Sismabonus e demo-ricostruzione: quali obblighi nel condominio?
Anche in caso di grave malattia permane l’obbligo di rilasciare l’appartamento di proprietà esclusiva al fine di consentire la demolizione e la riedificazione del palazzo
Con tutti i cambiamenti di rotta che ci sono stati in materia di bonus edilizi e col passare del tempo, è comprensibile che qualcuno, spaventato o disilluso, decida di cambiare idea. Sul piano tecnico e fiscale le ragioni alla base di una simile decisione certamente non mancano e sono note a tutti, basti pensare al divieto di cessione dei crediti operato dal Decreto Legge n. 11/2023 (Decreto Cessioni).
Sismabonus e condominio: interviene il Tribunale
Sono però frequenti i casi di lavori che sono stati deliberati poco dopo l’entrata in vigore del Superbonus e che poi sono rimasti in stand-by per anni, in attesa di trovare un’impresa disponibile a realizzarli. Purtroppo, col passare del tempo possono variare le condizioni personali dei proprietari dell’edificio, ivi comprese quelle finanziarie e di salute.
Secondo la recente sentenza del Tribunale di Sulmona n. 179 dello scorso 22 giugno, però, il singolo condòmino di un edificio che in assemblea condominiale ha deliberato per l’esecuzione di un intervento di demolizione e ricostruzione con Sismabonus, non può più cambiare idea sul consenso che ha espresso alla conseguente distruzione del proprio privato appartamento, anche se nel frattempo è stato colto da una grave malattia.
Il caso
Un condominio ha legittimamente deliberato di mettere in atto la demolizione e conseguente riedificazione dell’edificio agevolando la spesa con il Sismabonus (D.L. n. 63/2013, art. 16 e ss.). Si ricorda, infatti, che a tale agevolazione può accedere anche un intervento così invasivo come la demolizione, purché l’operazione concretizzi un incremento della sicurezza strutturale. Come si legge nella sentenza, proprio in tal senso si era mosso il condominio, dato che “la delibera è stata adottata in considerazione di esigenze anche statiche (e la demolizione con successiva ricostruzione è stata scelta quale soluzione tecnicamente più agevole per l'adeguamento sismico)”.
Si tratta sicuramente di una procedura edilizia che non riguarda solo le parti dell’edificio comuni a tutti i condòmini, ma anche la demolizione delle singole unità immobiliari di proprietà privata ed esclusiva di ogni condòmino. Per questo motivo, la delibera assembleare che ha approvato i lavori conteneva al suo interno anche le manifestazioni di assenso dei singoli condòmini a che i propri appartamenti venissero distrutti.
Dopo la sottoscrizione del verbale, però, una condòmina inizialmente concorde, ha “comunicato al condominio la revoca del consenso”. Successivamente, alla stessa (che con tutta evidenza si rifiutava di permettere la demolizione della propria unità) veniva ordinato tramite provvedimento del tribunale di rilasciare urgentemente l’immobile al condominio, atto contro il quale la condòmina ha proposto l’impugnazione su cui il tribunale di Sulmona si è espresso lo scorso giugno.
La sentenza
In sintesi, il giudice di Sulmona decide per la conferma dell’ordinanza, ritenendo sussistente l’obbligo in capo alla condòmina di rilasciare il proprio appartamento, proprio in virtù del consenso da essa espresso nella delibera assembleare.
Il tribunale, nel dettaglio, considera la revoca dell’assenso post sottoscrizione del verbale come “non efficace”. Si tratta, spiega il giudice, dell’espressione di una “disposizione di porzioni dell'edificio in proprietà esclusiva, che esula dalla competenza dell'organo deliberativo, in cui rientra, invece, il potere di deliberare l'esecuzione dei lavori di radicale ristrutturazione […] dell'intero edificio, naturalmente subordinata all'autorizzazione dei singoli proprietari alla distruzione della propria porzione esclusiva”. In parole povere, l’assenso del singolo in assemblea alla demolizione del proprio appartamento non fa parte di per sé della deliberazione assembleare, ma consiste in una “assunzione unilaterale di un impegno […] a contenuto patrimoniale”, vale a dire in un “negozio rivolto a soggetti determinati (gli altri condomini), sicché non può ritenersi efficace alcuna revoca unilaterale di esso”.
In linea, cioè, con la tradizionale giurisprudenza in materia (la decisione espressamente rimanda alla Sentenza Cassazione n. 556/1962), il giudice richiama la nozione giuridica degli “atti unilaterali recettizi”, cui l’art. 1324 c.c. impone di applicare le stesse norme che regolano i contratti. Diretta conseguenza di ciò è che l’atto unilaterale di assenso espresso dalla condòmina ha già prodotto i suoi effetti, direttamente quando è giunto (con il verbale) a conoscenza dei soggetti cui era destinato (i condòmini).
A nulla, in particolare, è valso quanto invocato dalla condòmina, che ha riferito di versare in “precarie condizioni di salute […] in conseguenza della diagnosi di grave malattia”. Infatti, argomenta il giudice, per “sciogliere” un patto unilaterale recettizio (così come per sciogliere un contratto) è necessaria una revoca comune, condivisa anche dagli altri soggetti, oppure serve trovarsi di fronte a una causa legale di decadenza, come i vizi della volontà. Tuttavia, per il giudice di Sulmona, le gravi malattie “non si traducono di per sé in incapacità naturale al momento di manifestazione del consenso, né in vizio del medesimo, posto che non si specifica quale errore (essenziale e riconoscibile) ne sarebbe derivato, o quale artificio o violenza morale avrebbe affettato la manifestazione di volontà”.
L’importanza dei patti contrattuali
La sentenza del Tribunale di Sulmona è una delle prime dedicate agli aspetti extra fiscali legati ai bonus edilizi e apre la porta ad alcune riflessioni. Come detto, le condizioni che, in molti casi, hanno portato a deliberare l’esecuzione di lavori con accesso ai benefici fiscali sono mutate in modo sostanziale negli ultimi anni, a seguito di provvedimenti normativi e di prassi sempre più restrittivi. Tutto ciò, è cosa nota, ha portato a un drastico rallentamento nell’esecuzione dei lavori, con conseguente possibilità di mutamento delle condizioni di contorno che portano alla loro deliberazione.
Si comprende così quanto sia importante la specificazione dei “patti” condominiali, ovvero di tutte quelle condizioni che possono essere inserite in un verbale di assemblea, con lungimiranza, proprio per tener conto della possibile sopravvenienza di imprevisti.
Nel caso di Sulmona, ad esempio, sarebbe stato utile indicare un termine entro il quale dare corso ai lavori, così da non rimanere legati a una decisione incondizionata e unilateralmente irreversibile, anche rispetto alle parti di proprietà esclusiva.
Pur essendo la sentenza riferita al caso (peraltro molto diffuso), di Sismabonus con demolizione e ricostruzione, si ritiene che il principio giurisprudenziale possa essere esteso in generale agli interventi agevolati con bonus edilizi e motivati da ragioni legate alla sicurezza strutturale.
In altre parole bisogna pensarci bene prima di esprimere il proprio assenso all’esecuzione dei lavori e, in ogni caso, è opportuno valutare con un professionista di fiducia i contenuti del verbale di assemblea prima di ufficializzarlo.
A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it