Permesso di costruire annullato: le condizioni per la fiscalizzazione dell’abuso
Il Consiglio di Stato ricorda cosa prevede l'art. 38 del Testo Unico Edilizia in caso di interventi eseguiti in base a permesso annullato
L’annullamento di un permesso di costruire comporta inevitabilmente la demolizione di quello che diventa in automatico un abuso edilizio? Oppure ci sono delle soluzioni percorribili? La risposta non è univoca, ma qualora ricorrano le previsioni dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), è possibile procedere con la c.d. “fiscalizzazione dell’abuso”.
Permesso di costruire annullato: sì o no alla sanatoria?
Esempio ne è il caso affrontato dal Consiglio di Stato, con la sentenza del 19 ottobre 2023, n. 9095, con la quale ha respinto il ricorso del proprietario di un immobile vicino a quello oggetto di discussione.
La questione era nata con la demolizione e ricostruzione di un edificio situato in centro storico, zona nella quale questa tipologia di intervento erano assentita, purché fosse parte di un “progetto unitario” e nel rispetto della superficie originaria. I proprietari invece avevano operato in assenza di titolo edilizio, procedendo poi con due richieste separate di permesso di costruire in sanatoria, una per le opere di demolizione e l'altra per la riedficiazione.
Entrambe le pratiche erano andate a buon fine, ma a seguito del ricorso del vicino, sia il TAR che il Consiglio avevano specificato che il Comune non poteva distinguere e assoggettare a diverso regime interventi che il legislatore aveva accomunato nell’ambito della nozione unitaria di “ristrutturazione” e che il “progetto unitario” richiesto dal Piano particolareggiato dovesse essere riferito al singolo edificio, in modo da evitare un “frazionamento” di interventi sullo stesso fabbricato, e non all’intera unità disciplinata dalla scheda.
Dopo alcune controversie amministrative, il Comune ha quindi annullato in autotutela il permesso di costruire, ha applicato la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38 del dP.R n. 380 del 2001, producendo i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36 del medesimo decreto (c.d. “doppia conformità”).
Da qui il nuovo ricorso del vicino, secondo il quale il Comune ha avrebbe dovuto oridnare la riduzione in pristino dei luoghi, con la demolizione totale dell’edifico e la sua eventuale ricostruzione originaria.
Fiscalizzazione dell'abuso per permesso di costruire annullato: i presupposti
Il Consiglio ha ritenuto invece corretto l’operato del Comune, con la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001. Sul punto, Palazzo Spada ha ricordato che la c.d. “fiscalizzazione dell’abuso” è applicabile rispetto a interventi edilizi eseguiti in base a un permesso di costruire che sia stato poi annullato e consente di ottenere i medesimi effetti della sanatoria di cui all’art. 36 mediante integrale corresponsione di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere, come stimato dall’Agenzia del territorio (poi incorporata nell’Agenzia delle entrate), qualora ricorra uno dei seguenti presupposti:
- non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative;
- non sia possibile la restituzione in pristino.
Come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17/2020, l’effetto della disposizione «è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria».
Vizi formali e non sostanziali
Con riferimento alla prima condizione – ossia la motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative – sempre l’Adunanza Plenaria ha precisato che «i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione», mentre l’istituto non può estendersi alle ipotesi in cui il titolo edilizio sia stato annullato per vizi sostanziali, in quanto si tradurrebbe in una sorta di condono affidato alla valutazione dell’Amministrazione in deroga alla disciplina urbanistica, ambientale o paesaggistica.
Nel caso in esame, i vizi che inficiavano i titoli che legittimavano le opere eseguite hanno natura procedurale e non sostanziale: l’immobile in questione è stato interessato da un complessivo e unitario intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione. L’operazione non era vietata di per sé e in via assoluta dal Piano particolareggiato del centro storico, in quanto consentiva gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione anche totale dell’edificio quale premessa per la sua ricostruzione, a condizione che a tal fine fosse presentato un “progetto unitario”.
In questo caso l’originaria unitarietà dell’intervento, volto alla demolizione e ricostruzione dell’edificio preesistente, è divenuta difficilmente percepibile per il fatto che i titoli che avrebbero dovuto legittimarlo sono stati rilasciati all’esito di due procedimenti distinti, uno per la sanatoria della demolizione, l’altro per l’autorizzazione della riedificazione - scissione determinata dal Comune, che avrebbe potuto optare per l’adozione di un unico provvedimento che legittimasse l’intera operazione, ma dovuta anche all’iniziativa dei proprietari dell’epoca, che avevano intrapreso i lavori senza prima chiedere e ottenere il permesso di costruire. Tuttavia, che l’operazione fosse unitaria emerge anche dalla contestuale presentazione, il medesimo giorno della domanda di sanatoria per la demolizione e di rilascio del permesso per la ricostruzione, nonché dalla vicinanza temporale tra i due titoli.
Pertanto, il vizio che inficiava i provvedimenti annullati non era “sostanziale”, bensì procedurale ed è consistito nella “scomposizione” in due diversi procedimenti di un’unica operazione, con conseguente perdita di quell’unitarietà di progetto che era invece presente.
Sussisteva dunque la condizione dell’impossibilità di rimozione dei vizi delle procedure amministrative che avevano comportato l’illegittimità dei titoli edilizi e su di essa il provvedimento impugnato ha invero incentrato la propria motivata valutazione preordinata all’emissione del provvedimento di cui all’art. 38 del d.P.R n. 380/2001.
Impossibilità della restituzione in pristino
Inoltre, nel caso in esame ricorre anche la condizione dell’impossibilità della restituzione in pristino. Sul punto Palazzo Spada ha ricordato l'orientamento della giurisprudenza per cui – alla luce della logica che ispira l’art. 38 del d.P.R n. 380/2001, ossia tutelare l’affidamento del privato che abbia confidato nella validità del permesso di costruire rilasciatogli – intende il concetto d’impossibilità di ripristino non solo come impossibilità tecnica ma, interpretando la norma alla luce dei principi generali di ragionevolezza e proporzionalità cui deve conformarsi l’azione amministrativa, lo ritiene riferibile anche nei casi in cui l’intervento, pur tecnicamente possibile, comporti un onere palesemente sproporzionato e irragionevole, rispetto allo scopo di ripristinare la legalità violata, per il soggetto gravato.
In questo caso, l’intervento abusivo è consistito nella demolizione e ricostruzione di un fabbricato: pertanto, la restituzione in pristino non dovrebbe comportare puramente e semplicemente la demolizione del manufatto esistente, ma anche la riedificazione di quello precedente, circostanza che rileva ai fini della valutazione dell’impossibilità – intesa anche come ragionevolezza e proporzionalità – del ripristino quale presupposto dell’atto censurato.
Infatti, la ricostruzione dell’abitazione in questione è avvenuta «nel rispetto della sagoma e del volume dell’edificio preesistente che è stato ricostruito identico in tutte le sue parti» . Pertanto, il ripristino dello stato dei luoghi precedente all’intervento di demolizione e ricostruzione, pur tecnicamente eseguibile, è invero “impossibile”, in quanto palesemente sproporzionato e irragionevole, perché condurrebbe alla riedificazione di un fabbricato con caratteristiche analoghe a quello attualmente esistente.
In conclusione, il ricorso è stato respinto, valutando legittimo il provvedimento del Comune in quanto sussistono entrambe le condizioni alternative in presenza delle quali l’art. 38 del d.P.R n. 380/2001 consente la “fiscalizzazione dell’abuso”.
Documenti Allegati
Sentenza