Condono edilizio in area vincolata: nuovo no dal Consiglio di Stato
Un provvedimento tacito su una richiesta di sanatoria edilizia può perfezionarsi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per il suo accoglimento
Il silenzio assenso su una pratica di condono può perfezionarsi soltanto qualora ricorrano tutti i requisiti formali e sostanziali per il suo rilascio. E difficilmente questa situazione può verificarsi, nel caso di abusi edilizi commessi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Nuova costruzione in zona vincolata: la sentenza del Consiglio di Stato
Con queste premesse il Consiglio di Stato ha respinto, con la sentenza n. 10709/2022, l’appello presentato contro il diniego di sanatoria e l’ordine di demolizione realtivi a un immobile di circa 70 mq, costruito in assenza di titoli edilizi e in area sottoposta a vincolo paesaggistico e vincolo idrogeologico.
Sull'edificio, il proprietario aveva presentato istanza di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269/2003 (convertito con legge n. 326/2003, cd. “Terzo Condono Edilizio”) ma il Comune, verificata la mancata formazione del silenzio-assenso, ha respinto la domanda di sanatoria, in quanto l’opera non era stata ultimata entro il termine stabilito dalla legge e costituiva una “nuova costruzione” edificata in area vincolata.
Si trattava quindi di un intervento rientrante tra quelli di cui all’art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, motivo per cui non avrebbe potuto essere condonato, sia per l’esistenza dei vincoli, sia per la sua non conformità alla pianificazione urbanistica.
Terzo condono edilizio e immobili in area vincolata
Nel respingere il ricorso, Palazzo Spada ha confermato quanto disposto dall’Amministrazione Comunale, ricordando che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, non possono beneficiare del condono edilizio di cui all’art. 32, commi 25 e segg., del D.L. n. 269/2003, le opere che hanno comportato la realizzazione di nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico istituito prima della loro realizzazione, sia esso di natura relativa o assoluta.
Inoltre secondo il Consiglio l'incondonabilità non è superabile nemmeno richiamando le autorizzazioni delle autorità preposte alla tutela dei vincoli, intervenute successivamente alla presentazione della domanda di condono, atteso che il D.L. n. 269/2003, pur collocandosi sull'impianto generale della legge n. 47/1985 (cd. Primo Condono Edilizio) regolamenta in maniera più restrittiva le fattispecie sanabili. In particolare, con riguardo ai vincoli esistenti, il condono è precluso sulla base della anteriorità del vincolo, collocando così l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria, ex art. 33 della L. n. 47/85.
Per altro a nulla rileva che nel caso in esame la Provincia abbia espresso un parere favorevole in relazione al vincolo idrogeologico, considerato che, anche ammessa la rilevanza dell'autorizzazione, resterebbe pur sempre scoperto il profilo paesaggistico, in relazione al quale la competente autorità non si è pronunciata.
Va quindi escluso che sulla domanda di condono presentata dall’appellante possa essersi formato il silenzio-assenso: il provvedimento tacito su una richiesta di sanatoria edilizia può perfezionarsi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per l’accoglimento della stessa.
Legittimità del potere repressivo di un abuso edilizio
Infine, il Consiglio ha ricordato che:
- appurata l’abusività dei lavori, l’esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, anche a distanza di lunghissimo tempo dalla loro realizzazione, non essendo la potestà soggetta a termini di decadenza o prescrizione, anche in considerazione del fatto che le violazioni edilizie hanno natura di illeciti permanenti;
- il provvedimento di demolizione è adeguatamente motivato con l’individuazione delle opere contestate e delle ragioni della loro illiceità;
- l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è sempre in re ipsa, per cui sul punto non occorre specifica motivazione, né è necessario comparare tale interesse con quello del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita;
- l’ordine di demolizione non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento, dato che la natura vincolata del relativo potere non consente all'amministrazione di compiere valutazioni di interesse pubblico in ordine alla conservazione del bene.
Infine, il Consiglio ha specificato che non si può parlare di “abuso di necessità” solo perché il manufatto è adibito a residenza principale. L’illiceità di un intervento edilizio va individuata unicamente sulla base della disciplina di riferimento, per cui né le ragioni personali che hanno indotto il privato a commettere l’abuso, né il fatto che l’interessato abbia autodenunciato la realizzazione dell’opera abusiva, possono influire sulla valutazione.
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