Superbonus: quando vendere l’immobile ristrutturato fa perdere la detrazione?
Il Superbonus non spetta a chi svolge attività d’impresa. La sentenza n.36992/2022 della Cassazione aiuta a “dimensionare” il problema
Tra la vasta serie di agevolazioni edilizie previste dall’ordinamento, ve ne sono alcune cui possono accedere anche le imprese, e altre che le vedono invece totalmente escluse. È il caso del Superbonus, regolato dall’art. 119 del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio), che esplicitamente cita tra i beneficiari le “persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione”.
Quando le disposizioni qualificano così specificamente i soggetti che possono accedere ad un bonus edilizio, è chiaro che si pone il problema di inquadrare in quali casi ci si trovi al di fuori delle categorie dei beneficiari. La nozione di impresa, infatti, non è di per sé pacifica, tanto più che questa differisce a seconda che ci si trovi all’interno dell’ambito civilistico o di quello tributario.
L’Agenzia delle Entrate, al proposito, ha chiarito che se un bonus riservato alle persone fisiche viene fruito da soggetti non costituiti formalmente come impresa che procedano alla vendita dell’immobile ristrutturato, può configurarsi un caso di fruizione indebita, con le conseguenze del caso. Ne avevamo già parlato in un precedente articolo "Ristrutturazione e rivendita immobile: occhio a non perdere le agevolazioni".
Tutto ruota intorno alla definizione di attività imprenditoriale e se questa possa ritenersi configurabile anche solo “di fatto” e in relazione a un singolo affare. Su questo argomento si è espressa più volte anche la giurisprudenza, pur non chiarendo del tutto se vi siano dei limiti dimensionali per decretare l’imprenditorialità di un’operazione.
Liceità della vendita
Svolgere un’analisi sui limiti alla compravendita di immobili ristrutturati con Superbonus significa innanzitutto considerare che questa, di per sé, non è vietata. Altrimenti, non si spiegherebbe la presenza nell’ordinamento dell’art. 9 del decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 6 agosto 2020. Tale norma spiega infatti che in caso di trasferimento dell’immobile per atto tra vivi “le relative detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal cedente spettano, salvo diverso accordo tra le parti, per i rimanenti periodi d’imposta, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare”. Il bonus, insomma, non si perde in caso di vendita dell’immobile dopo l’esecuzione dei lavori agevolati, ma anzi si conserva sia in capo al venditore in relazione a quanto già fruito, che in capo all’acquirente in relazione alle rate non ancora utilizzate.
Chiarita la liceità della vendita, appare evidente che l’unico limite a tale principio è che l’operazione economica svolta da un privato non configuri attività d’impresa.
Ma come si può stabilire se la compravendita che per qualche motivo, magari in buona fede, si intende mettere in atto sia, o meno, di tipo imprenditoriale?
La posizione dell’Agenzia
In materia di vendita a terzi di unità immobiliari da parte di persone fisiche, le Entrate hanno in alcuni casi considerato l’operazione come attività d’impresa, in risposta a quesiti sulla tassazione dell’introito derivante dal negozio.
Il proprietario di un magazzino da cui ha ricavato tramite un intervento edilizio 3 unità immobiliari da vendere, si è visto ad esempio inquadrare tale attività come imprenditoriale all’interno dell’interpello 152/2020. In tale documento emerge un primo elemento rilevante, ovvero la questione delle “dimensioni” dell’affare. Infatti, l’Agenzia spiega che tale vendita è imprenditoriale perché un singolo affare costituisce impresa “in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta”.
Allo stesso modo, l’interpello 426/2019 ha definito imprenditoriale l’ampliamento volumetrico effettuato da un privato con l’intenzione di vendere l’immobile. In questo caso, cioè, le Entrate si concentrano sulla finalità “speculativa” dei lavori effettuati per valutare l’aspetto imprenditoriale della vendita, spiegando che “l'intervento […] risulta finalizzato non al proprio uso o a quello della propria famiglia, bensì alla realizzazione e successiva vendita delle unità”.
La posizione della Cassazione
La Cassazione si è recentemente espressa con la sentenza n. 36992 del 16 dicembre 2022, relativa alla contestazione da parte di un contribuente di alcuni avvisi di accertamento ricevuti dall’AdE, riferiti alla realizzazione di un edificio composto da 5 appartamenti, 8 garage e 3 posti auto destinati “non all'uso del proprietario o a quello della sua famiglia, bensì alla successiva vendita”.
Innanzitutto, la sentenza ricorda che “la nozione tributaristica dell'esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica”. Ai fini tributari, infatti, basta che l’attività sia svolta “per professione abituale, ancorché non esclusiva". In altre parole, la nozione tributaria “prescinde dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell'impresa commerciale agli effetti civilistici”.
Non sempre, dunque, un singolo affare può costituire attività d’impresa. Infatti, la Cassazione sottolinea che si fa impresa quando si svolge “l’esercizio dell'attività in via abituale, cioè non meramente occasionale”, precisando che “occorre, cioè, che l'attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità”.
La Cassazione aggiunge tuttavia che “anche l'effettuazione di una singola attività di costruzione, che comporti il rilevante impiego di mezzi economici, il protrarsi nel tempo ed un'apprezzabile organizzazione di fattori di produzione, configuri un'attività di impresa”.
L'abitualità, tra l’altro, è da considerarsi in relazione alla stabilità nel periodo d’imposta, così che la contribuente ha svolto attività d’impresa in quanto “aveva acquistato un edificio, lo aveva ristrutturato, ricavandone un numero, superiore a quello originario, di unità immobiliari, che aveva singolarmente venduto a terzi estranei all'ambito familiare nel periodo di imposta considerato”.
Come fare
I pronunciamenti illustrati non riguardano direttamente i bonus edilizi, ma data la mancanza di chiarimenti specifici in materia, rappresentano l’unica bussola per orientarsi. È ragionevole, alla luce di quanto evidenziato, considerare il venditore di un immobile legittimato a conservare il Superbonus (o trasferirne il residuo all’acquirente), almeno nel caso in cui l’intervento edilizio non sia speculativo o sia comunque contenuto. Si evidenzia che nel caso della sentenza della Cassazione n. 36992/2022, l’attività “imprenditoriale” svolta dal contribuente è stata accertata in relazione alla costruzione (e rivendita) di una palazzina costituita da ben 5 unità immobiliari, 8 garage e varie cantine.
Tuttavia, visto che nella pratica ogni caso è diverso dagli altri in quanto a dimensioni e caratteristiche, per chiarire ogni dubbio, l’unico modo è inoltrare un interpello all’Agenzia delle Entrate.
A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 16 dicembre 2022, n. 36992