Abusi edilizi: la Cassazione sulla sanzione alternativa alla demolizione
La Cassazione chiarisce quando può essere revocata o sospesa la demolizione di un abuso edilizio o disposta una sanzione alternativa (fiscalizzazione)
Dopo oltre 20 anni dalla sua entrata in vigore e un centinaio di modifiche arrivate a colpi di provvedimenti d’urgenza senza alcuna progettualità, il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) risulta essere il classico esempio di normativa poco “calata” nella realtà.
Abusi edilizi e fiscalizzazione: nuovo intervento della Cassazione
Lo dimostrano gli infiniti (nel senso che non si contano più) interventi della giurisprudenza che ci consentono di comprendere meglio alcuni passaggi di una normativa che sembra utilizzi il microscopio su un patrimonio edilizio figlio (o vittima) di decenni di interventi senza alcun controllo su cui la pubblica amministrazione (per tanti motivi tra cui la poco popolarità dell'argomento) non è mai riuscita a mettere un freno.
Tra i punti principali di questo grande tema vi è proprio la gestione delle difformità, la sanatoria edilizia degli abusi (oggi concessa solo in caso di doppia conformità o altre casistiche particolari), l'ordine di demolizione e le possibilità di sanzione alternativa (fiscalizzazione).
Proprio su questi punti si concentra l'interessante sentenza n. 2530 del 24 gennaio 2023 mediante la quale la Corte di Cassazione spiega le possibilità di revoca o sospensione di un ordine di demolizione e/o rimessione in pristino, oltre che delle possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione alternativa, così come previsto in alcuni articoli del d.P.R. n. 380/2001, i cui effetti però sappiamo non essere propriamente i medesimi.
Il caso oggetto della sentenza
Nel caso di specie, viene contestato un ordine di demolizione emesso a seguito di sentenza irrevocabile di condanna del Tribunale, per la realizzazione abusiva di un manufatto di circa 300 mq, al terzo piano di un edificio legittimamente realizzato.
Ordine di demolizione mai impugnato dai ricorrenti e a cui era seguito, dopo ingiustificata inerzia, l'intervento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale che aveva emesso due provvedimenti di ingiunzione a demolire, avverso i quali i condannati avevano proposto ricorso.
Il ricorso era basato sull'impossibilità di dare corso alla demolizione senza arrecare pregiudizio alla staticità del fabbricato sottostante. In particolare, era stato evidenziato come la demolizione delle opere abusive e la necessaria attività di smantellamento della struttura intelaiata in cemento armato, nonché le conseguenti vibrazioni prodotte dall'attività demolitoria, avrebbero determinato un inevitabile indebolimento della struttura portante dell'intero stabile, con conseguente riduzione dell'indice di sicurezza sismica e di stabilità del fabbricato residuo.
Revoca e sospensione dell'ordine di demolizione
Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando l'assenza di qualsiasi circostanza in presenza della quale l'ordine di demolizione possa essere revocato o sospeso. È ormai principio consolidato quello per cui la revoca di un ordine di demolizione può essere disposta esclusivamente nei casi in cui detto provvedimento risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi o giurisdizionali resi dell'autorità competente, con i quali sia stata conferito all'immobile una diversa destinazione ovvero si sia provveduto alla sua sanatoria.
Relativamente alla sospensione, il Tribunale ha ricordato che lo strumento sospensivo è attivabile solo se è ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che l'autorità amministrativa o giurisdizionale adotti in breve tempo un provvedimento idoneo a porsi in insanabile contrasto con l'ordine di demolizione. Al contrario, non rileva una mera possibilità del tutto ipotetica ovvero la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente tale valutazione prognostica.
