Autorizzazione paesaggistica e parere tardivo: è comunque legittimo?
Il TAR Sardegna ricorda l'interpretazione più recente dell'art. 167 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio in relazione alla costruzione di una piscina
Il parere tardivo della Soprintendenza relativo a un’istanza di sanatoria paesaggistica non è vincolante, ma è comunque legittimo e un’Amministrazione può tenerne conto, anche una volta decorsi i termini perentori.
Compatibilità paesaggistica: il parere tardivo è comunque legittimo
A confermarlo è il TAR Sardegna, con la sentenza n. 385/2023, con la quale ha confermato il dinego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria relativa alla realizzazione di una piscina e del relativo locale tecnico in una zona sottoposta a vincolo paesaggisco.
La regione aveva trasmesso alla Soprintendenza gli elaborati per l’espressione, “entro i termini di legge, del prescritto parere vincolante” di cui all’art. 167, comma 5, del d.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) esprimendo una valutazione sostanzialmente favorevole all’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere, indicando soltanto con riferimentola necessità di eseguire alcune opere di mitigazione.
Successivamente la Soprintendenza – tardivamente rispetto al termine di 90 giorni previsto dalla legge – aveva espresso parere negativo, al quale la Regione ha deciso di conformarsi.
Parere di compatibilità paesaggistica: le tre possibili alternative
Da qui il ricorso, che il Tribunale Amministrativo ha respinto, specificando appunto che il parere della Soprintendenza anche se tardivo non è illegittimo, bensì non è più vincolante.
Per spiegarlo ha richiamato la giurisprudenza in materia, per cui “In ordine alle conseguenze discendenti dal decorso del termine perentorio di novanta giorni prescritto dall’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, sono prospettabili tre possibili soluzioni:
- a) quella della consumazione del potere per l’organo statale di rendere un qualunque parere (di carattere vincolante o meno);
- b) quella della permanenza in capo alla Soprintendenza del potere attribuito dall’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04 di emanare un parere di carattere vincolante, nonostante la decorrenza del relativo termine perentorio;
- c) quella della residua possibilità per l’organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell'intervento; il parere in parola perderebbe, tuttavia, il carattere di vincolatività e dovrebbe essere autonomamente valutato dall'amministrazione deputata all'adozione dell'atto autorizzatorio finale”
Quella fatta propria dal giudice è appunto quella della perdita del carattere di vincolatività e obbligatorietà del parere: “Sussiste quindi un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l'espressione del parere vincolante da parte della Soprintendenza, l'Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall'amministrazione preposta al rilascio del titolo”.
Alla luce di tali rilievi, spiega il TAR, la scadenza del termine di cui all’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/2004:
- privi il parere della Soprintendenza dell'efficacia attribuitagli dalla legge (obbligatoria e vincolante);
- consenta, comunque, all’autorità statale di intervenire nel procedimento per esprimere il proprio parere, non più obbligatorio e vincolante, ma facoltativo e suscettibile di essere disatteso dall’organo procedente.
In definitiva, non essendo l’Amministrazione procedente tenuta ad attendere il parere tardivo ex art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, ormai privo dei caratteri dell’obbligatorietà previsti dalla norma, l’adozione del provvedimento finale, in assenza del parere della Soprintendenza, una volta decorso il termine perentorio all’uopo assegnato dal legislatore, non potrebbe essere ritenuto illegittimo per contrasto con l’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/2004.
In questo caso la Regione, potenzialmente non più vincolata alle determinazioni assunte dalla Soprintendenza, ha ritenuto comunque di confrontarsi con quest’ultima, ritenendo di condividerne le conclusioni negative, adottando quindi, di conseguenza, senza per questo incorrere in alcuna illegittimità in relazione al suo mutato orientamento, trattandosi di una sua autonoma valutazione, il provvedimento negativo oggetto di impugnazione.
Accertamento di compatibilità in sanatoria: no a nuovi progetti
Il ricorrente inoltre ha segnalato che aveva chiesto all’Amministrazione di riconsiderare il parere negativo espresso, proponendo significative modifiche progettuali, finalizzate a mitigare ulteriormente l’impatto visivo delle opere realizzate e a migliorare il loro inserimento nel contesto paesaggistico circostante.
Anche in questo caso il motivo è stato ritenuto infondato: nel procedimento di verifica della compatibilità paesaggistica in sanatoria di cui all’art. 167 del D. lgs. n. 42/2004, la Regione e la Soprintendenza non si pronunciano su una proposta di progetto di lavori edili ma sullo stato di fatto delle opere abusive già realizzate, come rappresentate nelle relazioni tecniche e negli elaborati grafici allegati all’istanza.
L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria di cui all’art. 167, comma 4 e 5, d.lgs. n. 42/2004, mira a regolarizzare opere preesistenti alla domanda, realizzate in assenza (o in difformità) del titolo abilitativo, non potendosi con essa assentire interventi modificativi di quanto già (abusivamente) realizzato.
Realizzazione piscina: pertinenza o nuova costruzione?
In relazione all’impatto della piscina e del terrapieno, il Collegio ha inoltre condiviso la più recente giurisprudenza per la quale “…la piscina non è pertinenza in senso urbanistico in quanto comportante trasformazione durevole del territorio e in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire. È pertanto legittimo il diniego di compatibilità paesaggistica relativo alla realizzazione di una piscina in difetto di permesso di costruire. Infatti, nell'art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 il legislatore include invece quegli interventi che, pur senza creare un aumento di cubatura, con la realizzazione di nuove superfici utili, determinano comunque un impatto significativo sull'assetto del territorio, modificandone in maniera stabile e duratura la conformazione".
Questa lettura trova giustificazione, oltre che dal punto di vista letterale, anche per la ratio della disposizione, volta a stabilire una soglia elevata di tutela del paesaggio che comporta la possibilità di rilascio ex post dell'autorizzazione paesaggistica al fine di sanare interventi già realizzati soltanto per gli abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di causare un effettivo pregiudizio al bene tutelato.
Sanatoria paesaggistica: no in caso di nuovi volumi
Si tratta di una questione attinente al fatto se il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini della tutela del paesaggio, vada riferito o meno a qualsiasi tipo di edificazione comportante creazione di volume senza che sia possibile distinguere fra volume tecnico ed altro tipo di volume può osservarsi nel panorama giurisprudenziale la presenza di orientamenti contrastanti.
Nelle aree sottoposte a disposizioni di tutela, è consentito l’accertamento postumo di compatibilità nei soli limitati casi previsti dall’art. 167, fra i quali non rientrano gli interventi che hanno determinato la realizzazione di nuovi volumi e superfici e, più in generale, non rientrano tutti gli interventi che hanno determinato un rilevante impatto sui beni oggetto di protezione. In particolare, come in questo caso, il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini della tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi tipo di edificazione comportante creazione di volume senza che sia possibile distinguere fra volume tecnico ed altro tipo di volume.
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Sentenza