Sanatoria edilizia e demolizione: avvio procedimento e procedure
Cosa accade all’ordine di demolizione emesso prima della presentazione dell’istanza per ottenere il permesso di costruire in sanatoria?
Cosa accade all’ordine di demolizione dopo che è stata presentata un’istanza di accertamento di conformità per ottenere il permesso di costruire in sanatoria? L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento inteso alla repressione di abusi edilizi rende illegittimo il provvedimento demolitorio?
Sanatoria edilizia e demolizione: interviene il Consiglio di Stato
Hanno risposto a queste domande i giudici del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5455 del 5 giugno 2023 che tornano sull’annosa questione della repressione degli abusi edilizi sulla quale pesano decenni di mancata vigilanza da parte della pubblica amministrazione, tre condoni edilizi (che hanno generato quella pericolosa sensazione che tutto potesse essere concesso) e una normativa edilizia che concede la sanatoria solo in presenza della “doppia conformità”.
Nel caso oggetto della sentenza viene presentato ricorso per l’annullamento di una decisione del TAR che aveva confermato l’ordinanza di demolizione. Ricorso basato sulle seguenti deduzioni:
- sopravvenuta carenza di interesse dell’Amministrazione all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione in ragione della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità;
- mancata comunicazione dell’avvio del procedimento in violazione dell’art. 7 della Legge n. 241/1990;
- violazione dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento non aveva specificato se la destinataria dell’ordine fosse solo la responsabile dell’abuso o anche la proprietaria dell’opera.
L’accertamento di conformità
Prima di addentrarci nei rilievi della decisione del Consiglio di Stato, occorre considerare che in Italia è possibile ottenere il permesso di costruire in sanatoria presentando istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. Edilizia. In particolare, è possibile sanare l’intervento solo se questo risulti essere conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Sostanzialmente l’accertamento di conformità serve a sanare i cosiddetti “abusi formali” o “abusi documentali”. Sono interventi per i quali si sarebbe potuto presentare un permesso di costruire o una SCIA alternativa che risultano essere conformi anche alla normativa vigente nel momento in cui si richiede la sanatoria.
Come prevede l’art. 36, comma 3 del T.U. edilizia, se all’istanza di accertamento di conformità la pubblica amministrazione non risponde entro 60 giorni, la richiesta di permesso in sanatoria si intende rifiutata (silenzio-rifiuto).
Per quanto riguarda, invece, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, l’attuale normativa edilizia non concede alcuna alternativa alla demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.
L’accertamento di conformità e l’ordine di demolizione
L’accertamento di conformità è un’istanza che viene presentata “spontaneamente” dall’interessa che, generalmente, lo fa quando si rende conto dell’abuso edilizio e (più spesso) quando arriva un’ordinanza di demolizione (a seguito di controllo da parte della P.A. o su segnalazione di terzi).
Esiste una giurisprudenza consolidata che consente di avere ormai chiaro l’effetto della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità nei due diversi momenti:
- precedente all’ordine di demolizione;
- successiva all’ordine di demolizione.
Questi principi della giurisprudenza sono stati ribaditi anche dalla nuova sentenza n. 5455/2023 con la quale in Consiglio di Stato ha confermato che la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità non incide sulla validità ed efficacia dell’ordine di demolizione ma ne congela solo gli effetti.
Diverso è, invece, il caso di un ordine di demolizione emesso dopo la presentazione dell’istanza di sanatoria (entro i 60 giorni previsti dall’art. 36). In questo caso l’ordinanza risulta essere viziata a monte e, quindi, illegittima.
L’avvio del procedimento
Per quanto riguarda la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento in violazione dell’art. 7 della Legge n. 241/1990, anche in questo caso il Consiglio di Stato ha ricordato un principio consolidato della giurisprudenza per il quale “l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento inteso alla repressione di abusi edilizi non vizia il provvedimento adottato laddove lo stesso risulti adeguatamente motivato in riferimento alla realizzazione di opere in assenza di titolo e con il richiamo alla normativa violata, non occorrendo alcuna specifica valutazione dell’interesse pubblico sotteso e della relativa comparazione con gli interessi privati coinvolti né la comunicazione del preavviso di rigetto”.
L’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato. Secondo diversi interventi del Consiglio di Stato: “l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6181: “al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l'ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento”.
In ogni caso, trattandosi di procedimento vincolato, troverebbe applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241/1990, posto che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, atteso anche che, secondo la costante e condivisibile giurisprudenza, le garanzie procedimentali non possono ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza che, nella prospettiva del buon andamento dell'azione amministrativa, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle pretese partecipative, ma è anche tenuto ad indicare o allegare, specificamente, gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.
Nel caso di specie, le appellanti non deducono quali circostanze e quali elementi avrebbero introdotto nel confronto procedimentale, atteso che gli abusi oggetto dell’ordinanza impugnata consistono nella realizzazione di un immobile, in assenza del permesso di costruire e su un’area con destinazione agricola in zona di interesse archeologico nonché soggetta a vincolo cimiteriale;
I destinatari dell’ordine di demolizione
L’appellante contesta pure la violazione dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in quanto il provvedimento non aveva specificato se la destinataria dell’ordine fosse solo la responsabile dell’abuso o anche la proprietaria dell’opera.
Il TAR e il Consiglio di Stato hanno, però, rilevato che non sussisteva la dedotta violazione, rivestendo la ricorrente sia la qualità di proprietaria del cespite che quella di responsabile dell’abuso.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 5 giugno 2023, n. 5455