Sostituzione e ristrutturazione edilizia: interviene il TAR
TAR Lazio: "Il legislatore ha espressamente equiparato all’intervento di contestuale demolizione e ricostruzione proprio quello di ripristino di edifici crollati o demoliti, accomunati dalla medesima finalità di contenimento del consumo di suolo"
Uno degli errori più grandi del legislatore è voler utilizzare il microscopio in un settore, come quello edilizio, in cui l'unità di misura è il centimetro (e sono generoso) e in cui si prova ad applicare (inutilmente) delle regole su un patrimonio immobiliare nato quando tecnicismi e controlli erano davvero pochi.
Il d.P.R. n. 380/2001: norma prescrittiva
Ad oltre un ventennio dalla sua nascita e con necessità completamente mutate, stiamo ancora qui a valutare una delega al Governo per la riforma del d.P.R. n. 380/2001 (testo unico edilizia), benché sia stata già preparata una bozza di nuova Disciplina delle costruzioni, ed in trepidante attesa di decreti legge e leggi di conversione mediante i quali continuare un'attività di modifica della normativa edilizia che forse sarebbe bene comprendere non è più al passo con i tempi.
E queste differenze tra intento normativo e realtà dei fatti fanno nascere dubbi, ombre e incertezze che sfociano in ricorsi e sentenze che nei suoi tre gradi di giudizio confermano maggiormente le mie perplessità su una norma prescrittiva, poco prestazionale e sostanzialmente mal definita.
Testimone ne è il tipico intervento di rigenerazione urbana: la demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti, magari vecchi ruderi in cerca d'autore e con l'occasione utilizzando volumetrie disponibili, trasferimenti di cubatura e le possibilità offerte negli anni dai Piani Casa regionali.
Sostituzione e ristrutturazione edilizia: nuova sentenza del TAR
Ed è proprio di questo che si parla nella Sentenza del TAR Lazio 27 maggio 2022, n. 505 che ha accolto il ricorso presentato per l'annullamento di un provvedimento di conclusione negativa del procedimento volto ad ottenere un permesso di costruire per la ricostruzione con ampliamento volumetrico di un edificio crollato per eventi bellici, richiamando la conclusione di un parere della Regione Lazio di non applicabilità al caso di specie dell’art. 4 della Legge Regionale n. 21/2009 per edifici non più esistenti.
Secondo il Comune resistente, le tesi del ricorrente, difeso magistralmente dall'Avv. Andrea Di Leo, grande esperto di normativa edilizia con particolare attenzione all'argomento demolizione e ricostruzione, sarebbe errata per la ritenuta non cumulabilità dei concetti di “sostituzione edilizia” e di “ristrutturazione edilizia” nel caso di specie, ove la presenza come “rudere” dell’originario immobile escludeva la possibilità di concedere un incremento volumetrico di un edificio del quale non si può avere l’esatta contezza di come fosse precedentemente essendone oggi rimasti, soltanto dei resti.
La tesi ricorrente
In sede di giudizio, il ricorso si basava sostanzialmente sul parere regionale su cui si era fondato il diniego, laddove era indicato che era indispensabile che un edificio esistesse fisicamente e fosse stato ultimato oppure che fosse presente un titolo edilizio in base al quale era possibile realizzarlo, quindi un titolo non decaduto.
Per la Regione, pertanto, gli edifici distrutti da eventi bellici dovevano considerarsi non realizzati e ultimati e non vi era un titolo in corso di efficacia, con conseguente necessità di escludere che potessero essere oggetto dell’intervento di cui all’art. 4 della Legge Regionale n. 21/2009.
In realtà, come correttamente evidenziato in sede di ricorso, la norma non fa alcun riferimento alla fisica esistenza dell’immobile e come il fatto che un immobile sia ridotto allo stato di rudere non escluda che questo sia stato legittimamente edificato, essendo questo l’unico requisito esplicitamente richiesto dalla norma in questione.
La conferma di questo assunto sta nell'ammettere la paradossale possibilità che la norma potesse applicarsi per edifici non esistenti perché “non ultimati” (e, quindi, mai fisicamente esistiti in maniera “compiuta”), escludendola per immobili che siano stati ultimati, ma che allo stato siano non più esistenti. Fattispecie che in comune hanno la legittimità edilizio-urbanistica e la “attuale non esistenza fisica”.
