Standard urbanistici e deroghe a distanze minime: le indicazioni della Corte Costituzionale
La Consulta: deroghe consentite solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio
Con la sentenza n. 85/2023, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell'art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e dell'art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12/2005 sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di un giudizio d’appello promosso per la riforma della sentenza del T.a.r. che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dal proprietario di un rilevante compendio immobiliare, la cui potenzialità edificatoria era stata ridotta in ragione degli parametri urbanistici fissati nel Piano di governo del territorio (P.G.T.) più gravosi di quelli stabiliti dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.
Disciplina degli standard urbanistici: le deroghe alle distanze minime
Nel decidere le questioni sopraindicate, la Corte costituzionale ha premesso come la disciplina degli standard urbanistici trovi il suo fondamento nell’art. 17 della legge n. 765/1967 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), con cui è stato introdotto l’art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942, che ai commi 8 e 9 stabilisce che: “In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della medesima”.
Essa è stata poi attuata dal d.m. n. 1444/1968 che ha optato per l’individuazione delle percentuali di dotazioni infrastrutturali strettamente collegate alle destinazioni funzionali delle diverse zone in cui doveva essere ripartito il territorio comunale dal piano regolatore generale, come disposto dagli artt. da 3 a 5 per cui le percentuali e le quantità di aree da destinare a “spazi pubblici, attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”, differenziate in ragione del fabbisogno attribuito a ciascuna zona territoriale omogenea;
In questo modo si è provveduto a regolare l’ordinato sviluppo delle infrastrutture soprattutto nel tessuto urbano, e sia rimasto sostanzialmente invariata pur nel momento in cui le regioni si sono dotate di una legislazione urbanistica improntata a diversi modelli pianificatori.
Deroghe alle distanze minime: l’art. 2-bis del Testo Unico Edilizia
Successivamente, con l’art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, inserito dall’art. 30, comma 1, lettera 0a), del d.l. n. 69/2013, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 89 del 2013 secondo cui “ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Quindi, ribadisce la Consulta, sono principi fondamentali in materia di governo del territorio quelli di cui alla l. n. 1150 del 1942 e i parametri di cui al d.m. n. 1444 del 1968 sono imperativi e inderogabili, se non nei limiti di cui all’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
Distanze minime: casi di deroga
L’ordinamento conosce ipotesi di deroghe generali, relative a determinate tipologie di interventi edilizi, deroghe che anche le regioni possono introdurre con legge, nell’esercizio della loro competenza concorrente in materia di «governo del territorio».
Interventi regionali di questo tipo, tuttavia, sono ammissibili soltanto nel rispetto del citato principio fondamentale della materia e dunque solo in quanto essi presentino i caratteri dell’eccezionalità e della temporaneità e siano diretti a perseguire obiettivi specifici, coerenti con i detti caratteri, diretti ad escludere in particolare che essi assurgano a disciplina stabile, vanificando il principio del necessario rispetto della pianificazione urbanistica.
Proprio in riferimento al criterio di riparto di competenze tra Stato e regioni, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968. Tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche".
In definitiva, le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio. Conclusioni ribadite anche alla luce dell'introduzione - ad opera dall'art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 - dell'art. 2-bis del TUE.
La disposizione inserisce nel testo unico sull'edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dell'ammissibilità di deroghe solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio».
Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino, invece, da tali finalità, risultano invasive della materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Documenti Allegati
Sentenza