Sanatoria edilizia e silenzio diniego: come impugnarlo?
Quale impugnazione dovrebbe ricevere il silenzio diniego formatosi sulla istanza di sanatoria, pur dopo l'annullamento del suo diniego? Ecco il parere del nostro esperto
A distanza di 17 anni (2006) dalla impugnazione del diniego della sanatoria edilizia il diniego viene annullato dal TAR Veneto per eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, carente istruttoria, genericità della motivazione, travisamento del fatto. L'amministrazione si propone di riemettere il diniego con motivazione più adeguata. Quali limiti incontra l'amministrazione di seguito alla sentenza di annullamento? Qualora non provvedesse ad emanare il nuovo diniego entro i 60 giorni dalla notifica della sentenza di annullamento quale impugnazione dovrebbe ricevere il silenzio diniego formatosi sulla istanza di sanatoria pur dopo l'annullamento del suo diniego?
L'esperto risponde
La fattispecie oggetto del quesito necessita, ai fini di ipotizzare una (possibile) risposta di alcune “premesse” generali.
Vizi “istruttori” e “motivazionali”: il vincolo conformatitivo all'annullamento giurisdizionale
Il primo aspetto da considerare è che il giudicato amministrativo di annullamento costituisce un “vincolo esterno” al riesercizio del potere amministrativo.
Ha ad esempio chiarito Cons. Stato, ….. n. 6422, 2021 che “in tema di conformazione al giudicato dell’attività successiva dell’ente pubblico, qualora ci si trovi di fronte a un annullamento giurisdizionale per difetto di motivazione, residua in modo indubbio uno spazio assai ampio per il riesercizio dell’attività valutativa da parte della pubblica amministrazione”.
Dunque, una sentenza che annulli un diniego espresso per vizi formali (difetto motivazionale ed istruttorio) lascia, a ben vedere, la P.A. sostanzialmente libera in sede di ri-esercizio del potere in relazione alla domanda di accertamento di conformità (salvo, ovviamente, il limite derivante dalla necessità di porre in essere una istruttoria ed adottare una motivazione adeguata, pena la violazione della sentenza di annullamento).
Il particolare caso dell’accertamento di conformità
La fattispecie oggetto del quesito, tuttavia, si presenta come particolarmente problematica in ragione del meccanismo che l’art. 36 del D.P.R. 380/2001 configura.
Come è noto, infatti, sull’istanza di permesso di costruire in accertamento di conformità “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata” (co. 3).
Il meccanismo congegnato dall’art. 36, co. 3, TUEd è del tutto peculiare: da un lato la norma onera la P.A. di provvedere con adeguata motivazione - con illegittimità del provvedimento espresso che ne sia privo (come nel caso oggetto della sentenza del TAR Veneto, da cui origina il quesito) – e, dall’altro, consente alla P.A. di denegare la domanda tramite silenzio (ossia, con un atto strutturalmente privo di motivazione).
La giurisprudenza amministrativa, alla stregua di tale disposizione, è ormai pacifica nell’osservare che a fronte dell’istanza ex art. 36 del D.P.R. 380/2001 non sorge alcun obbligo della PA di provvedere espressamente (Consiglio di Stato, 12 luglio 2022, n. 5251, secondo cui così anche TAR Campania - Napoli, 22 agosto 2016, n. 4088; TAR Lazio - Roma, 24 giugno 2016, n. 7354; TAR Puglia - Lecce, 9 gennaio 2016, n. 6; TAR Campania - Salerno, 28 maggio 2011, n. 1211). Parimenti, il provvedimento di rigetto silente dell’istanza ex art. 36 TUEd non può essere impugnato per vizi motivazionali, essendo il silenzio – diversamente dalla motivazione “lacunosa” – strutturalmente ammesso dalla Legge.
Resta però fermo che laddove la P.A. decida di provvedere espressamente, il provvedimento sarà censurabile (anche) in relazione ad eventuali profili di difetto di motivazione.
Insomma, la P.A. che scelga di non avvalersi del diniego tramite silenzio, lo fa “a proprio rischio e pericolo”.
La Corte costituzionale con sentenza 16 marzo 2023 n. 42, peraltro, ha di recente dichiarato inammissibile (si noti, non infondata, nonostante motivazioni molto prossime alla declaratoria di infondatezza della questione) la questione di legittimità sottopostale dal TAR Lazio, con l’ordinanza 22 luglio 2021, n. 8854, dove venivano sollevati diversi dubbi circa la “ragionevolezza” e “giustizia sostanziale” del meccanismo del silenzio diniego.
Cosa accade dopo l’annullamento del diniego espresso? Uno scenario processuale singolare
Veniamo, così, al particolare quesito sottoposto, nel quale la risposta è veramente problematica.
Da un lato, infatti, la disciplina dell’art. 36, co. 3, TUEd ammette il silenzio quale legittimo strumento per denegare l’accertamento di conformità.
Dall’altro, laddove, si versi in caso di precedente diniego espresso annullato per difetto di motivazione, si è al cospetto – almeno in linea teorica – di un obbligo di riedizione del potere tramite un provvedimento espresso congruamente motivato (pena la violazione del comando giurisdizionale).
Sembra, allora, potersi teorizzare (benché non si siano reperiti precedenti giurisprudenziali su fattispecie analoghe) che la vicenda giurisdizionale conclusasi con l’annullamento del diniego per difetto di motivazione (e di istruttoria) sia elemento idoneo (in via di eccezione) a “sottrarre” alla P.A. la facoltà – pur riconosciutale dalla Legge – di avvalersi, in sede di riesercizio del potere, della facoltà di denegare tacitamente la domanda.
Ad opinar diversamente, si perverrebbe alla sostanziale vanificazione degli effetti conformativi della sentenza del TAR.
D’altronde, anche la circostanza per cui la P.A. ha già “rinunciato” all’esercizio silente del potere di diniego, pare militare nel senso dell’impossibilità di adoperare tale meccanismo.
All’atto pratico, dunque, può ritenersi che una volta decorso il termine di 60 giorni dalla decisione del TAR non sembrerebbe teorizzabile la formazione di un silenzio-diniego, con la conseguente possibilità, per il privato, in caso di inerzia della P.A. di agire per l’ottemperanza della sentenza, onde ottenere la condanna della P.A. ad adottare un provvedimento espresso.
Tuttavia, ragioni assolutamente prudenziali (vista la peculiarità della vicenda, che configura una sorta di “cortocircuito” nel sistema) possono suggerire di proporre – entro il termine di 60 gg. dalla (ipotetica) formazione del diniego silente – una azione “cumulativa” dove far confluire sia il giudizio di ottemperanza della sentenza del TAR, sia la ordinaria impugnazione del silenzio-diniego.