Terzo condono edilizio e abusi in zona vincolata: il TAR dice di no
Esclusi dalla sanatoria gli abusi realizzati in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, relativa e non conformi agli strumenti urbanistici comunali
La costruzione di una piscina non rappresenta una mera pertinenza, ma un manufatto soggetto a permesso di costruire. Non solo: qualora essa sia realizzata in zona vincolata, non è detto che si possa ottenere la sanatoria.
Abusi in zona vincolata e terzo condono, la sentenza del TAR
Su questi presupposti, il TAR Lazio ha confermato, con la sentenza n. 8325/2022, il rigetto da parte di un’Amminstrazione comunale dell’istanza di condono edilizio presentata ai sensi dell’art. 32 del d.l. 269/2003 (cd. Terzo Condono Edilizio) per una piscina prefabbricata in metallo, di circa 100 mq complessivi.
Il Comune aveva respinto l’istanza proprio perché l’opera ricadeva in area vincolata, per tutela paesistico ambientale e perché, oltre a essere realizzata senza titolo abilitativo, risultava non conforme alle norme urbanistiche vigenti. In particolare, il lotto interessato ricadeva, in una zona in cui era possibile realizzare esclusivamente costruzioni strettamente necessarie alla conduzione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole.
Terzo condono edilizio, non sanabili gli abusi in zona con vincolo di inedificabilità relativa
Il diniego di condono appare coerente con il dato normativo dell’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l. n. 269 del 2003, il quale – a differenza della legislazione condonistica previgente – “esclude dalla sanatoria non solo gli abusi realizzati in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, ma anche a vincolo di inedificabilità relativa, e non conformi agli strumenti urbanistici comunali”.
Spiega il Tar che, secondo l’orientamento pressoché consolidato della giurisprudenza in materia, il legislatore – mediante il c.d. terzo condono - ha limitato le ipotesi in cui le opere edilizie, abusivamente realizzate, sono passibili di sanatoria.
In proposito, l’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003, n. 326, ha, infatti, previsto – al comma 27, lett. d) – che non siano comunque suscettibili di sanatoria, le opere che “siano realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione delle opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”, fermo restando il rinvio, fra gli altri, all’art. 32 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 ove si prevede che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”.
Condizioni per il rilascio del condono
Nella interpretazione consolidata che ne ha offerto anche il Consiglio di Stato, tali disposizioni comportano che nelle aree sottoposte a vincoli di tutela degli interessi idrogeologici, ambientali o paesistici, la sanatoria è possibile soltanto se ricorrono “congiuntamente” tre condizioni:
- a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;
- b) se pure realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
- c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria.
Ai fini della sanatoria è dunque necessaria l’esistenza congiunta di tutte le predette condizioni; ne deriva che, ove esse non ricorrano, deve ritenersi precluso il condono.
Gli interventi effettuati non risultano conformi alle prescrizioni urbanistiche che consentivano, nell’area sulla quale insistono le opere oggetto della domanda, solo interventi strettamente necessari alla “conduzione agricola dei suoli e allo sviluppo delle imprese agricole".
Realizzazione piscina: pertinenza o nuova costruzione?
Per quanto riguarda la presunta natura pertinenziale della piscina, il giudice amministrativo ha ricordato che:
- la pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempreché l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico, motivo per cui il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale;
- una piscina, specie quando risulti di rilevanti dimensioni, ha un’autonoma funzione rispetto all’edificio “principale” e questa tipologia di intervento va qualificato quale nuova costruzione, non suscettibile di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d. lgs. 42/2004, essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con diversa destinazione ed uso del suolo.
Il ricorso è stato quindi respinto: la piscina si configura come nuova costruzione, non assentibile in una zona a destinazione agricola, per altro sottoposta a tutela e non sanabile ai sensi della legge .n 326/2003.
Segui lo Speciale Testo Unico Edilizia
Documenti Allegati
Sentenza