Annullamento del permesso di costruire: l’esercizio del potere di autotutela
Il Consiglio di Stato ricorda i presupposti per l’annullamento di un titolo edilizio in autotutela da parte di un'Amministrazione, ai sensi della Legge n. 241/1990
L’esercizio del potere di autotutela intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In ogni caso l’Amministrazione può ricorrervi se il titolo era stato rilasciato sulla base di una rappresentazione della realtà non veritiera da parte del privato.
Annullamento in autotutela del permesso di costruire: entro quando può essere esercitato?
Richiamando questi principi, per altro ripresi dall’Adunanza Plenaria n.8/2017, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6387/2023, ha accolto l’appello di un’Amministrazione Comunale, dichiarando la legittimità di un annullamento in autotutela di una DIA rilasciata per la demolizione e ricostruzione di un locale deposito utilizzando le misure previste dal Piano Casa della Regione Puglia.
L’istruttoria che ha portato all’annullamento della DIA era stata attivata dopo la segnalazione dei proprietari di alcuni terreni vicini, che lamentavano una ricostruzione infedele per materiali e consistenza plano volumetrica.
Nel caso in esame, il Comune ha anche evidenziato che, in base alla disciplina normativa vigente all’epoca dei fatti (ossia, prima della riforma di cui alla l. n. 124/2015) l’esercizio del potere di autotutela non era soggetto ad alcun termine predeterminato, dovendo avvenire entro un termine ragionevole.
False attestazioni dei requisiti giustificano l'autotutela
Con il d.l. n. 70/2011 entrato in vigore il 13 maggio 2011 (convertito in l. 106/2011), all’art. 19 della l. 241/1990 è stato introdotto il comma 6 - bis, secondo cui, in materia edilizia, il termine per l’esercizio del potere di inibire l’attività di cui alla d.i.a. o alla s.c.i.a. è stato ridotto a 30 gg. e sono state confermate le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività edilizia e urbanistica, nonché in materia di responsabilità e di sanzioni previste dal d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia); infine, è stato salvaguardato il potere dell’amministrazione di intervenire sempre a tutela di un interesse del patrimonio storico-artistico-culturale, ambientale, della salute, della sicurezza pubblica o della difesa nazionale; anche la fattispecie di reato, in caso di false attestazioni sui requisiti per la presentazione della d.i.a., è stata confermata.
A distanza di qualche mese ancora, con d.l. n. 138/2011, entrato in vigore il 13 agosto 2011, l’art. 19 della l. n. 241/1990 è stato nuovamente modificato, tra l’altro, con l’introduzione del comma 6-ter il quale espressamente ha stabilito che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio di verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1 e 2 del D.Lgs. 104/2010”.
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, il Comune ha ribadito che nel momento in cui è stata presentata la d.i.a, la disciplina sostanziale di tale istituto era quella anteriore alle modifiche introdotte dal legislatore del 2011; invece, nel momento in cui è stato presentato l’esposto da parte dei vicini, non poteva non tenersi conto di quanto disposto dal comma 6 - ter dell’art. 19 l. 241/1990 e s.m.i.
Non solo: tra i casi in cui all’amministrazione era sempre concesso di intervenire, anche oltre il decorso del termine di 60 o 30 gg stabilito per l’esercizio dei poteri inibitori, vi era sicuramente inclusa l’ipotesi di falsa attestazione dei requisiti per la presentazione della d.i.a. o della s.c.i.a.
Tutte motivazioni secondo cui l’Amministrazione era legittimata all’esercizio dei poteri di autotutela (anche oltre il termine fissato dalla norma), sia tenendo conto della falsa rappresentazione dei fatti (nella d.i.a. presentata), sia in relazione all’esposto presentato dai proprietari dei terreni confinanti con l’area interessata dall’intervento edilizio di cui sopra.
L'esercizio dell'autotutela: i principi enunciati dall'Adunanza Plenaria
Il Consiglio di Stato, nell’accogliere il ricorso, ha appunto ricordato quanto stabilito con sentenza n. 8/2017 dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ovvero che pur dando atto che l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole, va evidenziato che:
- il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
- l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi);
- la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.
L'applicazione dei principi al caso della sentenza
In questo caso le ragioni poste alla base del provvedimento di autotutela concernono la discrasia tra la consistenza plano volumetrica del locale deposito dichiarata nella perizia giurata (allegata alla d.i.a.) e quella effettivamente esistente, per come desumibile dalla documentazione acquisita dalla amministrazione in sede procedimentale. Si tratta di elementi che hanno indotto l’amministrazione comunale a ritenere, che la parte istante sia incorsa in una “non veritiera rappresentazione delle consistenze plano-volumetriche del locale deposito del quale è stata utilizzata la entità volumetrica ai sensi dell’art. 4 della LR 14/2009 e che si è concretizzata una palese violazione ai sensi degli artt. 21-22 del TUE, legittimando quindi l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, che non può essere paralizzato dalla mancanza di un giudicato penale, rilevante per il solo caso dichiarazioni sostitutive o atti di notorietà mendaci o falsi (art. 21 nonies, comma 2 bis, l.n. 241 del 1990).
Secondo i principi enunciati dalla Adunanza plenaria, sopra richiamati, il termine ragionevole per l’adozione dell’annullamento d’ufficio decorre soltanto dalla scoperta dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro. Nel caso di specie, dopo pochi giorni dalla presentazione dell’esposto da parte dei proprietari dei terreni confinanti, la amministrazione comunale ha dato avvio al procedimento di annullamento in autotutela della d.i.a..
Non è ravvisabile negli atti impugnati neppure la violazione del principio del legittimo affidamento: come evidenziato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, l’erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla erroneità non veritiera prospettazione di parte.
Inoltre costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale la prova delle dimensioni (consistenza) di un manufatto, la prova della esistenza o inesistenza di un rudere, la prova della data di costruzione e così via, grava su colui che attiva il procedimento di rilascio del titolo e poi agisce in giudizio, specie se si tratta di demo ricostruzione.
Infine quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà sia consentito all’amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa.
Documenti Allegati
Sentenza