Il dilemma dei crediti fiscali: pagabili o non pagabili?
Eurostat ha confermato la classificazione del superbonus come credito pagabile anche per il 2023. Siamo certi che sia giuridicamente corretto?
La storia della classificazione dei crediti fiscali e delle conseguenze sulla contabilità pubblica ormai va avanti da quasi due anni e mezzo e cioè da quando Istat richiese un parere ad Eurostat sulla natura dei crediti fiscali trasferibili a terzi nel giugno 2021.
I crediti borderline
Sulla base di questa richiesta Eurostat il primo febbraio 2023 ha presentato un aggiornamento del Manuale sul Deficit e sul Debito dei Governi (MGDD) introducendo accanto ai crediti fiscali pagabili e non pagabili una terza tipologia di crediti definiti come “borderline”.
Si tratta di crediti trasferibili a terzi che possono essere usati senza limiti temporali e permettono di compensare un debito fiscale totale piuttosto che una tassa specifica. Secondo Eurostat questi crediti, pur nascendo come non pagabili perché lo Stato non assume l’impegno di rimborsare con il cash la parte che non viene portata in compensazione, se circolano e se vengono usati in più anni fiscali per compensare qualsiasi tipo di debito fiscale, allora si trasformano da non pagabili in pagabili poiché aumenta la probabilità che siano sfruttati integralmente; sebbene- come detto - lo Stato non li rimborsi con denaro. Nasce così una nuova tipologia di crediti fiscali pagabili dove però lo Stato non paga.
La nuova classificazione di Eurostat
Tutto ciò fa capire l’inconsistenza della nuova classificazione Eurostat che è stata accolta favorevolmente dal Governo in quanto i crediti pagabili possono essere contabilizzati nel deficit nel momento in cui vengono emessi, diversamente da quelli non pagabili che hanno un impatto sulle casse pubbliche solo nel momento in cui vengono esercitati per scontare le tasse. Ciò ha permesso al governo di scaricare nei deficit del 2021 e del 2022 80 miliardi di euro di crediti relativi al superbonus e al bonus facciate e può consentire di scaricare nel deficit del 2023 altri 30 miliardi di crediti fiscali senza incorrere nella scure della regola del deficit al 3% che dovrebbe tornare in vigore l’anno prossimo.
Nei giorni scorsi Istat per conto del Governo ha illustrato la classificazione dei crediti fiscali pagabili ad Eurostat e subito dopo è arrivata la risposta dell’ente statistico europeo. Nella lettera di Eurostat a Istat è scritto: "Sebbene il paragrafo 20.167 del SEC affermi che i crediti d’imposta possono essere dovuti, nel senso che qualsiasi l’importo del credito che eccede il debito d’imposta sarà PAGATO al beneficiario, è stato concordato che tale credito d'imposta potrebbe anche essere considerato esigibile ai sensi del SEC 2010, anche se non verrà mai pagato al beneficiario iniziale, in quelle circostanze in cui il credito d'imposta concesso sarà maggiore probabilmente essere utilizzato ad un certo punto dal beneficiario originale o da un cessionario, sia perché il credito d'imposta può essere ceduto ad un numero significativo di controparti o essere liquidato il totale delle tasse".
Le incongruenze con il SEC 2010
Dunque Eurostat riconosce che c'è un problema anzi una vera e propria incongruenza tra il SEC 2010 e quello che maldestramente cerca di sostenere: "sebbene il paragrafo 20.167 del SEC affermi che..." un’incongruenza che viene superata così: "è stato concordato che tale credito d'imposta potrebbe anche essere considerato esigibile ai sensi del SEC 2010, anche se non verrà mai pagato al beneficiario iniziale".
Ora bisogna chiarire: concordato da chi e dove ? Tutto ciò non risulta nel SEC 2010 e cioè nel Sistema Europeo dei Conti nazionali. Il manuale MGDD di Eurostat fornisce solo delle linee metodologiche che per diventare norme vincolanti devono essere contenute nel SEC 2010.
Quello che comanda è il SEC 2010 che definisce la metodologia armonizzata per la produzione di dati di contabilità nazionale all’interno dell’Unione europea. Le invenzioni di Eurostat sui crediti fiscali che se circolano si trasformano da non pagabili a pagabili e di conseguenza vanno contabilizzati come deficit per l'intero importo all'emissione, non esistono nel SEC 2010. Se vogliono cambiare la classificazione dei crediti fiscali e quindi le modalità di contabilizzazione devono cambiare il SEC 2010: le nuove linee guida di Eurostat non hanno alcuna rilevanza giuridica.
Conclusioni
Sta di fatto che Eurostat è pronta ad accettare la classificazione presentata da Istat per conto del Governo con l’avvertenza che i crediti fiscali in questione non devono essere persi e cioè devono essere sfruttati integralmente in modo da considerarli come “pagabili”. Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha ripreso il tema scrivendo che, data l’entità dei crediti fiscali incagliati e cioè ancora non goduti dai beneficiari, c’è il rischio che una parte di essi vada persa. Se così fosse, secondo Eurostat, si tornerebbe al vecchio criterio dei crediti fiscali non pagabili che vanno registrati non all’emissione come maggiore deficit ma al momento in cui vengono esercitati.
Per concludere, se Giorgetti vuole fare il furbo considerando pagabile ciò che non lo è, visto che Eurostat gli ha dato l’appiglio, che almeno lo facesse bene sbloccando i crediti fiscali incagliati e facendoli monetizzare il prima possibile in modo da evitare che siano sprecati.