Opere interne, ci vuole il permesso di costruire anche senza variazioni strutturali
Consiglio di Stato: la CILA non basta quando è previsto un cambio di destinazione d’uso o un aumento volumetrico significativo
La realizzazione di opere interne si configura come ristrutturazione edilizia e non come attività edilizia libera, quando sia previsto un cambio di destinazione o un aumento consistente della volumetria.
Realizzazione opere interne: CILA o SCIA?
Si potrebbe sintetizzare così il contenuto della sentenza n. 7369/2022 del Consiglio di Stato, che fa seguito all’appello contro un ordine di demolizione relativo ad alcuni interventi edilizi su alcuni edifici situati in zona agricola sottoposta a vincolo.
Secondo il ricorrente, si era di fronte a un’errata applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), dato che l’Ufficio Tecnico avrebbe considerato gli interventi edilizi come opere non autorizzate, soggette a demolizione, quando invece non avrebbero comportato “alcuna modifica della originaria unità immobiliare”. Sostanzialmente, trattandosi di opere interne, non ascrivibili alla ristrutturazione edilizia, non avrebbero potuto essere oggetto di ordine demolitorio, perché "non avevano comportato la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
Non solo: anche ritenendo che gli interventi fossero riconducibili alla manutenzione straordinaria, essi avrebbero potuto essere sottoposti a sanzione pecuniaria, perché per effefttuare i lavori sarbebbe bastata la CILA; la SCIA invece, ai sensi dell’art. 22, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001 è riservata alle (sole) manutenzioni straordinarie su parti strutturali dell’edificio.
Infine, non sarebbe stata necessaria nemmeno l’autorizzazione paesaggistica, in quanto gli interventi non avrebbero ruiguardato la parte esteriore dell’edificio e quindi sarebbero stati fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 149, co. 1, lett. a) d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), e le opere sarebbero state eseguite entro il limite di tollerabilità del 2% previsto per gli aumenti di volumetria ai sensi dell’art. 34, comma 2-ter, dello stesso Testo Unico Edilizia.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio ha confermato il giudizio di primo grado, con cui il TAR ha specificato che la realizzazione di uno spogliatoio e di un deposito per materiali agricoli è stata effettuata con una pluralità di interventi in difformità dal titolo, dando luogo ad un organismo edilizio diverso da quello assentito, anche dal punto di vista del prospetto, con la realizzazione di 13 finestre invece delle 6 autorizzate.
Secondo Palazzo Spada, si configura quindi un organismo edilizio almeno in parte diverso, per il quale non è attivabile la CILA di cui all’art. 6-bis d.P.R. n. 380/2001. La realizzazione dello spogliatoio avrebbe richiesto un idoneo titolo edilizio per il cambio di destinazione d’uso (quindi una SCIA), così come la difformità prospettica per la quale sarebbe stata necessaria anche l’autorizzazione paesaggistica ex art. 149 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Infine, anche l’aumento volumetrico rilevato eccede il limite di tolleranza previsto dall’art. 34, co. 2-ter, d.P.R. n. 380/2001, ragion per cui l’intervento edilizio non potrebbe essere considerato di natura pertinenziale, in quanto secondo la giurisprudenza amministrativa è configurabile “la pertinenza urbanistico-edilizia solo quando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce”, dunque per “opere di modestissima entità e accessorie rispetto a un’opera principale”.
Il ricorso è stato quindi totalmente respinto, confermando che, qualora le opere interne prevedano un cambio di destinazione d'uso e un aumento volumetrico oltre il limite consentito, è necessario presentare richiesta di permesso di costruire.
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