Le conferme della Cassazione
Gli ermellini hanno confermato che nell'ambito dei reati edilizi, il provvedimento di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione (e anche di rimessione in pristino), può essere disposto dal giudice dell'esecuzione previo accertamento di una situazione con esso incompatibile, quale la presentazione di un'istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
A fronte di un'istanza di sospensione dell'ordine di demolizione, è onere del giudice dell'esecuzione investito della questione di esaminare con attenzione i possibili esiti ed i tempi di definizione della procedura. In particolare, egli è tenuto ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistano cause ostative al suo accoglimento nonché, in caso di insussistenza di tali condizioni ostative, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso, in quanto la tutela del territorio non può essere rinviata definitivamente.
Pertanto, il giudice dell'esecuzione avrà l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo soltanto nel caso in cui sopravvengano atti amministrativi che risultino con esso del tutto incompatibili.
Nel caso di specie, il Tribunale ha posto in evidenza l'insussistenza di elementi di fatto che consentissero di ritenere prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo potesse essere adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento tale da porsi in insanabile contrasto con il suddetto ordine di demolizione. Il ricorso presentato avverso l'ingiunzione di demolizione ai sensi dell'art. 665 c.p.p. deve ritenersi ammissibile esclusivamente nel caso in cui l'istante evidenzi l'esistenza dei suindicati atti amministrativi.
Nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione ha erroneamente richiamato l'art. 41 del d.P.R. n. 380/2001 ritenendo che ogni valutazione di carattere tecnico in ordine all'eseguibilità dell'ordine di demolizione dovesse essere prospettata dinnanzi alle competenti autorità amministrative (Comune e Prefettura), le quali avrebbero dovuto accertare se la necessaria attività di demolizione dell'opera abusiva potesse determinare o meno un inevitabile indebolimento della struttura portante dell'intero immobile, con conseguente riduzione dell'indice di sicurezza e stabilità del fabbricato.
Trattasi di disposizione che, infatti, trova applicazione nei casi in cui l'ordine di demolizione sia stato impartito dall'autorità amministrativa e non dal P.M. mediante la notifica dell'ingiunzione a demolire, come avvenuto nel caso di specie. Pacifico è nella giurisprudenza di Cassazione, dopo un autorevole arresto delle Sezioni Unite, che l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa.
Nell'affermare detto principio la Corte ha precisato che ai sensi dell'art. 655 cod. proc. pen. l'organo promotore dell'esecuzione è il pubblico ministero il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire, per la fissazione delle modalità di esecuzione, il giudice dell'esecuzione, la cui cancelleria è preposta, inoltre, al recupero delle spese del procedimento esecutivo ai sensi dell'art. 181 disp. att. cod. proc. pen..
La fiscalizzazione dell'abuso
Ciò premesso, tuttavia, nonostante l'erronea declaratoria di inammissibilità del giudice dell'esecuzione, l'istanza difensiva non avrebbe potuto essere accolta, non versandosi, nel caso in esame, nelle condizioni previste ex lege per attivare la procedura c.d. di fiscalizzazione dell'illecito edilizio di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Trattasi di procedura, infatti, non applicabile nel caso in esame, in cui i ricorrenti sono stati irrevocabilmente condannati per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia. Diversamente la procedura di "fiscalizzazione" trova applicazione solo in caso di interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal titolo abilitativo all'intervento edilizio e di interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, i quali, ex lege, devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso.
Se, tuttavia, risulta impossibile demolire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, artt. 33 e 34 prevede la facoltà di avvalersi della cosiddetta fiscalizzazione dell'illecito edilizio. L'impossibilità di demolire deve essere fatta valere dall'interessato e accertata dal Comune nella fase successiva all'ingiunzione, ovvero quando si perviene all'emissione dell'ordine di demolizione.
La fiscalizzazione dell'illecito edilizio consiste nell'applicare una sanzione pecuniaria:
- per interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio del costo di produzione della parte di opera realizzata in difformità dal permesso di costruire (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 34);
- per interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 33).
Diversamente, la predetta procedura non può trovare applicazione.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 24 gennaio 2023, n. 2530