Abusi edilizi: il Consiglio di Stato sulle condizioni del terzo condono
Il D.L. n. 269/2003 (convertito in legge n. 326/2003) prevede delle condizioni più restrittive rispetto alle due normative che lo precedono. Vediamo quali
Al grido del "liberi tutti" (o quasi), in Italia si sono succedute, nell’arco di poco meno di vent’anni, ben tre norme con le quali molti manufatti abusivi sono stati sanati, dal punto di vista formale e sostanziale:
- la legge n. 47/1985, c.d. “Primo Condono Edilizio”;
- la legge n. 729/1994, c.d. “Secondo Condono Edilizio”;
- il D.L. n. 269/2003, conv. in legge n. 326/2003, c.d. “Terzo Condono Edilizio”.
Tra le prime due e la terza ci sono delle importanti differenze, che hanno limitato notevolmente l’accesso alla sanatoria, e che riguardano non solo i termini di ultimazione delle opere, ma anche la tipologia di abuso realizzato e l'eventuale presenza di vincoli sull’area.
Terzo condono edilizio: chiarimenti dal Consiglio di Stato
Caratteristiche differenti, che il Consiglio di Stato ha puntualizzato nella sentenza n. 8109/2023, con la quale ha rigettato l’appello proposto contro il diniego di condono da parte di un’Amministrazione comunale, sia per rappresentazione infedele delle opere, che avrebbe portato al rilascio di una sanatoria non dovuta, ma anche per il mancato rispetto delle condizioni imposte dal D.L. n. 269/2003 per ottenere il condono.
La questione riguarda l’istanza presentata per la sanatoria di un manufatto in lamiera di 40 mq, che nella realtà era invece un capannone industriale di oltre 300 mq. Il Comune, spiega Palazzo Spada, ha correttamente accertato che la domanda di condono presentata dal ricorrente nel 2003 era “dolosamente infedele”, in quanto conteneva una materiale rappresentazione dei fatti completamente divergente dalla realtà (realizzazione di un manufatto di 40 mq invece che di 310 mq) e idonea ad indurre in errore l'Amministrazione al fine di ottenere una sanatoria non dovuta, dato che, in base al comma 25 dell’art. 32 del D.L. 269/2003, opere abusive di quelle dimensioni non avrebbero potuto beneficiare del condono.
Non solo: diversamente da quanto sostenuto dall'appellante, il Comune non era tenuto a completare il procedimento concernente la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, n quanto “La domanda di compatibilità paesaggistica ex art. 1 commi 37 ss., l. 15 dicembre 2004 n. 308- rileva ai soli fini del conseguimento di un condono penale, con effetti di estinzione del reato ambientale, ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative; ciò si desume dalla lettera stessa della legge (cfr. art. 1, comma 37, cit.), la quale ha riguardo ai soli effetti penali, senza menzionare in alcun modo quelli amministrativi, sia dalla mancanza di norme di coordinamento con la disciplina in materia di condono edilizio, che è la risultante di un complesso bilanciamento di interessi, con plausibile limitazione dell'operatività del condono, nelle aree vincolate, alle sole opere conformi alle previsioni urbanistiche".
Abusi edilizi: no al condono in area vincolata
Spiega Palazzo Spada che la dimensione e la consistenza del manufatto (capannone per uso non residenziale) non consente la riconducibilità della fattispecie al c.d. terzo condono in presenza di vincolo paesaggistico ed idrogeologico.
L’applicabilità del terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Ed ecco appunto le differenze dalle leggi condonistiche precedenti: l'art. 32 del D.L. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 326/2003, fissa limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo” e “secondo” condono, escludendo la possibilità di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora sussistano congiuntamente due condizioni ostative:
- a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente all'esecuzione delle opere abusive;
- b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli stumenti urbanistici.
In tal caso l'incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo; in altri termini il d.l. n. 269/2003 preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo, senza la previsione procedimentale di alcun parere dell'Autorità ad esso preposta, con ciò collocando l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria.
Infine, conclude il Consiglio, le opere soggette a vincolo idrogeologico non sono condonabili ove siano in contrasto con esso, anche se questo sia stato apposto successivamente alla presentazione dell'istanza.
Documenti Allegati
Sentenza