
Non è possibile, dunque, equiparare la realizzazione di un tramezzo e la demolizione di una muratura incidenti su un vano interno dell’abitazione, rispetto ad analoghe opere riguardanti una porzione immobiliare esterna, quale quella di un balcone, tenuto conto in tale secondo caso le opere de quibus comportano una modifica di sagoma, volume, superficie e prospetto, con conseguente emersione di un intervento insuscettibile di essere ricondotto al genus della manutenzione ordinaria.
Il vano aggiuntivo è pertinenza?
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha evidenziato come la realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un’area (portico, loggia o balcone) non possa qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie. Tali opere, inoltre, influiscono sui prospetti dell’edificio, modificandone la facciata e, dunque, influendo sul suo aspetto esterno, in specie nel suo profilo estetico-architettonico.
Come chiarito dalla Sentenza Consiglio di Stato 5 agosto 2021, n. 5774 “Ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti. Le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie".
Nel caso di specie, il ricorrente ha eseguito opere edilizi su un vano verandato non condonato, come tale costituente ancora una porzione immobiliare esterna dell’unità immobiliare, espressiva di mera superficie accessoria: attraverso le opere per cui è causa si è, dunque, protratto l’abuso originario, connotato da una variazione di sagoma, volume, superficie e prospetto dell’immobile, con conseguente emersione (alla stregua delle richiamate coordinate giurisprudenziali), anziché di un mero intervento manutentivo, di un intervento di ristrutturazione edilizia soggetto al rilascio del permesso di costruire ex artt. 3, comma 1, lett. d) e 10, comma 1, lett. c). DPR n. 380/01.
E per tale motivo il ricorso è stato rigettato e l’ordine di demolizione confermato.
Gli effetti della DIA/SCIA
Interessante è il prosieguo della sentenza che ricorda come la denuncia di inizio attività (oggi, segnalazione certificata di inizio di attività), costituente uno strumento di liberalizzazione delle attività private, non più sottoposte ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo, perché possa produrre effetti giuridici deve rispondere al modello tipizzato dal legislatore, occorrendo, pertanto, da un lato, che le attività in concreto avviate siano effettivamente riconducibili alle fattispecie astratte per cui è ammesso l’utilizzo della DIA (oggi SCIA), dall’altro, che la denuncia (segnalazione) all’uopo presentata risulti veritiera e completa, essendo corredata dalla documentazione occorrente a porre l’Amministrazione in condizione di potere svolgere la successiva attività di verifica entro i termini all’uopo applicabili.
La demolizione con condono pendente
Altro punto interessante riguarda l’invocato indirizzo giurisprudenziale per il quale, in pendenza della definizione delle domande di condono, non può essere adottato alcun provvedimento di demolizione. Nel caso di specie, però, l’Amministrazione non ha ordinato la demolizione delle opere oggetto della domanda di condono, ma delle ulteriori opere successivamente eseguite dalla parte privata.
Documenti Allegati
Sentenza