Ordine di demolizione: il no della Cassazione alla fiscalizzazione dell’abuso
Gli ermellini ribadiscono le condizioni per l'eventuale applicazione della sanzione pecuniaria al posto di quella demolitoria
In caso di pendenza di un ordine di demolizione, la sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria è consentita solo nel caso in cui si rischia di mettere a repentaglio un’eventuale parte assentita dell’immobile.
Fiscalizzazione dell'abuso e ordine di demolizione: la sentenza della Cassazione
Lo ricorda la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43250/2022, con la quale ha respinto il ricorso presentato contro la sentenza irrevocabile per la demolizione di opere abusive, per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), 64 e 71, 65 e 72, 93 e 95 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
La questione riguarda l’ordine di demolizione per opere realizzate in totale difformità da quelle assentite. In particolare era stata realizzata una costruzione in muratura di 38 mc su un terrazzo, in ampliamento dell’appartamento adiacente.
Successivamente, è stata presentata da parte del responsabile degli abusi un'istanza di applicazione dell'art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, accompagnata da una perizia per cui, essendo strutturalmente interconnessa con quella assentita, l'abbattimento della parte abusiva avrebbe comportato una demolizione estesa anche di quella in regola, da ripristinare poi tramite ricostruzione.
I compiti del giudice dell'esecuzione
Nel valutare la questione, la Corte di Cassazione ha ricordato che, in materia edilizia, il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere di verificare la legittimità e l'efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale.
Questo principio vale anche in relazione alla sindacabilità dell'accoglimento dell'istanza ex art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, dovendo, anche in tal caso, il giudice dell'esecuzione verificare i presupposti contemplati dalla norma in esame, a tenore dalla quale, "qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile" prevede l'irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere.
Ciò significa che, in tema di reati edilizi, la valutazione sulla possibilità di non eseguire la demolizione qualora il ripristino dei luoghi non sia possibile secondo la procedura cosiddetta di fiscalizzazione di cui all'art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, compete al giudice dell'esecuzione e può essere sindacata in sede di legittimità solo attraverso il vizio motivazionale.
Demolizione delle parti abusive o demolizione integrale?
Qualora le opere abusive siano interconnesse con opere assentite, la demolizione dovrà riguardare solo le prime, conservando la parte lecitamente realizzata, sempre che entrambe siano univocamente identificabili come tali e che, dunque, il manufatto non sia stato sottoposto a modifica radicale e definitiva. In questo caso, si dovrà procedere con una demolizione integrale del manufatto, atteso che il bene risultante dall'intervento abusivo viene ad assumere una definitiva ed irrevocabile connotazione illecita, che impone la sua radicale eliminazione, a meno che l'abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico o che il consiglio comunale abbia deliberato nel senso della conservazione delle opere.
Va inoltre affermato che l'impossibilità della demolizione, che autorizza la disciplina di cui all'art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, deve essere oggettiva e assoluta; a tal proposito, la Cassazione ricorda che, laddove le opere abusive siano strutturalmente connesse con quelle abusive, occorre valutare se il ripristino comprometta la stabilità dell'intero edificio: evenienza, quest'ultima, che si rappresenta l'unico limite a detto ripristino.
In questo caso, spiegano gli ermellini, il Tribunale ha escluso l'impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, valutando in maniera corretta l'interferenza della demolizione anche sulle opere assentite: in particolare, ha riconosciuto che le opere abusive avevano una dimensione contenuta delle opere abusive, e la loro irrilevanza rispetto alla stabilità dell'intero fabbricato e dell'appartamento. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, confermando l’esecuzione della demolizione.