La sostituzione edilizia
Altro passaggio dirompente del ricorso (e quindi della sentenza) riguarda la seconda motivazione ovvero la parte del parere regionale in cui si afferma che “… non vi è alcun rapporto tra la sostituzione edilizia prevista dall’art. 4 della l.r. 21/2009 e la novellata riconfigurazione della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 del d.P.R. 380/2001, nel quale intervento è ora incluso … ‘il ripristino di edifici … eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione...”.
Il ricorso ha acceso i riflettori sulla giurisprudenza stessa che ha già chiarito come la nozione di “sostituzione edilizia” costituisce, già in sé stessa, una modalità proprio della “ristrutturazione edilizia”. Definizione che non può essere inficiata da una circolare esplicativa regionale sia perché questa non è fonte del diritto, sia perché era stata adottata anteriormente alla modifica dell’art. 3, comma 1, lett. d) del Testo Unico Edilizia avvenuta ad opera della Legge n. 98/2013, e comunque perché la definizione delle categorie di intervento edilizio è di esclusiva competenza statale. Facendosi rientrare la “sostituzione edilizia” nell’alveo della ristrutturazione edilizia, era anche possibile prevedere aumenti volumetrici, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001.
Il giudizio del TAR
Tesi ampiamente confermate dai giudici di primo grado che hanno seguito un ragionamento corretto e coerenti nel condividere l’interpretazione secondo la quale la nozione di “ristrutturazione”, vincolante anche per il legislatore regionale, accanto alla originaria e primigenia matrice meramente conservativa (intesa come insieme sistematico di opere sull'esistente volta alla formazione di un corpo edilizio strutturalmente e funzionalmente innovativo), ricomprende al suo interno interventi ben più radicali, quali il ripristino di edifici demoliti o crollati e la demolizionericostruzione, i quali devono in generale mantenersi rispettosi unicamente del “volume preesistente”, potendo modificarsi in sede di intervento tutti gli altri elementi identificativi dell’immobile precedente: sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche in aree non urbane o vincolate.
Il legislatore ha espressamente equiparato all’intervento di contestuale demolizione e ricostruzione proprio quello di “ripristino di edifici crollati o demoliti”, accomunati dalla medesima finalità di contenimento del consumo di suolo.
La ristrutturazione edilizia
Inoltre, secondo il TAR "l’indirizzo tradizionale, secondo cui per aversi ristrutturazione edilizia sarebbe comunque necessaria la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali - murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura - idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza, sembra destinato al superamento, alla luce della inequivocabile equiparazione normativa tra “demolizione e ricostruzione” e “ripristino di edifici crollati e demoliti”, ovviamente purché anche di questi sia rinvenibile traccia ed accertabile l’originaria consistenza con un'indagine tecnica".
Concetti confermati anche dal Consiglio di Stato per il quale “… la situazione è cambiata invece a seguito di una ben precisa modifica legislativa, dovuta al d.l. 21 luglio 2013 n.69, e quindi posteriore al provvedimento impugnato, che ha inserito nella lettera d) del comma 1 dell’art. 3 T.U…il riferimento agli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione” che quindi ora rientrano nel concetto di ristrutturazione “purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di ristrutturazione è stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con un’indagine tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva”.
Demolizione e ricostruzione rudere: ok alla ristrutturazione edilizia
Il concetto di ristrutturazione è, dunque, applicabile anche all’edificio che non esiste più, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire con un’indagine tecnica. Nel caso di specie non risulta che il diniego si sia fondato sull’impossibilità di una ricostruzione della consistenza originaria, che ben potrebbe essere attivata, data la presenza di muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti, non contestata dal Comune, e sulla quale potrebbe calcolarsi la cubatura originaria.
In definitiva, in combinato disposto la norma di cui all’art. 3, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 con gli artt. 2 e 4 del c.d. “Piano Casa” della Regione Lazio, non è prevista la fisica esistenza ma solo l’ultimazione o l’esistenza del titolo anche se l’immobile non risulta ultimato, da intendersi nel senso sopra richiamato.
Pertanto, essendo l’immobile demolito da eventi bellici, deve dedursi che lo stesso non necessitava di assenso in quanto anteriore al 1967 e che è ricostruibile nella sua consistenza con adeguata analisi storico-tecnica.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il concetto di “sostituzione edilizia” di cui all’art. 4 l.r. n. 21/2009 ben può integrarsi con quello di “ristrutturazione” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/01 e il ricorso ha meritato di essere accolto.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Lazio 27 maggio 2022, n. 505