Abuso d’ufficio: intervento di ANAC alla Camera
Intervento del presidente dell'Autorità Anticorruzione in relazione alle proposte di legge per la modifica dell'art. 323 del codice penale
Il reato d'abuso d'ufficio è un tema che è stato oggetto in passato di numerosi interventi da parte del Legislatore e che continua ad animare il dibattito politico, complice la necessità di evitare il fenomeno della ‘amministrazione difensiva’ e l'esigenza di ripartenza del Paese. Un argomento sul quale sono state formulate diverse proposte di legge, commentate recentemente dal Presidente dell’ANAC, Avv. Giuseppe Busìa, nel corso di un intervento presso la II Commissione Giustizia della Camera dei deputati.
Abuso d'ufficio: una nuova formulazione del reato per evitare la paralisi amministrativa?
Spiega il presidente dell’Autorità che l’articolo 323 c.p. si caratterizza per una notevole instabilità normativa che ha portato dal 1990 in poi, a numerose modifiche, da ultimo l’intervento del D.L. n. 76/2020 (convertito con legge n. 120/2020), che ha ulteriormente delimitato la condotta incriminata in due modalità alternative:
- una incentrata su una specifica violazione di legge;
- l’altra sulla violazione di un obbligo di astensione.
Come autorevolmente sostenuto, tutte le proposte di legge che intervengono sul reato di abuso di ufficio muovono dalla comune considerazione che la fattispecie delineata dall’articolo 323 c.p. sarebbe caratterizzata da una formulazione indeterminata, che non pare superata dai precedenti interventi legislativi, e che finisce con il produrre un effetto paralizzante dell’azione amministrativa.
La preoccupazione del legislatore attiene, quindi, alla volontà di attenuare gli effetti di quella che è stata definita c.d. “amministrazione difensiva” vale a dire un approccio alla gestione della cosa pubblica caratterizzato dall’adozione di criteri di cautela estrema, che arriva fino alla paralisi decisionale, da parte dei pubblici funzionari.
Proprio per questo i disegni di legge in esame vanno tutti nel senso di o abrogare la fattispecie o di depotenziarne la portata, mediante la depenalizzazione o la riformulazione in senso restrittivo
Emerge, dunque, che le prospettive di riforma in esame intervengono con lo scopo di limitare l’effetto della c.d. "paura della firma" o della c.d. burocrazia difensiva, mettendo in secondo piano l’analisi della norma come strumento necessario per contrastare l’illegalità presente nella pubblica amministrazione, accanto alle più gravi fattispecie penali come il reato di corruzione o peculato.
L’analisi dei dati
Nel passare in rassegna i dati statistici emersi nel dibattito, l’elemento più rilevante, secondo ANAC, riguarda il numero di archiviazioni che nell’anno 2022, in linea con il precedente anno 2021, è pari a circa l’80% dei procedimenti iscritti.
Un secondo dato riguarda la riduzione del 40% circa del numero dei procedimenti iscritti, e un ultimo dato evidenzia lo scarso numero di condanne e patteggiamenti, a fronte del numero elevato di assoluzioni e di non luogo a procedere. Di questi dati è opportuno dare una lettura complessa.
Spiega Busìa che l’aumento delle archiviazioni e delle assoluzioni è certamente collegabile alla riforma dell’abuso d’ufficio attuata nel 2020, che ha limitato la sfera di applicazione della fattispecie. Il dato secondo cui, a fronte delle numerose domande di intervento, vi siano molte archiviazioni e assoluzioni consente di asserire che il filtro dell’autorità giudiziaria rassicura il funzionario che si trova nella posizione di dover agire e facendo venir meno, quindi, la paura della firma.
I dubbi sulle riforme proposte
Secondo Busìa, tuttavia le proposte di modifica avanzate potrebbero non essere idonee perché non andrebbero a risolvere le criticità e le doglianze sollevate dai funzionari pubblici e che meritano necessariamente di essere tenute nella massima considerazione: “Il deficit di fluidità che incide sull’agire amministrativo trova le sue radici in una serie di concause, non soltanto collegate alla fattispecie penale e, pertanto, l’intervento legislativo potrebbe esercitarsi anche rispetto a profili di carattere organizzativo e strutturale dell’apparato amministrativo che consentano ai funzionari pubblici di agire nel massimo dell’efficienza e della consapevolezza, superando l’arretratezza organizzativa (ad esempio di personale non qualificato) in cui spesso di trovano ad operare gli amministratori".
Ribadisce il Presidente che un eventuale intervento legislativo volto ad una migliore definizione della fattispecie consentirebbe, infatti, di introdurre nell’ordinamento le debite garanzie contro il rischio di una eccessiva estensione del sindacato penale sull’azione dei funzionari pubblici , permettendo al tempo stesso di assicurare la perseguibilità anche in sede penale di quelle condotte lesive dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione non coperte da altre previsioni di legge. “In assenza di un adeguato bilanciamento tra tali due diverse esigenze, si rischierebbe o di non garantire un’adeguata protezione al bene giuridico tutelato dall’art. 323 c.p., dato appunto dal buon andamento e dall’imparzialità della Pubblica Amministrazione, sanciti dall’art. 97 della Costituzione, o, al contrario, di creare le condizioni per una eccessiva estensione delle ipotesi incriminatrici, che avrebbe come possibile conseguenza la paralisi dell’azione amministrazione”.
Un’eventuale abrogazione o depotenziamento del reato di abuso di ufficio potrebbero determinare criticità sotto un duplice profilo:
- in primo luogo, l’ordinamento italiano si porrebbe in una posizione di difformità rispetto alle previsioni delle Carte internazionali, che impegnano gli Stati firmatari ad adottare le misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale a condotte sostanzialmente ricomprese nell’abuso d’ufficio, oltre che rispetto alla stessa proposta di Direttiva europea del 3 maggio 2023 in materia di anticorruzione;
- in secondo luogo, in assenza di una norma idonea a sanzionare penalmente condotte di maladministration o di collusione con interessi privati non punite da altre disposizioni normative, il funzionario pubblico potrebbe trovarsi esposto al rischio di incriminazione per fattispecie criminose più gravi.
Appare quindi ragionevole, conclude il presidente dell'ANAC, perseguire l’obiettivo di una più rigorosa tipizzazione della fattispecie, mediante una ancora più puntuale delimitazione dell’ambito applicativo rispetto all’intervento legislativo del 2020, senza tuttavia pervenire all’abrogazione dell’istituto.
Traffico di influenze illecite: le osservazioni di ANAC
Per quanto attiene invece alla proposta di modifica del reato di traffico di influenze illecite, in analogia con le considerazioni già espresse in relazione al reato di abuso di ufficio, e per le medesime motivazioni, ANAC condivide il progetto di una riforma che sia tesa a una più puntuale definizione dell’ambito di applicazione, anche in considerazione delle criticità applicative dell’attuale norma, e tenuto conto del confine non sempre ben definito rispetto ad altre ipotesi di reato ricadenti in ambiti connessi e affini, quale lo stesso reato di corruzione.