Vincolo paesaggistico e abusi edilizi: no alla sanzione pecuniaria
La gravità del rilevato pregiudizio all’ambiente naturale circostante non è coerente con l’applicazione di una sanzione pecuniaria al posto di un ordine di demolizione
Ci si prova, ma che ci si riesca è altamente improbabile. Si potrebbe riassumere così l’epilogo del caso affrontato dal TAR Lazio con la sentenza del 26 ottobre 2023, n. 15893, con la quale ha respinto il ricorso contro l’ordine di demolizione di opere abusive, ritenute non condonabili in quanto ricadenti in zona soggetta a vincolo di cui alla Legge n. 1497/1939, giusto D.M. del 17 maggio 1956 e in fascia costiera di rispetto dei 300 metri dal mare, di cui all’art. 146 del d.Lgs n. 490/1999 e all’interno della fascia di 150 metri da un torrente. Non solo l’istanza di condono era stata respinta, ma anche la richiesta, da parte dei ricorrenti, di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria.
Abusi edilizi in area vincolata: la sentenza del TAR
Nel valutare la questione, il TAR ha ricordato che che la normativa di protezione delle bellezze naturali di cui alla legge n. 1497/1939 è oggi recepita in parte dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato con d.lgs. n. 42/2004.
In particolare, l’art. 142 del Codice considera, alla lett. a), protetti ex lege i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare. Inoltre l’art. 146 richiama in parte il contenuto dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, statuendo che i proprietari, i possessori e i detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree d’interesse paesaggistico non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che arrechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. La norma prosegue richiedendo la valutazione e il nulla osta dell’autorità competente alla tutela dei valori ambientali per i progetti e gli interventi edilizi sui predetti immobili, con verifica della compatibilità tra l’intervento e l’interesse paesaggistico protetto.
In questo caso, nel parere della Commissione sono stati rilevati correttamente i vincoli insistenti sull’area, precisando l’incompatibilità tra le opere realizzate e il paesaggio e l’ambiente circostante data la “dequalificante categoria edilizia e dei materiali utilizzati, che contrastano violentemente con il pregevole ambiente tutelato”, nonché “il grave danno arrecato all’ambiente naturale preesistente”.
La legge non tutela l'estetica ma l'identità dei luoghi
La giurisprudenza amministrativa, in casi analoghi, ha avuto modo di rilevare come la legge non tuteli l’estetica in quanto tale, ma i valori tradizionali che si mostrano alla vista e che arrivano a configurare un autentico carattere identitario. Ciò significa che quando si esamina un progetto di trasformazione degli immobili nei luoghi tutelati non si tratta di stabilire se la nuova architettura sia esteticamente valida, ma se quell’intervento modifica l’aspetto tradizionale con cui si mostra l’ordine spaziale delle cose immobili presenti storicamente in quel determinato luogo.
Nell’ottica della normativa paesistica si può, quindi, costruire in quei luoghi, svolgere attività e anche trasformare i beni immobili, “purché si rispettino i valori tradizionali e identitari in questione”. D’altro canto, nel caso specifico, l’apposizione del vincolo rispondeva ad una pregressa ed intrinseca caratteristica del bene ambientale tutelato.
Abusi edilizi e vincoli paesaggistici: no alla sanzione pecuniaria
Quanto alla possibile scelta di disporre la demolizione delle opere in luogo della sanzione pecuniaria, il Collegio rileva che il Comune ha seguito la prescrizione esplicita in tal senso resa dalla Commissione Edilizia Integrata che, oltre ad esprimere parere contrario alla sanatoria, ha concluso espressamente per “la demolizione e il rispristino dello stato dei luoghi nella complessiva area”.
D’altro canto, la gravità del rilevato pregiudizio all’ambiente naturale circostante, non sarebbe stata coerente con l’applicazione di una sanzione pecuniaria. Le valutazioni concernenti la scarsa qualità dei materiali utilizzati, unitamente alla ritenuta compromissione dell’ambiente naturale, sarebbero stati incompatibili con l’applicazione della sanzione pecuniaria richiedendo necessariamente il ripristino dello stato dei luoghi indipendentemente dall’epoca di costruzione dei manufatti e dal tempo trascorso.
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Sentenza