SCIA in sanatoria e silenzio inadempimento: i conti senza l’oste?
Il silenzio dell'art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 nella sanatoria degli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività
Le due recenti decisioni del Consiglio di Stato che, dopo un lungo dibattito giurisprudenziale, hanno “ratificato” la tesi del silenzio-inadempimento (sentenza 4 gennaio 2023, n. 160 e sentenza 1 marzo 2023, n. 2192) scontano, ad avviso di chi scrive beninteso, il mancato esame di un argomento interpretativo tutt’altro che marginale.
Il silenzio-inadempimento
Si ricorderà che il perno centrale della tesi del silenzio-inadempimento è quello secondo cui “Nella fattispecie della sanatoria di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, l'ipotesi di silenzio significativo in termini di accoglimento non è ipotizzabile, dal momento che l'art. 37 non prevede esplicitamente una ipotesi di silenzio assenso, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento” (Cons. Stato, Sez. VII, 4.1.2023, n. 160, decisione seguita, poi, dalla più nota e commentata decisione della Sez. II, 20.2.2023, n, 1708).
Ora, senza voler indugiare sui (pur sussistenti argomenti di segno opposto, sposati da altra giurisprudenza) occorre notare come le “perentorie” e apparentemente tombali conclusioni di recente raggiunte dal Consiglio di Stato non fanno i conti con la disciplina rinveniente dal D.Lgs. n. 222/2016 e dal relativo Allegato A - Sezione Edilizia.
In particolare, l’art. 2 del c.d. Decreto SCIA del 2016, dispone che “a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato” (co. 1) e che “Per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990. Nei casi in cui la tabella indica il regime amministrativo della Scia unica, si applica quanto previsto dall'articolo 19-bis, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990 (…)”. E ciò senza dimenticare che l’art. 5 del medesimo decreto legislativo sancisce, altresì, che “Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, fermi restando i livelli di semplificazione e le garanzie assicurate ai privati dal presente decreto, possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione”.
Tabella A - Sez. II Edilizia
Andiamo, dunque, a vedere cosa dice la tabella A - Sez. II “Edilizia”:
Ebbene, questa tabella - che, ripetiamo, forma parte integrante del d.lgs. 222/2016, ossia una norma avente rango legislativo - prevede espressamente che la “SCIA in sanatoria” esiste e che essa opera tramite il meccanismo ex art. 19 L. 241/90.
Alla luce di ciò, chi voglia affermare - come il Consiglio di Stato o altri Giudici amministrativi - la inesistenza di un meccanismo abilitativo sanante tramite “silenzio” (secondo il paradigma dell’art. 19 L. 241/90) dovrebbe, quantomeno, fare i conti con il dato normativo appena evidenziato.
Il quale, peraltro, secondo il criterio della successione delle leggi nel tempo, potrebbe essere anche inteso come una abrogazione o modifica implicita dell’art. 37 co. 5 nella parte in cui esso dovesse essere inteso come implicante un necessario provvedimento espresso.
Ad avviso di chi scrive, quindi, la parola fine sulla diatriba che verte sulla “SCIA in sanatoria” non potrà esser posta, se non affrontando (e superando) la “antinomia” tra l’interpretazione dell’art. 37 propugnata da ultimo dal Consiglio di Stato e la espressa presa di posizione che, sul punto, ha operato il Legislatore nel 2016.
Sullo sfondo, neanche a dirlo, l’ulteriore questione delle normative regionali: ma questo è un altro tema, sul quale torneremo.